Immaginate di entrare in una sala dove due quadri, dipinti a pochi mesi di distanza nello stesso luogo, circa quattrocento anni fa, si guardano per la prima volta. Uno è sempre rimasto lì, a Napoli, città dove l’autore che lo ha realizzato trascorse alcuni anni della sua esistenza, certamente per lui tra i più fecondi. L’altro, secondo gli esperti, è stato perduto, dimenticato, venduto per errore all’asta. E oggi, finalmente, torna a casa, dopo essere stato riportato in Italia alcuni mesi fa, sempre in occasione di un’esposizione dedicata al maestro della pittura di fine Cinquecento, per la prima volta dopo circa quattro secoli.

È questo il cuore pulsante della mostra “Capodimonte Doppio Caravaggio”, inaugurata lo scorso 24 luglio e che resterà aperta al pubblico fino al 2 novembre al Museo e Real Bosco di Capodimonte, a Napoli. Un evento che rappresenta dunque non solo un’esposizione temporanea, ma un ritorno. Il dipinto, ormai conosciuto con il nome di “Ecce Homo”, capolavoro recentemente attribuito a Michelangelo Merisi da Caravaggio, verrà esposto ancora in Italia, dopo la mostra “Caravaggio 2025”, evento ospitato a Palazzo Barberini a Roma dal 7 marzo fino al 6 luglio, e per di più accanto alla “Flagellazione di Cristo”, custodita a Capodimonte dal 1972.

Incontro mai avvenuto

Nella sala 62 del museo, le due tele si fronteggiano come due frammenti della stessa storia: quella del Caravaggio napoletano, violento e tormentato, ma capace di una luce pittorica e drammatica che ancora oggi toglie il fiato. “La Flagellazione di Cristo” è uno dei massimi esempi della sua maturità, realizzata tra il 1607 e il 1608 per la chiesa di San Domenico Maggiore. L’“Ecce Homo”, invece, è il nuovo arrivato: ritenuto per secoli disperso, è riemerso in modo rocambolesco nel 2021 in una casa di Madrid, inizialmente scambiato per un’opera della scuola spagnola e messo all’asta per appena 1.500 euro. L’intervento tempestivo di studiosi e collezionisti ha permesso di fermare la vendita e riconoscere la mano del Merisi. Maria Cristina Terzaghi, tra le maggiori esperte di Caravaggio, ha ricostruito con rigore la storia dell’opera, che venne commissionata da un religioso, il monsignor Massimo Massimi, e poi arrivata in Spagna attraverso il viceré di Napoli, il conte di Castrillo, Garcia de Avellaneda y Haro. Quest’ultimo occupò l’incarico a Napoli tra il 1653 e il 1659 e poi tornò in Spagna, molto probabilmente trasferendo a Madrid buona parte della sua collezione, della quale facevano parte anche un “Ecce Homo” e una “Salomè”, dipinti da Caravaggio, quadri che poi entrarono a far parte del patrimonio reale spagnola, e in particolare di Filippo IV. Inoltre, l’“Ecce Homo” sarebbe stato esposto nell’appartamento del figlio, Carlo II, agli inizi del 1700. Nei secoli successivi, alterne vicende avrebbero interessato poi il quadro, inizialmente scartato dalla famiglia Massimi, che preferì un dipinto di un altro autore, il toscano Ludovico Cardi, detto Cigoli, a cui venne richiesta la stessa opera, in una sorta di bando a cui partecipò anche un altro toscano, Domenico Cresti, detto Passignano. Gli ultimi proprietari furono poi i figli di Antonio Pérez de Castro, fondatore della scuola di design Iade di Madrid. Fino al 2021, quando il dipinto venne messo all’asta per 1.500 euro e poi, dopo una mobilitazione delle istituzioni culturali italiane, dichiarato “bene non esportabile”, quindi ritirato dall’asta e affidato al Museo Prado di Madrid dove abitualmente oggi viene esposto.

La memoria restituita

Il ritorno dell’“Ecce Homo” in Italia è dunque un evento eccezionale, quasi leggendario. Non solo per l’importanza dell’opera, ma per il modo in cui l’opera è stata esposta: dopo il passaggio a Palazzo Barberini a Roma, ora sarà presente non in una mostra affollata di nomi e cornici, ma in un confronto intimo, uno contro uno, con l’altro Caravaggio, “La flagellazione di Cristo”. Quasi che i due quadri possano parlare tra loro, raccontarsi, interrogarsi. In mezzo a loro, sarà presente anche un terzo quadro: un “Ecce Homo” di Battistello Caracciolo, discepolo e interprete napoletano dello stile caravaggesco, testimone della forza che quell’estetica esercitò su tutta una generazione di artisti.

Caravaggio e Napoli

Ciò che rende speciale “Capodimonte Doppio Caravaggio”, dunque, non è solo la qualità delle opere esposte, ma la densità simbolica del progetto. Caravaggio visse a Napoli nei momenti più drammatici della sua vita, tra fughe, aggressioni, processi (dopo l’uccisione a Roma di Ranuccio Tomassoni), e opere che sembrano urlare contro la luce. Proprio nell’allora capitale del Regno di Napoli dipinse alcuni dei suoi capolavori più estremi, e qui la sua lezione rimase viva più a lungo che altrove, plasmando e influenzando molti pittori negli anni a seguire, chiamati appunto “caravaggeschi”. Ecco perché il ritorno dell’“Ecce Homo” assume il valore di un risarcimento ideale, di una memoria che si ricuce, di un filo interrotto che viene riannodato tra Napoli e il suo pittore più famoso nel mondo, pur essendo nato nel Nord Italia.

Il progetto

L’esposizione rientra nel programma “L’Ospite”, voluto dal direttore di Capodimonte, Eike Schmidt, che trasforma il museo in uno snodo culturale internazionale, capace di ospitare mostre di alto livello anche durante i lavori di restyling. Non a caso, l’iniziativa si inserisce anche nel calendario delle celebrazioni per i 2.500 anni dalla fondazione di Napoli, trasformando l’evento artistico in un’occasione di orgoglio cittadino e rilancio culturale, con incontri, conferenze, proiezioni e visite guidate che approfondiranno il tema della “luce di Napoli” nella pittura caravaggesca.

Insomma, c’è qualcosa di potente in questa mostra che va oltre la sola pittura. È come se Caravaggio tornasse davvero a Napoli, non soltanto con i suoi quadri, ma con la sua ombra, i suoi dolori, la sua luce improvvisa. “Capodimonte Doppio Caravaggio” è un’occasione unica per vedere da vicino ciò che ha lasciato a Napoli e ciò che, incredibilmente, ha scelto di ritrovare, dopo l’esposizione eccezionale di Palazzo Barberini a Roma, dove si è già creato un filo che riporta l’Italia indietro di 400 anni, restituendole il ruolo di capitale mondiale della cultura. E Caravaggio ha di sicuro un ruolo.

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