«Nuoro è la città d’Italia che ha il più bello sfondo naturalistico del centro urbano. Non ho dubbi, è una grande riserva». Parole di Paolo Portoghesi. Il grande maestro dell’architettura italiana scomparso a 92 anni lo scorso 30 maggio a Calcata, paese del Viterbese dove viveva, ha conosciuto da vicino vizi e virtù del capoluogo della Barbagia dove viene chiamato a preparare il Piano urbanistico comunale. Un progetto atteso e combattuto, naufragato dopo un lungo braccio di ferro.

L’illustre professore, già archistar internazionale, illustra la bozza del suo Puc il 28 gennaio 2004. Prima gusta “su filindeu”, piatto tipico caratterizzato dai fili sottilissimi di pasta, commentando: «Mi ricorda le strutture di Pierluigi Nervi». Poi si presenta nella sala consiliare in abito bianco, con il tono elegante del maestro, la visione di una città del futuro con tante regole in più e una bellezza da riscoprire passeggiando tra pergolati in centro e nuove piazze in periferia. Ci torna il 16 febbraio 2005 per illustrare la filosofia del suo progetto a un Consiglio comunale che l’avrebbe presto stracciata fino a spingerlo a lasciare l’incarico.

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«L’Ortobene è parte integrante dell’identità di Nuoro; è un’assurdità pensare di rendere possibile l’utilizzazione come luogo di residenza per i nuoresi. Si verrebbe a distruggere il patrimonio nel momento in cui lo si vorrebbe valorizzare. Su questo bisogna tener duro. Il giorno che venisse, seppure con tutte le precauzioni possibili, riempito di elementi di antropizzazione diffusa sarebbe una tragedia per la città e le generazioni future saprebbero con chi prendersela». Pensiero annunciato nel 2004, ribadito nel 2005. La valorizzazione ambientale illumina il suo piano. Lui disegna aree verdi in ogni luogo, anche nel centro cittadino, persino i pergolati ispirati a Costantino Nivola, tanto belli da coprire gli elementi più nefasti di una crescita urbanistica disordinata, accanto a molte piazze e spazi di aggregazione per dare dignità alle periferie dimenticate.

La sua proposta è accompagnata dalla necessità di dare nuovo prestigio alla città valorizzando al meglio proprio la risorsa ambientale. Vuole liberare il centro storico dal traffico con la realizzazione di una circonvallazione e di nuovi parcheggi, auspica un’area pedonale tra la città antica e quella nuova con due percorsi che abbiano il loro epicentro nell’Artiglieria. «È un dovere della comunità onorare chi l’ha fondata», dice a proposito del centro storico citando Grazia Deledda che lì è nata. Ma la città guarda altrove, a nuove aree di espansione da riempire di volumetrie, agli abusi edilizi da risanare a Testimonzos e dintorni, ferita ancora aperta. Lui non ne fa un dramma. «Non bisogna ingigantire questo problema. Testimonzos è un’appendice alla struttura urbana. Occorre stabilire regolamenti che consentano un completamento di questa zona che non privi i cittadini dei servizi necessari per lo sviluppo e allo stesso tempo bisogna far sì che lo sviluppo della città venga conservato all’interno della circonvallazione. Si studierà un regolamento che senza chiedere troppo a chi ha costruito e a chi voglia costruire garantisca a questa zona di assumere una qualità urbana che ora non ha», propone nel 2004. Un anno dopo è costretto a ritoccare il perimetro urbano allargandolo oltre la circonvallazione. Correttivi e adattamenti cercano di andare incontro agli umori della politica. Ma non bastano. La mediazione finisce con una decisione clamorosa che arriva con una lettera al sindaco Mario Zidda.

È il giugno del 2006. Sono passati molti anni da quando, nel febbraio del 1993, l’allora primo cittadino Giampaolo Falchi lo chiama a Nuoro per affidargli l’incarico: realizzare un Puc che superi il vecchio piano regolatore in una città frammentata e cresciuta male.

Belvedere affacciato sul monte Ortobene
Belvedere affacciato sul monte Ortobene
Belvedere affacciato sul monte Ortobene

«Per una serie di ragioni, tra cui questioni di salute, preferisco rinunciare al Puc», confessa nel giugno 2006. In quei giorni il Consiglio comunale ha tre sedute in programma, proprio sul Puc. Ma Portoghesi non si fida più. «Se fossi sicuro della volontà farei uno sforzo. Purtroppo siamo in una fase vicina all’adozione del preliminare, ma si deve ricominciare un iter che minaccia di essere molto lungo». Quindici anni di lavoro se ne vanno via. «È durato troppo tempo. La gente può sospettare che sia per colpa mia, non voglio questa responsabilità». Poi spiega: «Gli attuali amministratori hanno tutta la mia fiducia perché hanno dimostrato di volere il piano pur con un Consiglio comunale recalcitrante che ridisegna un piano di incertezze, di ripensamenti. Ho assistito a continue modificazioni delle correnti. C’è chi vuole una cosa, chi un’altra a causa di partiti che non coincidono con quelli politici, ma con interessi. Sono lì a compromettere l’esito del lavoro. Sono arrivato a concludere che un altro professionista possa fare più di me». Confessa il rammarico. «Ho un bellissimo ricordo, soprattutto della prima fase del lavoro».

L’architetto Portoghesi smette così di occuparsi di Nuoro: le sue parole restano un monito verso i tempi estenuanti di una politica capace di oscurare il genio di un maestro dell’architettura italiana contemporanea, ambasciatore, come lo definisce il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla sua morte, della cultura italiana nel mondo.​​​​​​​​​​​​​​

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