Anni Settanta-Ottanta: colonne di cassette di plastica dura colorate con dentro bottiglie di vetro marron con il marchio di una nota birra prodotta in Sardegna facevano bella mostra nei bar. E chi voleva l’acqua minerale doveva riportare la cassetta con i resi al barista o al supermercato. Scene ormai dimenticate o mai viste dai nativi digitali. Scene che però presto potranno essere di nuovo attuali se la Commissione europea approverà il nuovo regolamento sugli imballaggi, che fa già tanto discutere, proposto dal vicepresidente con delega al Green Deal Frans Timmermans e dal commissario dell’Ambiente Virginijus Sinkevicius.

Le nuove regole

Una proposta che ha l’obiettivo di abbassare i rifiuti da imballaggio pro capite del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040 prendendo come valori di riferimento quelli del 2018. Cosa vuol dire? Che entro il 2030, nelle intenzioni della Commissione, tutto il packaging sarà riciclabile. Per capirci meglio: bottiglie di vetro da riutilizzare così come le lattine, prodotti freschi che viaggiano dentro contenitori riutilizzabili e quindi soprattutto da restituire al produttore. Il che comporta un vantaggio nello spingere sulle filiere corte, ma per chi, come noi ad esempio, vive in un’isola ed esporta due terzi dei carciofi prodotti in Sardegna, cosa accadrà? Interrogativi che sorgono di pari passo con quelli che arrivano da altre specifiche del nuovo regolamento: dal 1° gennaio 2030, secondo la bozza di normativa circolata fino ad ora, il 20% di bevande da asporto dovrà essere servito con imballaggi riutilizzabili. Quindi significa dire addio al bicchiere di birra in plastica riciclata usato per bere una birra allo stadio? E ancora: i cibi take-away sempre dal 1° gennaio 2030 dovranno essere serviti con materiale riutilizzabile. Quindi il fattorino di una delle tante catene che distribuiscono cibo a domicilio arriverà con il pacchetto in plastica dura e chiederà indietro il reso della volta precedente? Una formula che, rilevano in molti, in tempi di pandemie non assicura certo le necessarie garanzie igieniche per i consumatori. Ma tant’è: se si consuma meno ambiente da un lato, dall’altro si rischia di aumentare la spesa sanitaria.

Le critiche

Le voci contrarie in Italia sono numerose e arrivano soprattutto dalle industrie che negli ultimi anni sono riuscite, investendo parecchi soldi, a diventare vere e proprie eccellenze nel campo del riciclo. Nel nostro Paese, infatti, viene avviato al riciclo il 75% degli imballaggi, grazie a un’economia circolare che ha iniziato a funzionare e che vede impegnate anche industrie chimiche, come la Novamont, che tra le altre cose punta sulla chimica verde in Sardegna. Il rischio che si corre nell’Isola è che il decollo della chimica verde, piuttosto a rilento da noi, sia sopraffatto dal nuovo regolamento sugli imballaggi. Peraltro, l’Italia è un’eccellenza anche nella produzione di Pet riciclato, per le bottiglie utilizzate per l’acqua minerale. Soprattutto, oggi gli imballaggi in Pet riciclato sembra siano i migliori sistemi per assicurare anche il mantenimento delle caratteristiche organolettiche dell’acqua. Nonostante questo si rischia di spazzare via un’industria all’avanguardia e che dà lavoro a migliaia di persone per tornare al vetro, ma non a quello ottenuto da riciclo, ma alle bottiglie lavate e rimesse in circuito. Cosa, si badi bene, che già esiste ma va di pari passo con il riciclo.

Le prospettive

Secondo la Commissione europea, il passaggio dal riciclo al riuso dovrebbe portare a creare 600 mila nuovi posti di lavoro, ma Confindustria lancia l’allarme su quelli che si perderanno e sulle eccellenze raggiunte appunto dal nostro Paese nell’economia circolare del riciclo. Critiche poi arrivano anche da Coldiretti e Filiera italiana che mostrano appunto non pochi dubbi sulla sicurezza alimentare in caso di riutilizzo degli imballaggi.

Resta il problema ambientale e l’emergenza sulla diffusione e sul cattivo smaltimento delle plastiche nel mondo. Posto che però il 75% della plastica e degli imballaggi in Italia finiscono per entrare nel sistema circolare del riciclo, è facile comprendere che per punire i maleducati alla fine pagano, come spesso accade, tutti. Peraltro la stessa Legambiente in questo caso ha mostrato dubbi sul regolamento proposto dalla Commissione europea: “La proposta è sbagliata – ha affermato al Sole 24-Ore il presidente nazionale Stefano Ciafani – Nel merito perché rischia di compromettere il sistema industriale italiano dell’economia circolare, che è anche oggetto di finanziamenti europei. E nel metodo: una cosa di questo tipo non si può affrontare con un regolamento, che ha carattere vincolante una volta approvato”.

Insomma, la proposta che arriverà al vaglio del Parlamento e del Consiglio europeo, pur avendo un fine nobile, rischia di modificare una industria e una filiera che funzionano e che sono state finanziate dall’Ue proprio per ridurre emissioni e migliorare l’economia circolare. E non si può fare un paragone con l’industria dell’automotive, che dovrà affrontare una rivoluzione nel passaggio dai motori termici all’elettrico, perché sul fronte delle emissioni siamo su pianeti totalmente diversi. Anche perché le industrie dell’automotive dovranno modificare le loro produzioni, rendendole compatibili con i nuovi modelli elettrici: qui invece si tratta di eliminare totalmente il riciclo a favore del riuso. Il che significa buttare al vento gli investimenti fatti di recente dall’industria per rendere l’attività più verde e compatibile con l’ambiente.

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