La prima immagine diretta, dunque visibile all’occhio, di un pianeta esterno al Sistema Solare distante 63 anni luce da noi, è stata catturata alcuni anni fa. Risultato entusiasmante, che lascia sperare in ulteriori progressi della tecnologia e della scienza per approfondire ulteriormente la conoscenza del genere umano sulla galassia che lo ospita e la formazione dell’Universo. In particolare, magari, sulla possibile esistenza di altri mondi simili al nostro, la Terra, per capire come siano nati, come si siano sviluppati, quanti ne esistano nello spazio. E, in ultima analisi, se la nostra piccola casa sospesa nel Cosmo sia una rarità, un caso unico oppure una tra le tante sparse attorno ai miliardi di soli esistenti nel buio infinito che ci avvolge.

Le domande senza risposta

Studi non banali né fini a sé stessi, perché la risposta che da sempre l’Uomo cerca alle domande che lo accompagno da centinaia di anni (Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo?) potrebbero arrivare anche da queste ricerche. La vita è nata sul nostro pianeta? E, nel caso, come? Una clamorosa corrispondenza di casualità e condizioni adatte, oltre alla necessaria presenza della Terra nella “fascia abitabile” del Sistema solare (cioè non troppo vicino né troppo distante dalla propria stella così da avere una temperatura utile all’esistenza di acqua), che tra l’altro da sola neanche sarebbe sufficiente per garantire lo sviluppo di una specie come la nostra? Oppure siamo figli della “panspermia”, il trasporto su corpi celesti vaganti nell’Universo (comete, asteroidi e così via che nel loro vagare incrociano i pianeti cadendone interno) di organismi ed elementi necessari a ottenere quei risultati?

Un asteroide che vaga nello spazio e incrocia un pianeta (archivio)
Un asteroide che vaga nello spazio e incrocia un pianeta (archivio)
Un asteroide che vaga nello spazio e incrocia un pianeta (archivio)

Lo studio e le ricerche sono in corso ma ancora mancano risposte certe. Che potrebbero essere trovate anche grazie la scoperta di altri mondi simili al nostro, magari abitabili o già abitati: non necessariamente da qualcosa – o qualcuno – simile a noi, ma anche da organismi differenti, oggi inimmaginabili, costituiti da elementi di altra natura e abituati a vivere in condizioni completamente diverse da quelle che conosciamo. Il nostro piccolo condominio, costituito (per ora) da otto pianeti (i rocciosi Mercurio, Venere, Terra e Marte e i gassosi giganti Giove, Saturno, Urano e Nettuno), è vuoto. Come se in un palazzo di otto piani un solo appartamento al terzo fosse occupato in ogni sua stanza mentre gli altri, dalle suite alle stanze singole (i satelliti più o meno grandi, Luna compresa, che ruotano attorno al proprio padrone), fossero del tutto disabitati. Accade perché i locali al primo piano sono troppo caldi e manca l’impianto di refrigeramento, quelli al secondo sono saturi di gas deleteri e la temperatura è eccessiva, i corrispettivi del terzo sono freddini e le finestre sempre aperte non trattengono l’ossigeno necessario a respirare. Dal quinto livello in poi, infine, l’aria non è salubre, manca un pavimento solido sul quale poggiare i piedi e spesso la luce del sole sembra quella di una lampadina. Insomma: tutti al terzo livello, la festa è lì.

Il Sistema solare in formazione (archivio)
Il Sistema solare in formazione (archivio)
Il Sistema solare in formazione (archivio)

Ma l’edificio, per quanto grande, ha confini ben precisi e prima o poi nessuno potrà più entrare. A meno che esplodano le pareti. Ecco dunque che si cerca di capire se questa situazione sia un unicum nel suo genere oppure qualcosa di simile esista altrove. Un altrove sconfinato, lungo 14 miliardi di anni luce e denso di miliardi di miliardi di stelle e ancor più pianeti. Facile pensare allora che, in questa spiaggia sconfinata, alcuni (centinaia, magari migliaia se non più) dei granelli di sabbia che la compongano (i pianeti) possano avere caratteristiche utili a trovare quel che si cerca. In realtà non è così semplice: sia per la difficoltà di individuare questi corpi celesti con l’attuale tecnologia, seppure in continuo miglioramento, sia per la necessità di trovarli in quella fascia abitabile di cui si è parlato, che riduce sensibilmente la percentuale di mondi sui quali possano essersi creati ecosistemi utili alla vita.

L'impatto possibile tra un corpo celeste e la Terra (archivio)
L'impatto possibile tra un corpo celeste e la Terra (archivio)
L'impatto possibile tra un corpo celeste e la Terra (archivio)

Pianeti lontani

Da decenni sono stati scoperti e ancora si cercano i così detti esopianeti, corpi celesti extrasolari sparsi per la galassia. Sino al 2019 ne erano stati individuati circa 4.100, oggi siamo ben oltre i 5mila. La maggior parte è formata da giganti gassosi come Giove e Saturno, ma già nel 2013 si ipotizzava che solo nella Via Lattea ve ne fossero 8,8 miliardi di tipo roccioso, della giusta dimensione e alla corretta distanza dalla propria stella. Addirittura due anni fa uno studio dell’Università “Tor Vergata” di Roma e della Scuola politecnica federale di Losanna basato sulla ricerca nell’atmosfera dei pianeti di elementi quali il metano e l’ossigeno, aveva indicato in più di centomila i pianeti extrasolari che nella nostra galassia ospitano la vita: da forme evolute a batteri, alghe, qualcosa di primordiale.

Ipotetici pianeti esterni al Sistema solare (archivio)
Ipotetici pianeti esterni al Sistema solare (archivio)
Ipotetici pianeti esterni al Sistema solare (archivio)

Allora si torna all’osservazione diretta di quel corpo spaziale distante 63 anni luce, cioè la distanza che la luce, appunto, copre in 63 anni (alla velocità di 300mila chilometri al secondo: un percorso impossibile per noi umani). Il risultato, che fu pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics, si deve a due ricerche coordinate dall’Osservatorio francese di Grenoble e dall’Università britannica di Cambridge: il pianeta, chiamato Beta Pictoris C, è un gigante gassoso dalla massa circa 8,2 volte quella di Giove che orbita attorno alla stella Beta Pictoris formatasi circa 23 milioni di anni fa. Neonata, se si pensa che la Terra ha 4,5 miliardi di anni e ne vivrà altrettanti. Infatti è ancora circondato dai detriti polverosi, residuo del processo di formazione del sistema planetario. L’osservazione è arrivata grazie allo spettrografo Gravity sul “Very Large Telescope” dell’Osservatorio europeo meridionale in Cile e per merito delle sue caratteristiche: è abbastanza distante dalla stella (la cui luce altrimenti la farebbe scomparire) e sufficientemente calda (970 gradi) da emettere radiazioni termiche.

L'uomo su Marte (archivio)
L'uomo su Marte (archivio)
L'uomo su Marte (archivio)

Una vera rarità

Ma i giganti gassosi non ospitano la vita come la intendiamo. E la nostra caccia probabilmente è ancora più difficile di quanto credessimo. Uno studio molto recente dell’Istituto internazionale di Scienza spaziale a Berna, Svizzera, sostiene che in realtà pianeti simili alla Terra sono molto rari nel Cosmo: l’1 per cento del totale. Usando un sistema complesso tramite il quale i computer hanno ricostruito la formazione dei pianeti sin dall’origine, è emerso che i mondi nella fascia abitabile e delle dimensioni della Terra erano nell’80 per cento dei casi quasi integralmente desertici (con acqua assente o in minime quantità) e per un altro 19 per cento coperti quasi del tutto di mari, con un clima umido e invivibile. Solo la parte residuale, minima, offre le caratteristiche che cerca l’Uomo. Dunque, una rarità.

Il telescopio spaziale Hubble, di recente sostituito dal più modenro e performante Webb (archivio)
Il telescopio spaziale Hubble, di recente sostituito dal più modenro e performante Webb (archivio)
Il telescopio spaziale Hubble, di recente sostituito dal più modenro e performante Webb (archivio)

Però: se nell’Universo esistono migliaia di miliardi di galassie e in ogni galassia ci sono miliardi di miliardi di stelle attorno alle quali ruotano altrettanti miliardi di pianeti, se anche l’uno per cento di questi fosse simile alla Terra quante possibilità vi sarebbero che, da qualche parte, esista la vita? A ciascuno di noi la risposta che si ritiene più opportuna.

© Riproduzione riservata