C’è un tesoro di 148,1 miliardi di euro, nelle casse dello Stato, registrati sotto la voce “pentimenti”. Una valanga di soldi, a prima vista, spalmati però negli ultimi cinquant’anni, che lo Stato è riuscito a incassare grazie alla politica dei condoni, fiscali e non, nel senso che in questa stima rivalutata anche in base all’inflazione ci sono ad esempio quelli edilizi, assieme agli altri.

Un bene perché lo Stato ha recuperato risorse da investire (in certi casi, sprecare) per far funzionare la macchina-Paese? Un male perché quei 148,1 miliardi di euro sono assai di meno rispetto a quanto l’Erario avrebbe dovuto procurarsi dando la caccia e sanzionando chi non aveva pagato quanto dovuto, nel momento dovuto? Il dibattito, che anima in modo irrisolvibile il dibattito politico, sembra destinato a riproporsi da qui all’eternità.

Fatto sta che, nella classifica dell’evasione tributaria e contributiva nelle regioni, la Sardegna ha un vergognosissimo quinto posto nazionale, frutto di dati francamente preoccupanti. Secondo la ricerca della Cgia, il valore dell’economia sommersa è 15,8%, contro una media italiana dell’11,6%. L’evasione di imposte e contributi (sono ancora dati del 2020) nell’Isola è stata di 2,4 miliardi di euro, pari al 17,8%. Il confronto con la media nazionale è 13,2%. I dati peggiori sono quelli della Calabria: 18,8% di economia sommersa, evasione fiscale al 21,3%. In provincia (autonoma) di Bolzano i più virtuosi in Italia: 8,2% di sommerso, 918 milioni di euro di evasione fiscale e contributiva pari al 9,3% di evasione fiscale.

Qual è stato, per lo Stato stavolta con la maiuscola, l’anno record per gli incassi dovuti alla politica dei condoni? A chiederselo è stata la sempre attivissima Cgia di Mestre, cioè l’Associazione artigiani e piccole imprese, che è una fucina di dati economici grazie agli studi che conduce. E proprio facendo le pulci alla contabilità statale, la Cgia ha scoperto che in sei anni, dal 2003 al 2008, sono stati recuperati 28 miliardi di euro. Vale a dire, un sacco di soldi. Sono frutto di concordato fiscale, chiusura di liti pendenti, definizione dei ritardi e degli omessi versamenti, regolarizzazione delle scritture contabili e altri piatti di un menu tutto sommato omogeneo.

Lo studio identifica anche i posti in classifica dal secondo in giù. Andò alla grande il condono tombale introdotto nel 1991, che fino al 1994 ha garantito l’ingresso di 10,4 miliardi ormai insperati nelle casse dello Stato. Subito dopo, nel 1995, ci s’inventò anche un concordato-sanatoria delle scritture contabili, che ha rastrellato altri 8,4 miliardi di gettito. Da notare che gli incassi di ogni singola iniziativa improntata al “perdono comprato”, perché questo sono i condoni, hanno suddiviso i propri benefici nell’arco di gruppi benché piccoli di anni.

Dove ha cercato, la Cgia di Mestre, questi dati? Nel luogo più ufficiale che esiste in Italia, cioè l’Istat nella parte in cui si occupa della contabilità nazionale, con numeri che sono in linea con l’effettivo incasso di questi “pentimenti fiscali” su cui lo Stato ha potuto contare.

L’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre ha però preso in considerazione gli ultimi cinquant’anni di storia contabile della Repubblica, quindi a partire dal 1973. Analizzando gli incassi, ha concluso che gli scudi, i concordati, le rottamazioni, i condoni, le sanatorie e le pacificazioni fiscali – stringi stringi – pur avendo un valore molto alto in termini assoluti, in realtà hanno contribuito in maniera molto modesta a contrastare l’evasione fiscale. In Italia resta ancora molto alta: è stimata intorno ai 90 miliardi di euro l’anno. Nel 2020, cioè l’ultimo dato disponibile, il peso dell’economia che con giro di parole si definisce “non osservata” (significa che sfugge al fisco) sul valore aggiunto nazionale era all’11,6%, per un controvalore in euro di 174,6 miliardi.

Su questa cifra, l’economia sommersa pesava 157,4 miliardi, mentre la quota delle attività illegali è stimata in 17,3 miliardi. L’evasione fiscale e contributiva, invece, nel 2020 era attorno ai 90 miliardi di euro: 78,9 di evasione tributaria, 10,8 di evasione contributiva. Se al sommerso si applica un coefficiente che è determinato dal rapporto tra gettito fiscale e valore aggiunto che si desume dalla contabilità nazionale al netto dell’economia “non osservata”, la Cgia di Mestre calcola anche l’evasione a livello regionale. E la Sardegna è la quinta regione della lista.

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