Un viaggio fino alla disperazione più nera e ritorno, poi una rinascita luminosa. Nel giro di tre anni. Si è fatto così tanto abuso della parola resilienza che alla fine ha perso ogni significato, e sarebbe meglio non usarla più: però quale altro concetto si dovrebbe scomodare per sintetizzare la storia recente di Bergamo, protagonista di una rifioritura che ha dell’incredibile, dopo aver subìto le peggiori ferite dal Covid?

Gli anniversari dei tre anni dalla drammatica foto dei camion militari che trasportavano le bare delle vittime della pandemia (era il 18 marzo 2020), nonché della pubblicazione sull’Eco di Bergamo di dieci pagine di necrologi (era il 13 marzo), sono caduti in un periodo particolarmente fortunato per il capoluogo prealpino. Per il 2023, insieme a Brescia, la città è stata consacrata capitale italiana della cultura: e questo ha permesso di organizzare, a partire dall’inaugurazione ufficiale del 20-21 gennaio, una serie di eventi che l’hanno riportata al centro dell’attenzione nazionale, creando anche un significativo indotto economico.

La storia della foto

Certo non era immaginabile in quella notte di marzo di tre anni fa, quando la lugubre sfilata dei mezzi dell’Esercito con le bare contribuì a far capire davvero, a tutti gli italiani, la dimensione del dramma in cui eravamo precipitati. Il Covid (allora lo si chiamava ancora, semplicemente, coronavirus) era diventato solo da poche settimane un’emergenza, in seguito all’esplosione del focolaio di Codogno il 21 febbraio. Ma il governo guidato da Giuseppe Conte aveva già proclamato il lockdown.

La Lombardia e il Veneto erano le regioni inizialmente più colpite, e rapidamente Bergamo divenne la città costretta a pagare il prezzo maggiore in termini di vittime. Se ne contarono più di 300 in una settimana, bilancio confermato appunto dal record di necrologi sul quotidiano locale, toccato il giorno 13. Le agenzie funebri della zona, a loro volta in difficoltà per i contagi tra i dipendenti, e il forno crematorio del cimitero non riuscivano a tenere il passo dei continui decessi. Né si poteva addossare alle famiglie il peso, economico e organizzativo, del trasferimento dei feretri verso i crematori di altre province.

Per questo il Comune chiese l’aiuto dell’Esercito. La prima spedizione, il 18 marzo, portò via 65 bare e fu organizzata di notte per ridurre l’impatto psicologico sulla popolazione. Ma quella carovana che attraversava la città deserta per il lockdown, prima di sparpagliarsi verso varie destinazioni (in Piemonte, in Emilia Romagna, persino in Friuli), non poteva passare inosservata. Come ha potuto poi ricostruire, tra gli altri, Davide Maria De Luca sul quotidiano Domani, fu uno steward di Ryanair a scattare dalla finestra di casa la foto che fece rapidamente il giro del mondo, per descrivere la situazione dell’epidemia in Italia.

La Piazza Vecchia di Bergamo (foto Steffen Schmitz/Wikimedia Commons)
La Piazza Vecchia di Bergamo (foto Steffen Schmitz/Wikimedia Commons)
La Piazza Vecchia di Bergamo (foto Steffen Schmitz/Wikimedia Commons)

La strategia del Governo

La scelta di nominare Bergamo e Brescia, insieme, capitali italiane della cultura per il 2019 arriva proprio come risposta a quelle terribili sofferenze. È stato il decreto “Rilancio” a sancire il riconoscimento, il 16 luglio del 2020, col preciso scopo – come spiega una nota del ministero della Cultura – di “compensare il territorio per la tragica esperienza pandemica e i suoi lutti, ma anche per raccogliere tutte le energie e indirizzarle verso una vera e propria azione di rilancio”.

I danni determinati dal Covid non erano calcolabili solo in vite umane perdute, ma anche nella grave difficoltà che quella situazione ha determinato per tutto il tessuto produttivo, per i lavoratori, per le famiglie. Dopo la nomina a capitale della cultura, perciò, Bergamo ha avviato un’intesa opera di “ricostruzione”, non materiale, ma socioeconomica. È stato ideato un fitto calendario di attività e manifestazioni, sono stati risistemati i vari luoghi della cultura, creati percorsi ed esperienze di vario tipo da offrire ai visitatori. Tutto questo lavoro ha consentito alla città di arrivare pronta all’appuntamento con l’inaugurazione del gennaio scorso, che ha dato il via a tutte le iniziative previste dall’organizzazione.

Queste ultime si snodano attorno ai quattro grandi ambiti in cui è stato articolato l’anno: la città dei tesori nascosti, la città-natura, la città che inventa, e poi la cultura come cura. Si va dalle mostre agli eventi musicali, dai convegni alle attività per le scuole, dalla creazione di percorsi naturalistici agli interventi infrastrutturali per rendere più accessibili i luoghi in cui la cultura si esprime, e altro ancora.

Bergamo, Porta San Giacomo (foto Steffen Schmitz/Wikimedia Commons)
Bergamo, Porta San Giacomo (foto Steffen Schmitz/Wikimedia Commons)
Bergamo, Porta San Giacomo (foto Steffen Schmitz/Wikimedia Commons)

Non c’è bisogno di attendere i bilanci di fine anno o i calcoli sull’indotto turistico per dire che si tratta di una scommessa già vinta: sia Bergamo che Brescia, infatti, hanno dimostrato di saper mettere in campo le proprie migliori energie, sia dalla parte pubblica che dai soggetti privati, per una collaborazione virtuosa che ha restituito speranza a un territorio così tanto provato. Il dolore determinato dalla pandemia non potrà mai essere dimenticato, e quasi ogni famiglia bergamasca manterrà memoria di qualche lutto più o meno vicino causato dal virus. Ma un’intera popolazione ora sa di aver dato un grande esempio di coraggio e ardore, nel momento della prova più dura.

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