Il dramma carceri tra suicidi, aggressioni e ipocrisia
In tutta Italia si ripetono episodi di violenza, il sovraffollamento è un problema diffuso, le condizioni di detenzione peggiorano la situazione e il Governo sembra incapace di intervenire con provvedimenti davvero utili attirandosi le critiche di avvocatura e magistraturaIl 7 agosto 2024: sessantacinque suicidi in carcere in Italia da inizio anno, tre a Cagliari (un uomo arrestato tre giorni prima per un furto su un veicolo, un suo coetaneo recluso da due mesi e in attesa di giudizio, un ragazzo che sarebbe tornato in libertà tra due anni) e due a Sassari (un 52enne fino alla sera prima in ospedale e un 44enne ricoverato nel servizio assistenza intensificata); 17 atti di autolesionismo ogni 100 ospiti delle patrie galere; una bassa percentuale di reclusi che lavorano (il 31,5 per cento); pochi agenti di Polizia penitenziaria (il 16 per cento in meno rispetto al previsto); tanti detenuti con patologie psichiatriche gravi (8,4 per cento), altri che assumono farmaci di vario genere quali sedativi, ipnotici, antipsicotici, antidepressivi (il 56 per cento); oltre 61mila “inquilini” a fronte di 47mila posti disponibili; quasi 4mila in più solo nell’ultimo anno; un tasso di recidiva del 68 per cento.
Situazione drammatica
Non solo numeri e fredda statistica ma dati che inquadrano la situazione esplosiva degli istituti di pena italiani e sollevano, inascoltati, i tanti problemi vissuti dalla popolazione carceraria. Un mondo di fatto abbandonato dalle istituzioni, che poco e comunque non abbastanza si preoccupano di uomini e donne spesso ritenuti scarto della società. Nonostante la detenzione serva, secondo intenzioni e Costituzione, alla loro riabilitazione e al loro reinserimento nella società civile. Non a chiudere la porta e “buttare la chiave” come qualcuno vorrebbe accadesse in base al proprio tornaconto politico. Occuparsi degli ultimi però è complicato e poco remunerativo in termini di voti.
Non si parla di chi commette reati davvero gravi quali omicidi, femminicidi, violenze sessuali, stragi mafiose, assalti armati ai furgoni portavalori e alle banche (ci sono anche persone irrecuperabili che, in casi specifici, giustamente non dovrebbero tornare in libertà); ma di chi, grande maggioranza, si rende responsabile di violazioni di legge minori (quali spaccio, scippi, furti, aggressioni e così via) o magari ha solo commesso un errore. Per non parlare dell’altissima presenza tra i detenuti di immigrati irregolari, tossicodipendenti e persone con patologie psichiatriche a volte gravi, persone che non dovrebbero stare in cella ma in luoghi adatti a garantire loro le dovute cure.
I numeri
Penitenziari numericamente inadeguati (ormai si utilizzano per l’espiazione della pena anche quelli destinati a chi è solo in attesa di giudizio), ambienti ridotti, sovraffollamento medio del 130,11 per cento che in un caso, quello di San Vittore a Milano, è arrivato al 226,34 per cento e ora si attesta al 148,3 (il Regina Coeli di Roma è al 178,5). «Si salvano solo 38 istituti su 190», è spiegato nel documento riassuntivo della situazione nazionale preparato dal Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Uta non fa eccezione, coi suoi 682 detenuti (28 donne, 163 stranieri) rispetto a una capienza di 561 e un sovraffollamento del 121,6 per cento. Male anche Bancali a Sassari, con 454 posti e 500 detenuti, mentre gli altri istituti sardi (Oristano, Nuoro, Alghero, Onanì-Mamone, Isili, Lanusei) rientrano nei limiti previsti.
Accade che nelle carceri manchino psicologi ed educatori, le condizioni igieniche siano carenti, gli spazi personali ridotti, quelli comuni insufficienti. Trascorrere l’intera giornata sulla brandina a fissare il muro senza alcuna alternativa, senza poter lavorare, dividendo spazi angusti con più persone tanto da essere costretti a volte a dormire su tappetini stesi a terra, non aiuta. Due lettere inviate al quotidiano “la Repubblica” (pubblicate il 24 luglio) da chi è ristretto negli istituti di Agrigento e Opera (a Milano) sono chiarificatrici, in parte, della situazione: nel primo caso tre detenute spiegano di condividere una cella nella quale sono costrette a usare il bidet per pulire le stoviglie e parlano di una sola doccia funzionante delle due in comune, dell’alta presenza di blatte e formiche, di materassi pieni di muffa e di topi in bagno, dell’assenza di acqua e luce; nel secondo sono alcuni detenuti a spiegare di dover stare spesso chiusi in cella per quasi tutto il giorno con 50 gradi di temperatura senza possibilità di usare un ventilatore.
I risarcimenti
Condizioni che si ripetono in tutta Italia, compresa Cagliari come da lettera (una delle tante) arrivata alla nostra redazione di recente e che pubblichiamo a fine articolo (vi si denunciano pestaggi, isolamenti, acqua da bere intrisa di cloro, condizioni di detenzione diciamo complicate).
Eppure la Convenzione europea per i diritti dell’uomo prevede la presenza di almeno tre metri quadrati a disposizione di ogni ospite: spazi minimi di dignità che invece, secondo il rapporto di Antigone, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale nata alla fine degli anni Ottanta, mancano in un terzo degli istituti. Carenza riscontrata nel 27,3 per cento delle 88 carceri visitate nell’ultimo anno. Tanto che nel 2023 contro la reclusione in condizioni disumane sono stati discussi nel Tribunali di sorveglianza italiani poco più di 8mila ricorsi, il 57,5 per cento dei quali è stato accolto ed è sfociato in risarcimenti e sconti di pena a vantaggio dei carcerati (tra loro c’è anche Beniamino Zuncheddu, che a inizio anno ha ottenuto circa trentamila euro per aver trascorso anni in celle piccole e sovraffollate ed essere stato in vari penitenziari non a norma, senza nemmeno lo spazio minimo previsto per ogni detenuto).
Antigone
Le prigioni scoppiano. Oggi ospitano il numero di detenuti più alto dal 2013, aumentato solo nell’ultimo anno di 3.995 unità. Situazione, secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, «frutto delle politiche governative di questi due anni, con l’aumento dei reati e delle pene per molte fattispecie. Si colpiscono le fasce più vulnerabili quali minorenni, tossicodipendenti e pazienti psichiatrici che avrebbero bisogno di cure e non di prigioni». Un «sistema usato per ottenere consenso nel breve periodo» e il disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento «potrebbe peggiorare la situazione», perché «colpisce la marginalità sociale e chi per condizioni sociali ed economiche è già più a rischio». Per fare un esempio sui provvedimenti promulgati dal 2022: i decreti Rave e Cutro.
La normativa
E ora si lavora su due fronti. Il disegno di legge “sicurezza” che, dopo il via libera del Senato, sarà discusso alla Camera a settembre: prevede la messa fuorilegge della cannabis light (nonostante uno dei problemi principali sia l’altissima percentuale di detenuti accusati di spaccio) e punizioni molto più severe contro i blocchi stradali, chi boicotta opere infrastrutturali ritenute strategiche (le così dette grandi opere quali Tav e ponte di Messina), l’accattonaggio, l’occupazione delle case; e il decreto “carcere sicuro”, provvedimento sul quale il Governo ha posto la fiducia approvato proprio il 7 agosto dal Parlamento, che nelle intenzioni porterà all’assunzione di mille agenti nei prossimi 2 anni, a misure a favore dei detenuti come la possibilità di fare più telefonate e, per i tossicodipendenti detenuti, a una maggiore possibilità di scontare la pena in comunità anziché in carcere.
Ma «in un carcere sovraffollato», ribadisce Gonnella, «non sono garantiti gli spazi né l’accesso alle attività, prima di tutto quelle lavorative, e gli operatori fanno più fatica. Le fragilità non vengono intercettate, il detenuto è sempre più anonimo. Un numero e non una persona». Il primato negativo di suicidi in cella è del 2022: furono 85. Il 2024 potrebbe superarlo. «Non si rieduca, la recidiva è altissima».
Sorveglianza
Tesi non dissimile da quella espressa sul quotidiano Avvenire il 21 luglio da Cristina Ornano, presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari. L’alto magistrato proprio sul decreto legge carceri parla di «attese alte» e dunque di «delusione bruciante». A suo dire il provvedimento in discussione «non diminuirà il sovraffollamento ma anzi rischia di aggravarlo» perché «complica la procedura di accesso alla liberazione anticipata e alle misure alternative e ai benefici penitenziari». Il problema vero è la carenza di magistrati di sorveglianza («il 40/50 per cento in meno»): ogni sei mesi di detenzione, in caso di buon comportamento il carcerato ha diritto a uno sconto di 45 giorni sulla pena e sono proprio loro a dover valutare le richieste dei detenuti, «spesso presentate a distanza di tempo rispetto ai semestri passati in carcere». Ma su questo fronte «dal Pnrr non è stata stanziata alcuna risorsa e il decreto legge non aggiunge fondi ma cambia solo la procedura».
In sostanza saranno le singole Procure a indicare nell’ordine di esecuzione il termine reale della pena e quello virtuale, cioè comprensivo degli sconti. Un ulteriore «dilatamento dei tempi», anche considerato che i calcoli «sono fatti a mano dal singolo magistrato» visto che «il sistema informatico a disposizione di procure, magistrati e penitenziari è inadeguato». In questo modo «non si arriva alla umanizzazione della pena, i cui effetti sono rinviati a regolamenti ancora inesistenti quali l’aumento di telefonate o l’assunzione di mille agenti di penitenziaria che non saranno in servizio prima di 3 o 4 anni». A tutto questo si deve aggiungere la «mancanza di servizi quali il Serd e la rete col territorio, che rende difficili i programmi riabilitativi terapeutici individuali. In molte regioni non ci sono le articolazioni di tutela della salute mentale per pazienti con gravi patologie psichiatriche, gestiti invece nelle sezioni ordinarie. Le strutture per l’accoglienza di soggetti indigenti avrebbe bisogno di fondi adeguati, ma nel decreto Carcere sicuro non c’è assolutamente nulla».
Le violenze
Nel frattempo nelle carceri aumentano scioperi della fame, atti di autolesionismo, risse, rivolte, aggressioni alla Polizia penitenziaria. A Uta, dove oltre ai suicidi si sono verificati 46 casi di tentato suicidio, mancano 38 agenti; a Sassari 128; a Massama ne servirebbero 55. Nell’istituto cagliaritano il 26 luglio un detenuto ha tentato di infilzare con una penna il volto del vice direttore, salvato dal provvidenziale intervento degli agenti, e il 5 agosto un carcerato ha appiccato il fuoco in una cella (è morto un suo compagno di 26 anni per un malore). «Dati allarmanti» secondo Irene Testa, garante per i diritti dei detenuti in Sardegna: «Gli istituti di pena nell’Isola sono sovraccarichi di persone malate. Il disagio psichiatrico si registra in quasi l’80 per cento dei casi. Sono tantissimi gli atti di autolesionismo e i tentati suicidi, 96 in totale nel 2023, che grazie alla Polizia penitenziaria e spesso ai compagni di cella riescono in qualche modo a essere sventati». Ma c’è dell’altro. «Il lavoro è poco diffuso e le persone che vivono nelle celle sono molto spesso tossicodipendenti, con gravi fragilità, persone che non dovrebbero stare in una cella perché non possono essere curate in un istituto carcerario», anche perché «la polizia penitenziaria non ha né le competenze, né dovrebbe essere il suo ruolo, per gestire i malati».
Gli avvocati
Una preoccupazione condivisa dagli avvocati delle Camere penali di Cagliari, che a luglio hanno preso parte allo sciopero nazionale contro le condizioni delle carceri, mentre i sindacati della Polizia penitenziaria sostengono che «il carcere di Uta è nel caos, ormai assistiamo quotidianamente a poliziotti che ricorrono alle cure sanitarie poiché vittime di vili aggressioni. La situazione ha raggiunto una situazione di non ritorno e coloro che devono tutelare il personale, ovvero le massime istituzioni dell'amministrazione penitenziaria, davanti a questi episodi non applicano le circolari dipartimentali trasferendo i detenuti protagonisti di tali violenze».
L’iniziativa
Infine, si deve rilevare che Andrea Delmastro delle Vedove, avvocato, sottosegretario alla Giustizia, pensa di aver trovato la soluzione: «Mandare nei loro Paesi i 19.213 stranieri detenuti in Italia farebbe risparmiare tra i 137 e i 150 euro al giorno: facendo il calcolo per 365 giorni, troveremmo i fondi per costruire carceri, assumere agenti e personale». L’uovo di Colombo. C’è da aggiungere che, “cancellando” quel numero di carcerati, la relativa popolazione (in base ai dati del 22 luglio) scenderebbe a 41.934 rispetto ai 46.996 posti disponibili. Quindi, niente più sovraffollamento. E niente più necessità di nuovi penitenziari, evidentemente. Magari i fondi in avanzo potrebbero essere usati per altre imprese. Come il ponte di Messina, con chiarezza più importante del futuro di persone in carne e ossa dimenticate in una cella. La popolazione carceraria non è di interesse. Eppure esiste.
La lettera
Di seguito la lettera inviata all’Unione Sarda da alcuni detenuti a Uta (firmata: l’Unione ha le generalità dell’autore e delle persone citate nella missiva, che risultano tutte ristrette nel carcere. Si tratta di una sintesi priva di alcuni passaggi più duri) e, nella parte in corsivo, la risposta da parte di persone che nel carcere lavorano tutti i giorni e sono a conoscenza della situazione.
«Scriviamo all’Unione Sarda con la speranza che ci dia voce per tutto quello che accade dietro queste mura di gomma dove niente si sa all’esterno. Riepilogheremo alcuni dei fatti che accadono purtroppo quotidianamente all’interno di questo istituto partendo dai più recenti accaduti nella sezione di transito che invece viene usata come isolamento punitivo.
Proprio lì accadono cose che la nostra società non dovrebbe permettere, in quanto la detenzione dovrebbe servire, con l’aiuto di agenti, educatori eccetera, alla rieducazione di ogni soggetto e al loro reinserimento nella società. Tutto quello che rendiamo noto proviene da fonti interne, da detenuti che svolgono un’attività lavorativa. Se ne parla solo qui per paura di ritorsioni da parte di alcuni agenti, un gruppetto. Da poco hanno picchiato un ragazzo straniero che ha accusato forti dolori al petto, poi trasferito dopo più di otto mesi di duro isolamento e vari pestaggi. Nel rapporto si parla sempre di scivolamento sotto la doccia o caduta rovinosa dalle scale. Nella sezione le finestre sono state smontate e poi rimontate all’esterno, oltre le sbarre, in modo tale che possa aprirle o chiuderle solo l’agente, così che in base al grado di punizione inflitta l’individuo sia lasciato al totale isolamento, privo anche della luce del sole, o completamente al freddo durante la notte.
C’è il caso di un ragazzo con gravi problemi psichiatrici detenuto in carcere anziché in una struttura idonea ai suoi problemi mentali: viene picchiato perché non è in grado di capire che deve usare il bagno, gli viene tolta l’elettricità per giorni e a volte in pieno inverno viene colpito da un getto gelido di acqua ad altissima pressione dall’idrante. C’è un ragazzo che vive perennemente nudo e sporco, tanto che l’hanno rinchiuso nelle celle della matricola isolandolo da tutti in modo che non rechi disturbo. Chi avesse bisogno di lavorare è costretto a subire continue pressioni con richieste di informazioni su traffici interni: ma così si mette a rischio l’incolumità di chi accetta il ricatto per necessità economica, familiare eccetera.
C’è la gestione del sopravvitto, che dovrebbe garantirci una qualità dei beni acquistati a un prezzo di concorrenza. Ma ci ritroviamo a pagare il più delle volte prezzi anche doppi su alimenti come il caffè. L’acqua dovrebbe essere per legge potabile ma l’impianto è fuori norma: dalla condotta di Abbanoa passa all’interno di cisterne di plastica senza l’aiuto di uno sfangatore e di un filtro per abbattere la presenza di batteri, così c’è cloro in quantità e alcuni di noi lamentano periodicamente la presenza di pelle secca. I boiler sono quasi sempre in manutenzione a causa dei fanghi trasportati e non filtrati, se apriamo il rubinetto dell’acqua calda questa esce di colore marrone chiaro. Tanti soffrono di calcoli renali.
Infine, a metà marzo scorso c’è stato un tentativo di evasione per un errore degli agenti di turno, che non hanno chiuso a chiave il cavedio di servizio idraulico. Il ragazzo vi ha avuto accesso e da lì, forzando una grata metallica obsoleta, ha potuto accedere ai sotterranei per poi uscire su un’altra grata (anche questa obsoleta, visto che il ragazzo non disponeva di alcun arnese da scasso). Dalle 17 si sono accorti solo alle 22 della sua mancanza.
E meno male che a momenti apriranno il reparto di massima sicurezza.
La replica
Si chiama sezione di transito ma è un reparto di isolamento, luogo dove i detenuti vengono inviati da un apposito Consiglio di disciplina e non per decisioni unilaterali. A Uta ci sono tanti detenuti psichiatrici ingestibili, molti dei quali si rendono responsabili di gravi aggressioni a compagni di cella e agenti della penitenziaria (alcuni hanno avuto prognosi di 30 giorni). Come si possono mettere tutte assieme persone che vivono situazioni simili, di disagio psichiatrico ma anche personale, come i carcerati? A volte alcuni battono sulle sbarre della cella per tutta la notte impedendo agli altri di dormire o si rendono responsabili di atti di violenza anche solo per essere trasferiti. Si deve garantire la sicurezza, e poi all’interno dell’istituto ci sono le telecamere ed è tutto filmato: ogni violenza viene registrata e denunciata. L’acqua è controllata costantemente da una ditta specializzata. Quel che si dice nella lettera non è vero.