Nove latitanti di lunghissima data più uno, Cesare Battisti, 66 anni, di Latina, forse il più conosciuto, ospite per un periodo del penitenziario di Massama a Oristano e ora detenuto in Calabria. Dieci persone diverse tra loro con un punto in comune: l’aver fatto parte di gruppi terroristici di sinistra e l’essere scappati all’estero per evitare la carcerazione. Episodi in parte slegati tra loro e per altro verso strettamente connessi tornati alla ribalta due settimane fa consentendo anche ai più giovani di scoprire una parte di storia d’Italia per loro forse poco nota perché datata. Un periodo oscuro che si può provare a raccontare anche grazie alle dichiarazioni rese da Battisti ai magistrati della Dda di Milano durante due interrogatori in Sardegna. Verbali nei quali il condannato all’ergastolo per quattro omicidi confessa per la prima volta le proprie responsabilità e descrive il clima che si respirava allora in Italia.

La premessa è quanto avvenuto lo scorso 28 aprile quando, quasi quarant’anni dopo la decisione dell’allora presidente Francois Mitterrand di non concedere l'estradizione a imputati o condannati ricercati per azioni violente ma d'ispirazione politica, a meno che si fossero macchiati di reati di sangue, la Francia di Emmanuel Macron ha accolto le richieste del premier Mario Draghi e deciso di consegnare all’Italia dieci ex terroristi rossi italiani che avevano trovato accoglienza oltralpe. Sette quelli arrestati all’alba, altri due si sono consegnati il giorno dopo, il decimo (Maurizio Di Marzio) è fuggito e pochi giorni fa per lui è scattata la prescrizione: non è più perseguibile.

Sono finiti in cella, per essere subito scarcerati e sottoposti alla libertà vigilata, gli ex delle Brigate rosse Enzo Calvitti (66 anni, condannato a 18 anni e 7 mesi per associazione sovversiva e banda armata), Giovanni Alimonti (66 anni, condannato a 11 anni e mezzo per banda armata), Roberta Cappelli (66 anni, condannata all’ergastolo per associazione terroristica e concorso in omicidio), Marina Petrella (67 anni, condannata all’ergastolo per l’omicidio del generale dei carabinieri Enrico Galvaligi), Raffaele Ventura (71 anni, condannato a 20 anni per l’omicidio del poliziotto Antonio Custra) e Sergio Tornaghi (63 anni, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della Ercole Marelli), l’ex di Lotta Continua Giorgio Pietrostefani (77 anni, condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi) e l’ex dei Nuclei armati contro il potere territoriale Narciso Manenti (64 anni, condannato all’ergastolo per l’omicidio del carabiniere Giuseppe Gurrieri). La vicenda si è chiusa invece per Luigi Bergamin, 72 anni, ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac) condannato a 16 anni e 11 mesi gli omicidi del maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro, a Udine il 6 giugno 1978, e dell'agente della Digos di Milano Andrea Campagna nel capoluogo lombardo il 19 aprile 1979: l’11 maggio la Corte d’appello di Milano ha dichiarato estinta per prescrizione la pena.

L'ex brigatista Marina Petrella (foto\u00A0EPA/ANSA)
L'ex brigatista Marina Petrella (foto\u00A0EPA/ANSA)
L'ex brigatista Marina Petrella (foto EPA/ANSA)

Per tutti gli altri ora scatterà la procedura per l’estradizione e il loro rientro nei confini nazionali, dove varcheranno le porte di un carcere, ma i tempi non saranno brevi: almeno 2 o 3 anni, come spiegato dall’Eliseo, che ha dato il via libera dopo un lungo «temporeggiamento e una certa indulgenza» avendo finalmente «preso coscienza del trauma degli anni di piombo, dei rapimenti e degli omicidi» e della necessità «di riconoscere tutto questo. È stata una richiesta esplicita del capo dello Stato Sergio Mattarella e del presidente del Consiglio Draghi e da parte nostra è arrivato un atto coraggioso». Una virata di 180 gradi, rispetto alla strada seguita negli ultimi 40 anni, che in Francia ha sollevato polemiche: alla notizia degli arresti non poche voci contrarie hanno protestato e chiesto al Governo di fare marcia indietro sostenendo che il voler punire episodi criminali vecchi decenni è solo una «vendetta». Pietrostefani, difeso su questo fronte dall’ex compagno di Lotta continua Adriano Sofri (condannato a 22 anni per lo stesso omicidio Calabresi, come l’amico Ovidio Bompressi), ha subìto un trapianto di fegato, e Petrella nel 2008 ha evitato l’estradizione per il deperimento delle sue condizioni di salute legato a uno sciopero della fame che la stampa locale definì «lo sciopero della vita». Alimonti vive con la moglie malata. Il 6 maggio, davanti alla Corte d’appello di Parigi, Marina Petrella ha detto ai cronisti di essere «sconvolta. Stiamo raschiando il fondo del barile. Ho vissuto tutti questi anni con un grande dolore. Dolore e compassione per le vittime. Per le famiglie coinvolte, compresa la mia. Ho fatto 10 anni di carcere, fra Italia e Francia. E 30 di esilio, una pena senza sconti e senza grazie. Che ti impedisce di tornare nella tua terra».

Insomma, i rivoluzionari allora armati di ideologia e pistola oggi sono anziani pensionati ritenuti innocui. Opinione in una certa misura emersa anche in Italia: come se l’aver commesso un reato grave (omicidi, stragi, attentati con morti e feriti e nessuna giustizia per i parenti delle vittime) non sia meritevole di essere perseguito anche a distanza di tanto tempo e la fuga rendesse innocenti i colpevoli. Si parla di un’eventuale grazia o di un’amnistia generale per chiudere i conti con un periodo buio e garantire un clima di pacificazione, ma la premessa è comunque il rientro in Italia dei transfughi. Nessuno dei nove arrestati però davanti ai giudici ha accettato l’estradizione, dunque sarà la magistratura a decidere caso per caso. Sino alla Cassazione. L’ultimo passaggio, se vi si arriverà, sarà la firma di un decreto apposito da parte del primo ministro, che a sua volta potrà essere impugnato per un ricorso amministrativo davanti al Consiglio di Stato.

Pierluigi Torregiani, il gioielliere ucciso nel '79 dai Pac (foto Ansa)
Pierluigi Torregiani, il gioielliere ucciso nel '79 dai Pac (foto Ansa)
Pierluigi Torregiani, il gioielliere ucciso nel '79 dai Pac (foto Ansa)

In tutto questo è tornata alla ribalta la figura di Cesare Battisti, 66 anni, forse l’ex latitante più conosciuto, condannato all’ergastolo quale autore materiale e in concorso degli omicidi del maresciallo del corpo degli agenti di custodia Antonio Santoro (Udine, 6 giugno 1978), del gioielliere Pierluigi Torregiani (foto sopra: 16 febbraio 1979 alle 15 circa, MIlano), del macellaio Lino Sabbadin (16 febbraio 1979 alle 18 circa, Santa Maria di Sala) e dell’agente della Digos Andrea Campagna (19 aprile 1979, Milano). Delitti che però sino a due anni fa negava di aver commesso, sostenendo di non essere mai stato un rapinatore o un delinquente abituale ma solo l’autore di alcuni furti qualificati come espropri proletari. «Non ho mai sparato a nessuno». Poi una volta entrato in cella il dietrofront, la confessione e la decisione di «chiedere scusa ai famigliari delle persone che ho ucciso e alle quali ho fatto del male perché penso che la lotta armata sia stata un movimento disastroso che ha stroncato una rivoluzione culturale e sociale». Nella prossima puntata entreremo nel dettaglio del suo racconto, che abbraccia cinquant’anni di vita oltre i confini della legge.

                                                                                                                                                                                                                   (1-continua)

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