Dunque la soluzione ai mali del calcio, con gli stadi che si svuotano anno dopo anno e il numero di telespettatori e abbonati in calo, è aumentare il numero di partite. Come una persona che, sovrappeso, piuttosto che avviare una dieta utile a tornare nei ranghi decidesse di entrare in un ristorante nel quale scegliere tra decine di portate più o meno buone e più o meno care. A naso, non la strada giusta.

Partite, partite, partite

Maggiore l’offerta, più larga la platea, superiore il numero di sostenitori: questo pare essere il ragionamento dei vertici pallonari nazionali, europei e mondiali. Fifa, Uefa e Figc sembrano camminare a braccetto. Così ecco che il Consiglio della Federazione mondiale dà il via libera a una Coppa del mondo con 48 squadre, ben 16 in più rispetto a quelle scese in campo pochi mesi fa in Qatar, per un totale di 104 partite a fronte delle precedenti 64 (con un saldo attivo di 40): una competizione che durerà 39 giorni, 10 in più delle ultime competizioni. Una bulimia mai vista, che costringerà gli già stressati fisici dei giocatori a straordinari pericolosi per la tenuta di muscoli e articolazioni al termine di tornei in partenza lunghi e stancanti.

Il giorno dlel'inaugurazione del Mondiale in Qatar (archivio)
Il giorno dlel'inaugurazione del Mondiale in Qatar (archivio)
Il giorno dlel'inaugurazione del Mondiale in Qatar (archivio)

Su tutti la Premier League, riconosciuto a livello globale come miglior torneo al mondo con alcune delle squadre più forti del pianeta: su quei campi il gioco scorre veloce, il pressing è alto, i ritmi intensi, la capacità atletica di reggere 90’ elevata ma non infinita. Senza considerare che a quella latitudini si giocano anche la Coppa di lega e soprattutto la FA Cup, torneo più antico al mondo, importante tanto quanto il campionato. A fine stagione il club che riuscisse ad arrivare sino in fondo potrebbe giocare oltre 60 partite.

I tornei principali

Non molto diverso quanto accade in Spagna, in Germania e in Italia, seppure con le dovute differenze. Per restare alla nostra competizione nazionale, alle 38 partite di Serie A vanno aggiunte quelle di Coppa Italia (con la bizzarra idea di far entrare in campo le squadre principali solo dai quarti consentendo loro, tra l’altro, di giocare la gran parte delle volte in casa la gara unica per le semifinali: Davide gioca contro Golia senza neanche avere la fionda, in Inghilterra funziona al contrario) e la Supercoppa, diventata ora qualcosa di diverso dalla finale secca tra la vincitrice dello scudetto e della Coppa Italia. Poiché evidentemente il calcio in televisione non basta mai, ecco la decisione di seguire l’esempio spagnolo e ideare una competizione a quattro: vi parteciperanno le prime due del campionato e le due finaliste della Coppa Italia, si giocherà per quattro anni in Arabia Saudita e poi si vedrà. Il contratto vale 23 milioni a stagione nel caso si giochino semifinali reali, 12 nel caso l’esordio sia lasciato a due amichevoli (formula contorta).

Tifosi del Cagliari (archivio)
Tifosi del Cagliari (archivio)
Tifosi del Cagliari (archivio)

Soldi soldi soldi tanti soldi

Perché? Per i soldi, ovviamente. Non per lo spettacolo o per un reale interesse sportivo di tifosi e club. È il denaro a fare la differenza, in una disperata ricerca di incassi che impedisca l’allargarsi della forbice tra Serie A e tornei superiori per interesse e fatturato quali Liga e Premier League. Motivo che ha spinto tre società tra le principali in Europa (Real Madrid, Barcellona e Juventus) a dar vita alla balzana idea di creare una Superlega che scalzasse la Champions come torneo principale e attirasse più sponsor, più spettatori e dunque più fondi in un contesto ormai dominato dal torneo inglese il cui valore supera del doppio quello italiano e di circa un terzo gli altri, sempre più ridotti a partner minoritari del grande business chiamato calcio. Ipotesi andata a finire come sappiamo (in attesa che si pronunci la Corte europea), ma che a nostro parere anche in caso di successo andrebbe comunque incontro, nel tempo, a un certo calo di interesse: vedere una contro l’altra le squadre più forti è una rarità ed è probabilmente questa l’origine del fascino di certe partite. Se Real Madrid, Milan, Manchester United, Bayern Monaco, Inter, Barcellona, Arsenal, Juventus, Liverpool e così via giocassero ogni anno tra loro richiamerebbero sponsor e tifosi in gran numero, ma quanto a lungo? Ci si abitua a tutto, ci si stanca di tutto. Brasile e Italia hanno giocato l’una contro l’altra in partite ufficiali poche volte: tutti si ricordano della finale di Mexico 70, del 3-2 azzurro in Spagna nel 1982, della finale Usa 94. Se si giocasse ogni anno, la partita alla lunga avrebbe lo stesso sapore? Lo stesso richiamo?

Tutte qualificate

Eppure anche la Coppa si allarga. E di questo passo, in una corsa sfrenata verso l’allargamento della platea di Nazionali cui dare la possibilità di partecipare al torneo calcistico più importante sul pianeta, saranno meno le selezioni costrette a stare a casa rispetto a quelle che prenderanno l’aereo per la destinazione finale. Iniziativa legata evidentemente a soddisfare le pretese dei “grandi elettori” di Infantino, capo della Fifa (confermato nel ruolo recentemente), che aumentando le caselle dei partecipanti tenta di allargare il consenso e dunque i voti delle singole Federazioni in vista del rinnovo delle cariche. Obiettivo cui puntava anche l’ipotesi di far disputare i Mondiali ogni due anni, a discapito anche degli Europei (non a caso le frizioni tra Fifa e Uefa erano arrivate ai livelli massimi). Interesse personale che spesso non coincide (non in questo caso, a parer nostro) con quello prettamente sportivo. Tutto perde di valore e di interesse, chi comanda ha come principale interesse l’incremento degli introiti: è sostenibile tutto questo?

La curva interista di San Siro vuota su ordine degli ultras (archivio)
La curva interista di San Siro vuota su ordine degli ultras (archivio)
La curva interista di San Siro vuota su ordine degli ultras (archivio)

Troppe squadre

Nel nostro piccolo la Serie A non ragiona in modo molto diverso. Da anni si parla di riforma dei campionati, col passaggio da venti a 18 squadre, ma non si trova mai l’accordo che soddisfi tutti. Meno partite (quattro) significano meno diritti televisivi, meno incassi al botteghino (dai pochi tifosi che ancora vanno allo stadio, vista la copertura totale delle partite in tv), meno introiti pubblicitari. Ancora vent’anni fa la gara era un evento da godersi, oggi non a caso l’interesse dei più giovani è fortemente scemato.

Il brasiliano Neymar, giocatore tra i più indisponenti, portato spesso ad amplificare presunti falli subiti (archivio)
Il brasiliano Neymar, giocatore tra i più indisponenti, portato spesso ad amplificare presunti falli subiti (archivio)
Il brasiliano Neymar, giocatore tra i più indisponenti, portato spesso ad amplificare presunti falli subiti (archivio)

Le sceneggiate da ragazzini

Senza presunzione né volontà di indicare soluzioni, pensiamo che il problema vero sia diverso. Il comportamento dei calciatori in campo, pronti a protestare con l’arbitro e gli avversari (anche in modo provocatorio e violento) a ogni torto subito (molto presunto, se non inesistente); la loro capacità di fingere clamorosamente danni semi permanenti a una qualunque parte del corpo causa contrasto in campo (rotolamenti multipli sul terreno, urla da ossa rotte, mani sulla parte dolente: poi all’improvviso si rialzano e corrono come nulla fosse accaduto, dopo aver acceso anche gli animi del pubblico); le corse in stile “buttafuori” per aggredire il giocatore che abbia fatto fallo su un compagno; le risse che si scatenano regolarmente in campo (l’ultimo Juventus-Inter di Coppa Italia ne è esempio lampante); le perdite di tempo stucchevoli e fastidiose nelle rimesse laterali, nei rinvii da fondo campo, nelle sostituzioni, nel battere calci d’angolo e punizioni (lo si fa soprattutto quando si è in vantaggio o si cerca di non perdere, per poi protestare contro l’ostruzionismo altrui quando si è in svantaggio o si deve vincere).

La rissa tra juventini e interisti al termine della gara di andata della semifinale di Coppa Italia il 4 aprile (archivio)
La rissa tra juventini e interisti al termine della gara di andata della semifinale di Coppa Italia il 4 aprile (archivio)
La rissa tra juventini e interisti al termine della gara di andata della semifinale di Coppa Italia il 4 aprile (archivio)

Lamentele, animosità e brutti esempi che scaldano gli animi di chi osserva, con tutte le conseguenze del caso, e che alla lunga allontanano gli spettatori. Educazione, rispetto delle regole e dell’avversario, eliminazione delle scorrettezze e delle provocazioni: sarebbe un ottimo punto di partenza, ma si deve intervenire da subito. Dalle giovanili. E dai tecnici.

Il tempo effettivo

Con l’idea che il tanto criticato tempo effettivo (bocciato dalla maggioranza perché «il calcio ha una sua dinamica, la fluidità del gioco non consente interruzioni continue come nel basket») possa essere davvero una buona soluzione. Quantomeno da provare. Oggi le partite durano in media 54’, a volte meno. Si parla della possibilità di allungare a dismisura il recupero, come negli ultimi Mondiali. Meglio forse far giocare 30’ a tempo col cronometro ben visibile a tutti fermano le lancette quando la palla esce fuori, l’arbitro fischia un fallo, l’allenatore chiama le sostituzioni. Non ci sarebbe più alcun vantaggio nel perdere tempo per far scorrere un cronometro fermo. Da anni c’è il Var; è stato introdotto il “gol-non gol”; ora esiste il fuorigioco automatico. A volte le novità sono positive. Il tempo effettivo potrebbe ottenere lo stesso risultato.

Rissa in un Torino-Genoa del passato (archivio)
Rissa in un Torino-Genoa del passato (archivio)
Rissa in un Torino-Genoa del passato (archivio)

Dipende dai protagonisti

Ma tutto deve partire dal giusto comportamento dei protagonisti in campo. Per spingere le nuove generazioni verso il calcio, l’incremento esponenziale del numero di partite serve a zero.

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