È tornato in panchina a 74 anni. Quasi per caso. «I tecnici della Marcozzi, mio figlio Massimo e Stefano Curcio, d’estate seguono una “clinic” al Forte Village. Non avevano tempo per allenare i ragazzi che restano in città a Cagliari. Così mi hanno chiesto: ti va di far fare due-tre cesti ai nostri under? Potevo dire no»?

Fabio Ferrero (foto concessa)
Fabio Ferrero (foto concessa)
Fabio Ferrero (foto concessa)

Assolutamente. Così Fabio Ferrero è tornato a casa e ha riscoperto che l’amore per il tennistavolo non si era mai sopito, era solo in letargo, pronto per risvegliarsi, dopo oltre vent’anni. Ancora più forte, come sempre.

«Avevo lasciato per troppo stress. Era l’ottobre del 2002, avevamo vinto l’ultimo campionato di A1. Dentro di me sentivo che si era rotto qualcosa e l’ho detto ai dirigenti della Marcozzi, di cui all’epoca ero anche presidente. Fu uno choc per tutti, ma era una decisione per me inevitabile. Come è stata oggi quella di ritornare sulla panchina della A2 maschile con nuovi giovani da far crescere insieme agli altri tecnici della nostra società». 

Fabio Ferrero, si capisce da queste parole,  è un autentico uomo di sport, un esempio  non solo per Cagliari, ma per tutta la Sardegna. Prima calcio, poi tennis, sempre ad alti livelli, quindi la scoperta del tennis tavolo, davvero casuale. «Avevo 19 anni, mio padre mi chiese di andare a recuperare mio fratellino Ferruccio che si trovava in vacanza in un campeggio a Pula. Sotto un gazebo vidi il tavolo da ping pong e tanta gente che ci giocava. Io nasco calciatore, portiere degli Allievi de La Palma nell’anno della sua fondazione, il 1962. Dopo un infortunio serio, provai con il tennis. Il mio maestro fu Lillo Palmieri, a Monte Urpinu: correvo tanto, mi prese nel suo gruppo. Con il ping pong fu amore a prima vista, portai anche un tavolo a Monte Urpinu, al Tennis club, ci giocavamo quando pioveva. Ci vide il conte Bruno Tomassini Barbarossa che fu il nostro mecenate: ci mise a disposizione una sala affrescata in una villa che dava sui suoi vigneti a Fonsarda, facemmo grazie a lui i primi campionati di serie D. A ping pong giocavo in pratica come facevo a tennis: tecnica da rivedere, insomma. Mi sono applicato, ho studiato, alla fine i migliori risultati li ho ottenuti sui tavoli».

Fabio Ferrero (foto Paolo Carta)
Fabio Ferrero (foto Paolo Carta)
Fabio Ferrero (foto Paolo Carta)

Sì, perché se Fabio Ferrero è stato un ottimo Terza categoria a tennis, tra i primi dieci giocatori isolani negli anni Sessanta, a tennis tavolo è arrivato Seconda categoria e ha giocato in Serie B. «Però il movimento stava crescendo e servivano tecnici. Così il presidente della Marcozzi mi prese da parte e mi disse: Occorre che tu diventi allenatore. Ho seguito il suo consiglio, è stato naturale anche per i miei studi: mi ero diplomato all’Isef, oggi sarebbe una laurea in Scienze Motorie, tradendo sia la Facoltà di Storia e Filosofia (mi mancava un esame più la tesi per completare gli studi) sia le aspettative dei miei genitori che volevano entrassi nell’attività di famiglia, lo studio di ingegneria. Ma io con la matematica proprio non avevo un buon feeling: meglio studiare lo sport».

Fabio Ferrero (foto Paolo Carta)
Fabio Ferrero (foto Paolo Carta)
Fabio Ferrero (foto Paolo Carta)

Perché Fabio Ferrero è proprio uno studioso, sempre in continuo aggiornamento. «Negli anni Settanta fui tra i primi in Italia a seguire la nuova frontiera del tennis tavolo. La federazione mi consentì di viaggiare, di conoscere i migliori tecnici al mondo e io sposai la nuova linea cinese: meno effetti, più velocità. E poi la copertura con il dritto e non con il rovescio delle palle centrali. Una rivoluzione per il tennis tavolo, seguii i precursori e i risultati in Italia arrivarono».
La Marcozzi è stata negli anni una fucina di talenti. Il cagliaritano Walter De Giorgi arrivò al numero cinque della classifica italiana, il cinese Yang Min, punto di forza della squadra cagliaritana in A1 per tanti anni, sotto la guida di Fabio Ferrero divenne 17 al mondo e in un torneo Open battè Jan-Ove Waldner, lo svedese numero uno al mondo negli anni 80. E poi Massmo Costantini e Massimiliano Mondello, per ricordare solo i migliori.
Con un curriculum simile è stato naturale che ritornasse adesso alla Marcozzi, società che in questi giorni ha festeggiato il mezzo secolo di attività e che nel palazzetto di Mulinu Becciu è il riferimento per tanti giovani: «Lavorare con ragazzi come Martinelli e Spagnolo e con la sedicenne Rossana Fergiug è davvero stimolante anche se a 74 anni mi sono dovuto rimettere a studiare perchè il tennis tavolo è profondamente cambiato in questi ultimi vent’anni. Soprattutto sono diverse le palline: non più in celluloide, ma di plastica, non prende gli effetti, il top spin è finito nel dimenticatoio, un po’ come nel tennis adesso è importante avere il fisico perché si tira sempre forte, ma soprattutto la tecnica perché un gesto perfetto alla fine è sempre quello che paga».

Fabio Ferrero (foto concessa da Fabio Ferrero)
Fabio Ferrero (foto concessa da Fabio Ferrero)
Fabio Ferrero (foto concessa da Fabio Ferrero)

Si resterebbe ore a parlare di sport con Fabio Ferrero, che è stato anche insegnante di tennis, nella scuola del Tennis club Cagliari alla Fiera, la più numerosa d’Europa attorno al 1980, guidata da Luciano Bassotto, per poi passare al Monopolio  di Stato, dove tirò su giovani di assoluto liello reigonale come Patrizia Mirtillo e Alessandro Valli, insieme al collega Pino Melis. 

Ma la Marcozzi resta una sua creatura. «Adesso è una società in forte espansione. Abbiamo una scuola e un gruppo agonistico di un certo livello, con numeri buoni e ottima qualità. E uno staff tecnico di prim’ordine, e non penso al sottoscritto ma a mio figlio Massimo, a Stefano Curcio e Salvatore Scotto. Ci toglieremo nelle soddisfazioni, con il lavoro e l’impegno».
Impossibile non parlare con Ferrero del suo Tennis club Cagliari, dove ancora oggi si concede le partitelle settimanali con gli amici: «Gioco due-tre volte alla settimana, se posso ancora in singolo. Il Tennis club Cagliari con l’arrivo di Martin Arguello Vassallo, ex numero 50 al mondo, alla guida del settore tecnico, con Andrea Lecca e Stefano Mocci per seguire i migliori giovani e la scuola tennis affidata a Dionigi Mostallino, ha gettato le basi per arrivare a un altissimo livello di competenza e organizzazione. Tutto questo è fondamentale: chi semina così è destinato a raccogliere, nello sport come nella vita non si improvvisa niente, nulla si deve lasciare al caso».
 Parola di coach, anzi, di uomo di sport.

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