Sardegna isola felice in mezzo al Mediterraneo, estranea ai sodalizi mafiosi che infettano altre zone d’Italia ma non riescono a far breccia dalle nostre parti. «Storicamente la giustizia, in buona parte dell’Isola, è sempre stata un fatto personale che non poteva essere delegato né allo Stato né a qualsiasi gruppo di potere, compreso quello mafioso». Dunque ecco il rifiuto di «accettare con rassegnazione il torto e l’umiliazione che hanno afflitto i territori della mafia». Questa è in sintesi la tesi sostenuta da Pino Arlacchi nel libro “Perché non c’è la mafia in Sardegna” del 2007.

Sono passati 14 anni e la teoria - corretta o meno nelle motivazioni sulla presunta assenza di quei raggruppamenti criminali - sembra apparentemente confermata pur dovendo essere aggiornata sotto vari aspetti. Già nel 2017 l’allora procuratrice distrettuale Maria Alessandra Pelagatti aveva sostenuto sull’Unione Sarda che a fronte dell’assenza nell’Isola di associazioni mafiose c’era il rischio di entrarvi comunque in contatto, con un conseguente «asservimento», a causa del «diffusissimo consumo di cocaina, hascisc e marijuana»: i trafficanti sardi si riforniscono dalle organizzazioni criminali campane. Inoltre a suo dire i metodi mafiosi erano e sono evidenti negli attentati usati «come strumento per condizionare l’esito delle gare e, in altri casi, le stesse scelte di politica locale degli amministratori». Mezzi meccanici e strumenti di lavoro fatti saltare in aria «per impedire a un’azienda di partecipare a una gara pubblica». Infine, sulle località costiere ecco le «infiltrazioni mafiose con investimenti in iniziative immobiliari, soprattutto nel settore alberghiero. Non solo al nord dell’Isola».

Una piantagione di canapa indiana nel Nuorese (archivio)
Una piantagione di canapa indiana nel Nuorese (archivio)
Una piantagione di canapa indiana nel Nuorese (archivio)

Il quadro è ora confermato dalla “Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia” relativa al periodo luglio-dicembre del 2020. Uno studio approfondito sulla criminalità organizzata di tutta Italia, locale e straniera, con approfondimenti sulle singole regioni, gli appalti pubblici, il riciclaggio di denaro sporco, le attività di prevenzione. Per la nostra Isola le conclusioni sono in chiaro scuro: al momento «sul territorio sardo non si ha riscontro del radicamento stabile di sodalizi criminali mafiosi», è spiegato nel documento lungo 531 pagine, ma «nel tempo è stata rilevata la presenza di soggetti riconducibili alle “mafie tradizionali” che nell’Isola hanno riciclato capitali illeciti o evidenziato interessi nel narcotraffico». Dunque si torna sempre lì: le sostanze stupefacenti e il riutilizzo dei proventi illeciti in attività apparentemente lecite. «La Sardegna si conferma crocevia di traffici di droga significativi anche a carattere transnazionale». Con un altro aspetto da tenere in serissima considerazione, cioè la crescita delle organizzazioni criminali mafiose nigeriane. L’ultima delle quali smantellata dalla Guardia di Finanza di Cagliari pochi mesi fa con l’arresto, tra la Sardegna e altre regioni italiane, di quaranta persone.

Marijuana incellophanata (archivio)
Marijuana incellophanata (archivio)
Marijuana incellophanata (archivio)

Rapine e smercio di droghe

La prima parte dello studio riguarda la criminalità italiana. Emerge che in Sardegna L’attività principale riguarda lo «smercio e spaccio di droghe», come «dimostrato» tra l’altro dall’elevatissima «diffusione di piantagioni di cannabis in aree sempre più estese dell’Isola», ma resta importante «l’operatività di bande autoctone specializzate nelle rapine mediante armi ed esplosivi» contro «furgoni portavalori, istituti di credito e uffici postali». Attività non di rado legate tra loro perché queste rapine «costituiscono certamente le fonti principali di un’accumulazione» di denaro poi investito in modo «importante soprattutto nel traffico di droga». Un campo sul quale «la criminalità locale e le mafie» stipulano accordi per ottenere «un reciproco vantaggio». È accaduto coi sodalizi mafiosi «campani e calabresi» come emerso dalle operazioni “Dama” e “Maddalena” portate avanti dalla Procura distrettuale cagliaritana nel luglio 2020 e nel gennaio 2021. Nel primo caso le indagini dei Carabinieri hanno smantellato un’organizzazione attiva in Sardegna e Lombardia (33 gli arresti) e fatto emergere i contatti di un gruppo criminale sardo con esponenti della cosca di ‘ndrangheta Barbaro-Papalia originaria di Platì (Reggio Calabria) ma operativa a Buccinasco (Milano) «che riforniva di cocaina ed eroina le province di Cagliari e Nuoro». L’organizzazione sarda aveva sviluppato un volume d’affari pari a un milione di euro al mese e il suo capo banda, nonostante fosse in carcere, gestiva lo smercio grazie a telefonini fatti entrare «clandestinamente« nella casa circondariale dove aveva anche «organizzato una rete di spaccio».

La rapina al furgone portavalori sulla 131 all'altezza di Bonorva nel 2015 (archivio)
La rapina al furgone portavalori sulla 131 all'altezza di Bonorva nel 2015 (archivio)
La rapina al furgone portavalori sulla 131 all'altezza di Bonorva nel 2015 (archivio)

Nel secondo hanno «svelato» come un nuorese fosse «a capo di due organizzazioni criminali»: una era «dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e di armi con la Corsica», l’altra era «specializzata negli assalti a furgoni portavalori e nelle rapine ai caveau in Sardegna e Toscana». La prima era formata da sardi, corsi e campani, faceva arrivare la droga in Corsica e da qui si riforniva delle armi. La seconda, i cui componenti erano «soggetti originari della provincia di Nuoro», si procurava i mezzi necessari agli assalti armati grazie all’aiuto dei clan Fabbrocino e Di Lauro, criminalità organizzata campana. Ma l’associazione contava anche sull’appoggio di sardi residenti in Toscana: il 31 luglio 2020 era stato intercettato un camion che trasportava in Sardegna armi, munizioni, esplosivi ed equipaggiamento d’assalto custodito in un ovile a Livorno. Erano stati sequestrati tre kalashnikov, due fucili, cinque pistole, due bombe a mano, micce, giubbotti anti proiettile e passamontagna.

Il capoluogo sardo

Cagliari per dimensioni della città e «rilevanza delle attività commerciali e imprenditoriali» è «maggiormente esposta all’influenza dei sodalizi mafiosi extraregionali» che, con i loro «associati» sul posto, «stringono accordi con gruppi criminali locali» per smerciare «stupefacenti e armi» e poi «reinvestire i capitali>. Per esempio nel settore immobiliare. Ma non sono immuni altri centri importanti dell’Isola. Nel 2017 l’operazione Omphalos aveva consentito di scoprire che due affiliati al clan Puca, camorra, erano interessati alla costruzione di un villaggio turistico; nel 2019 l’inchiesta “Fenice” aveva fatto emergere un’attività di riciclaggio con l’acquisto da parte della criminalità calabrese di una decina di appartamenti in un resort di Olbia, dove in precedenza era stato confiscato un complesso turistico riconducibile a un ex appartenente alla “Banda della Magliana”.

Ma l’Isola richiama l’interesse delle mafie anche per altre attività. Nel 2017 e 2018 le inchieste sul gioco d’azzardo e le scommesse on line avevano disvelato il coinvolgimento di alcune “famiglie” pugliesi (i clan baresi Capriati e Parisi) e della criminalità lucana e calabrese (col sequestro di apparecchiature elettroniche installate in varie province dell’Isola).

Appartenenti alle associazione criminali nigeriane controllati dalla Polizia (archivio)
Appartenenti alle associazione criminali nigeriane controllati dalla Polizia (archivio)
Appartenenti alle associazione criminali nigeriane controllati dalla Polizia (archivio)

La criminalità etnica

Sul fronte della «criminalità etnica», come viene definita nella relazione, il ruolo predominante è senz’altro rivestito dai cittadini nigeriani che, «oltre al traffico di sostanze stupefacenti», si occupano del «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» e della «tratta di esseri umani». Un argomento che svilupperemo nella seconda parte dell’approfondimento.

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