Le scarse risorse della Terra e la famelicità dell’uomo
Il 2 agosto 2023 si sono esaurite le scorte naturali e il mondo attinge alle riserve. L’Italia ha tagliato il traguardo il 15 maggio e il suo livello di consumi richiederebbe la disponibilità di 2,7 pianeti come il nostro. Ma c’è anche chi fa peggioPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
L’abisso apparentemente è un poco più lontano, ma le piccole oscillazioni annuali non bastano a modificare una tendenza chiara e di durata ben più lunga. L’uomo consuma risorse naturali sempre maggiori e arriverà il giorno in cui non ne avrà più a disposizione per soddisfare le proprie esigenze, a volte superflue e anche dannose.
Così se in questo 2023 l’Overshoot Day, cioè il giorno in cui terminano i beni messi a disposizione dalla Terra e si entra nel periodo in cui si utilizzano le “scorte”, è arrivato il 2 agosto, difficilmente si può pensare che la situazione stia migliorando tenuto conto che nel 2022 il traguardo era stato tagliato il 28 luglio (appena cinque giorni prima) e nel 2021 il 29 luglio. Nel 2020, anno di pandemia col crollo dei consumi e le persone chiuse in casa, la linea di confine tra autosufficienza ed erosione delle riserve era stata attraversata il 22 agosto: un’eccezione difficilmente ripetibile.
Numeri chiari
I dati non mentono. La Terra non riesce a generare risorse al ritmo con cui le sfruttiamo. I consumi crescono e non è alle viste una possibile soluzione. Forse non c’è, visto che l’ultimo pareggio (l’equilibrio entrate e uscite) risale al 1970 e a oggi sarebbe necessario avere a disposizione quasi un altro pianeta come il nostro (per la precisione 1,75) per far fronte alle esigenze di chi vive sui cinque continenti. Senza considerare che ci sono singoli Statiche consumano cinque volte più di altri. L’Italia quest’anno ha esaurito le proprie scorte il 15 maggio scorso, proprio come un anno fa.
Ma ben peggio hanno fatto Qatar (traguardo tagliato il 10 febbraio), Usa, Canada ed Emirati arabi (13 marzo), Australia (23 marzo), Belgio (26 marzo), Danimarca (28 marzo) e Finlandia (31 marzo), Svezia (3 aprile), Austria (6 aprile), Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Norvegia (12 aprile), Nuova Zelanda (19 aprile), Arabia Saudita (27 aprile), Germania e Israele (4 maggio), Francia (5 maggio), Giappone (6 maggio), Portogallo (7 maggio) e Spagna (12 maggio). Di poco migliori i risultati di Gran Bretagna (19 maggio), Cina (2 giugno), Argentina (24 giugno), Brasile (12 agosto). Quasi in linea Colombia, Egitto, Guatemala, Iraq e Cuba (tutte a novembre) e soprattutto Indonesia, Ecuador e Giamaica, che terminano le risorse a dicembre.
Quasi cinque Terre
In sostanza chi vive in territori più ricchi ha uno stile di vita troppo elevato e superiore al consentito. Gli standard degli Usa renderebbero necessarie 5,1 Terre, quelli dell’Italia 2,7. Gli uomini, che oggi numericamente hanno toccato e probabilmente superato quota 8 miliardi, hanno un impatto devastante sulla capacità di resistenza e di rigenerazione degli ecosistemi. Si assiste da anni a un cambiamento climatico provocato in grande parte dalle attività antropiche che portano all’occupazione ed erosione del suolo, alla deforestazione, alla perdita di biodiversità e all’accumulo di gas serra, alla crescita dei livelli di inquinamento, all’innalzamento dei mari, alla perdita della biodiversità, a siccità, carestie, uragani, alluvioni e grandinate anche in piena stagione calda, a temperature impazzite con l’arrivo di eccezionali ondate di maltempo in diverse parti del mondo (per stare a casa nostra basti ricordare cosa è accaduto a fine luglio nel Veneto, in Trentino e in Lombardia), all’elevato numero di incendi (clamorosi in questo 2023 quelli in Canada), alla diffusione di virus importati dalle specie animali private del proprio ambiente naturale con una conseguente diffusione di nuove malattie.
La situazione peggiora
Che la situazione sia in costante peggioramento è dimostrato dall’andamento della curva dei consumi. Dai 365 giorni necessari nel 1969 e 1970 a consumare tutte le scorte (col pianeta autosufficiente), si è passati ai 344 del 1972 e ai 333 del 1975, ai 302 del 1986 e ai 295 del 1987. Un incremento costante dello sfruttamento delle risorse che ha portato a toccare quota 260 giorni nel 2002 e 214 nel 2012.
Un anno fa lo studio del “Global footprint network”, organizzazione indipendente senza fini di lucro nata nel 2003 con sede nei territori dei tre Paesi fondatori (Usa, Belgio e Svizzera), ha stimato in circa 3 i miliardi di persone che vivono in Stati dove si consuma più cibo di quel che si riesce a produrre; mentre al contrario ci sono Paesi che dipendono in grandissima misura sulle importazioni ma hanno difficoltà a soddisfare le richieste interne. Così molte popolazioni sono a rischio sopravvivenza, principalmente in Africa e Asia. Nel complesso sarebbero quasi sei miliardi gli uomini e le donne che ottengono più di quel che il loro Paese può offrire.
Da qui a venti anni
La conseguenza è che al 2022 sarebbero serviti almeno 19 anni senza consumi perché il pianeta si rigenerasse. Con i dati del 2023, ne serviranno almeno 20 se non di più. Sarebbe necessario intervenire subito prima che le risorse finiscano davvero e il pianeta non sia più abitabile. Perché la Terra è nata circa 5 miliardi di anni fa e ne vivrà altrettanti, a meno di sconvolgimenti imprevisti e improvvisi; l’uomo è comparso molto di recente e la sua esistenza nel corso della storia del nostro piccolo mondo è una frazione impercettibile, che per sua unica responsabilità potrebbe durare ancora meno di quanto sia lecito sperare.