Ottant’anni fa alla vigilia di San Simplicio, Olbia distrutta dai bombardamenti
Il devastante attacco del 14 maggio 1943 sul porto e il centro abitato: in un giorno 333 bombePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Oe la lea’ Tunisi: narra una vecchia storiella olbiese che la mattina del 14 maggio 1943 qualcuno, colpito dall’intenso passaggio di aerei, alzò gli occhi al cielo e con quattro parole dette con nonchalance sbagliò clamorosamente previsione ipotizzando un bombardamento su Tunisi. A prenderle fu invece Olbia e l’espressione è rimasta tra i vecchi terranovesi ad indicare una disgrazia che si pensa diretta ad altri ed invece finisce sulla propria testa.
Era la vigilia del giorno di San Simplicio – patrono della città e della Gallura - quando gli aerei alleati, dopo aver messo in ginocchio Cagliari, portarono anche ad Olbia morte e distruzione. La festa non veniva celebrata con i fasti di oggi, tantomeno in tempo di guerra, ma era un giorno caro alla devozione popolare. Quel 14 maggio di ottant’anni fa crollò il palazzo comunale seppellendo una decina di portuali che vi avevano cercato inutilmente rifugio, venne devastato il centro storico, bombardato il porto.
L’attacco
La città gallurese era, dopo Cagliari, l’obiettivo strategicamente più importante da colpire come sede del porto più vicino alla penisola. All’indomani della grande offensiva che aveva completato l’opera di distruzione nel capoluogo, già duramente provato da tre mesi di bombardamenti, il 14 maggio gli aerei della flotta alleata si diressero verso Olbia, Sassari, Alghero e Sant’Antioco. Gli apparecchi diretti verso la città decollarono dalla base algerina di Berteaux poco dopo le 11: erano 54, scortati da 87 caccia pesanti B38. L’allarme suonò all’ora di pranzo, alle 14, proprio mentre la prima squadra di bombardieri, 18 bimotori B25 Mitchell, oscurava il cielo di maggio dietro Capo Figari. Fu del tutto inutile il tentativo degli intercettori di stanza a Venafiorita e delle batterie contraeree di contrastare l’offensiva. Pochi minuti dopo l’allarme, 108 bombe da 500 libbre si abbatterono sul porto vecchio colpendo anche la zona bassa della città e il municipio. Alle 14,13 un’altra gigantesca formazione di 36 bimotori sganciava il suo carico di morte sull’idroscalo e sull’antico nucleo urbano fino alla stazione ferroviaria. Nove caccia si abbassarono fino a 5000 piedi per lanciare i loro ordigni sulle navi del porto, affondandole o danneggiandole gravemente. In un giorno furono sganciate sul porto e sul centro abitato 333 bombe da 500 libbre per un totale di 75 tonnellate di esplosivo. In quel tragico mese di maggio si contarono altri nove bombardamenti, nel mirino ancora il porto e l’idroscalo, ma senza perdite umane.
Città in ginocchio
Il bilancio delle vittime fu comunque meno grave di quanto la distruzione della città potesse far pensare perché Olbia (che contava all’epoca 12 mila abitanti) era, in realtà, semideserta. Gran parte dei cittadini era sfollata nelle campagne, comprese tante famiglie dei portuali – lavoratori di prima linea - che hanno pagato un pesantissimo tributo di sangue. Chi seguiva la scena dalle colline affacciate sulla piana, molti erano bambini, ha avuto per tutta la vita quelle immagini impresse nella mente e ha raccontato a figli e nipoti l’immane tragedia di una città che appariva completamente distrutta. I morti ufficialmente furono 22, ma è un dato probabilmente molto sottostimato. Molti feriti morirono all’ospedale militare di Luras o nei paesi vicini.
La città ne uscì comunque in ginocchio: il Comune distrutto, così come la Capitaneria, l’albergo Italia (oggi sede universitaria) molte case del centro e il mercato, la chiesa di San Paolo danneggiata, le acque del porto con i relitti galleggianti, gli impianti della mitilicoltura – già avviata da una ventina d’anni - fuori uso. Era una città talmente povera che non aveva neanche i mezzi per scavare sotto le macerie del Comune. Le vittime restarono sepolte là sotto per tre anni: solo nel 1946 le famiglie ebbero pochi poveri resti su cui piangere. Ancora nel 1951 un’inchiesta sulla miseria in Italia registrò la presenza a Olbia di 700 famiglie di senzatetto. Il 60 per cento delle case era lesionato.
Oggi di quella tragedia di ottant’anni fa restano solo frammenti di memoria e i versi di una canzone popolare olbiese: Su battoldighi de maiu/ s'hat a tenner in mente/ ogni barbaru leone/ ca s'inglese e s'americanu/ ha chelfidu a Terranoa assassinare.