È un periodo particolarmente intenso per le opere di Caravaggio quello che stiamo vivendo, tra dipinti che ritornano in Italia, quadri che vengono attribuiti all’autore “maledetto” e capolavori che si possono nuovamente ammirare nel nostro Paese. Dopo oltre cinquant’anni dalla sua rimozione dalla chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, ad esempio, la “Flagellazione di Cristo” realizzata da Caravaggio è tornata per circa tre mesi nel centro di Napoli. L’occasione di questo ritorno è stata una mostra, di sicuro dal valore eccezionale, al museo diocesano di Donnaregina, nel capoluogo campano.

Non solo. Continua anche il dibattito sull’attribuzione a Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, di alcune opere, come il famoso “Ecce Homo” di Madrid e quello di Genova. Quadri che vengono in qualche modo studiati nei minimi particolari per poi arrivare a una attribuzione certa (e anche a un valutazione definitiva del loro valore). E il dipinto ritrovato a Madrid ora è il fulcro di una nuova mostra che si è aperta nella capitale spagnola.

La Flagellazione

La “Flagellazione di Cristo”, opera tra le più celebri e drammatiche tra quelle attribuite dal geniale pittore lombardo (di Caravaggio appunto) che rivoluzionò l’arte del Seicento con la sua maestria nel rendere gli effetti della luce e la sua arte particolare nel rendere i volti degli uomini (con spesso personaggi della vita quotidiana ritratti nei suoi quadri), è stata esposta dal 28 di febbraio e fino al 31 maggio a Napoli dopo l’ultimo prestito concesso al Louvre per la mostra “Naples à Paris”. Il dipinto è stato messo in mostra a meno di un chilometro dalla sua sede originaria, la chiesa di San Domenico Maggiore, appunto. Un’opera eccezionale, realizzata nel 1607 durante il primo periodo napoletano di Caravaggio: la tela era stata dipinta da Michelangelo Merisi per la cappella della famiglia De Franchis nella chiesa al centro di Napoli, e rappresenta il momento in cui Cristo, legato a una colonna, subisce il flagello da parte di due torturatori. La tela viene considerata un capolavoro assoluto per il crudo realismo della scena e per il contrasto, rappresentato in maniera magistrale da Caravaggio, tra il corpo martoriato di Cristo e i volti quasi indifferenti dei suoi aguzzini. Nel 1972 l’opera, per questioni di sicurezza, venne trasferita al Museo di Capodimonte dove è stata per anni uno dei dipinti più ammirati della ricca collezione del museo, nel quale sono presenti numerosi capolavori di Caravaggio ma anche dei suoi seguaci. In particolare, di coloro che fecero parte dell’entourage del Merisi nei suoi soggiorni napoletani. E la mostra su Caravaggio al museo diocesano di Donnaregina non fa che rinsaldare il legame tra l’artista e la città di Napoli.

Il dibattito

Resta aperto invece il dibattito su altri dipinti di Caravaggio, a iniziare da “Ecce Homo”, opera che sarà esposta al museo di Madrid. La sala 8° del Museo del Prado, infatti, sarà riservata per i prossimi quattro mesi e mezzo a un univo ospite d’eccezione, ossia il dipinto “Ecce Homo”, conosciuto anche come il “Caravaggio perduto”, al centro di una storia che da anni appassiona il mondo dell’arte. Dopo i primi mesi sarà spostato in un’altra ala dove sarà visibile almeno fino al 23 febbraio del 2025.

La tavola di 111 centimetri per 68 nel 2021 venne messa all’asta per poche centinaia di euro ma i dubbi delle autorità spagnole e il lavoro approfondito di alcuni critici hanno fatto sorgere dei dubbi su quel quadro fino ad attribuirlo infine al Merisi. Il dipinto sarà dunque esposto al Museo del Prado di Madrid e non come opera dello studente José de Ribera (detto “lo Spagnoletto”), come si credeva inizialmente, ma proprio di Caravaggio. L’attribuzione è avvenuta dopo un’approfondita analisi diagnostica condotta da Claudio Falcucci, ingegnere nucleare specializzato nell’applicazione di tecniche scientifiche per lo studio e la conservazione di beni culturali. Dopo un fine restauro, inoltre, eseguito con tecniche rigorose e con un’attenta valutazione dei materiali, l’opera è stata attribuita a Caravaggio e sarebbe stata realizzata tra il 1605 e il 1609. Un’attribuzione che è stata possibile anche grazie a quattro dei massimi conoscitori di Caravaggio: Maria Cristina Terzaghi, Keith Christiansen, Gianni Papi e Giuseppe Porzio. Tutti sono stati unanimi nel verdetto.

“La cosa eccezionale di questo quadro è che nessuno ha negato l’'autografia - ha spiegato Terzaghi all’ANSA – normalmente succede sempre che c’è una discussione tra gli studiosi, mentre in questo caso erano tutti d’accordo”. Dal punto di vista stilistico, il dipinto presenta tratti riconducibili all’ultima fase di attività di Caravaggio, stando alle voci esperte che lo hanno analizzato. In quel periodo, il pittore si era rifugiato a Napoli per il rischio di essere condannato a Roma: la scena rappresentata, che rievoca il passaggio evangelico in cui Ponzio Pilato mostra alla folla Gesù flagellato, condensa quindi “tutta l'emozione, tutta l'intensità drammatica della sua stessa esistenza, così come l’evoluzione del suo linguaggio pittorico”, aggiunge David García Cueto, responsabile della sezione di pittura italiana del Prado. Il quadro sarebbe arrivato in Spagna nel XVII secolo, entrando a far parte della collezione reale spagnola ai tempi di Filippo IV. Dopo se ne persero le tracce fino a ricomparire all’Accademia di San Fernando di Madrid “per finire poi tra le opere dei Perez de Castro negli anni Venti dell’Ottocento”, ha rivelato Miguel Falomir, direttore del Museo del Prado. Oggi, il proprietario del quadro non è un discendente degli antichi proprietari ma ha annunciato di volerlo tenere esposto al pubblico.

Il dibattito

Non tutti però sono d’accordo sul fatto che quel quadro sia di Caravaggio. Camillo Manzitti, critico d’arte e grande conoscitore dell’arte genovese, ad esempio, nel blog “Finestre sull’arte”, smonta questa teoria e pone dubbi sull’attribuzione. La sua analisi prende spunto soprattutto dall’esame del dipinto dopo il restauro con la rimozione, scrive Manzitti, “dell’oscura patina di sudiciume e vecchie vernici”. Secondo l’esperto “si tratta indubbiamente di un bel quadro, ma totalmente privo del vigore drammatico caravaggesco e della tensione emotiva connaturata al più tragico evento storico, destinato a sconvolgere il percorso dell’umanità”. In sostanza, Manzitti osserva che alcuni tratti dell’opera non mettono in evidenza il pathos emozionale tipico della pittura di Caravaggio e quindi il dipinto non sarebbe attribuibile al maestro lombardo. “Considerando le opere del pittore inerenti anch’esse al tema del martirio di Cristo e la forte tensione drammatica che le caratterizza, “l’Ecce Homo” testé ritrovato si contraddistingue per l’interpretazione all’insegna di una moderazione espressiva che davvero non sembra corrispondere alla tensione drammatica che ci si aspetta da Caravaggio”.

Al contrario, secondo Manzitti, è da considerate assolutamente autografo di Caravaggio “l’Ecce Homo” conservato nel museo genovese di Palazzo Bianco, nonostante il ritrovamento di Madrid sembrasse poter declassare quest’opera, dando così soddisfazione ai dubbi espressi in passato da alcuni studiosi. Dunque, Manzitti afferma che il dipinto genovese possa invece essere attribuito con un discreto margine di certezza a Caravaggio. Dispute artistiche che mettono a confronto più capolavori e che fanno dell’arte di Caravaggio ancora un insieme ricco di misteri.

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