Asgiu n’aeti di di’ li candadori di gara, come Candida Mara altu non ni po’ nascì: l’anonimo gallurese dei primi del Novecento ammoniva i cantadores che si sfidavano sui palchi delle feste di paese, avete voglia a parlare o cantori di gara, come Candida Mara non ne nasceranno altri. E, del resto, sempre dalla Gallura arriva l’autorevole giudizio del musicologo tempiese Gavino Gabriel a innalzare la donna di Nulvi che per prima ha osato sfidare gli uomini, con la voce, le gare dei cavalli e uno stile di vita non conforme ai canoni dell’epoca, sulle vette del canto tradizionale sardo. Una figura leggendaria, non esistono foto e neppure registrazioni, riportata in luce dallo scrittore Vanni Lai, col romanzo “La Cantadora”, un libro che sta tra il lavoro di ricerca e la narrazione letteraria. Lavoro di ricerca peraltro non facile, non solo perché non esistono molte testimonianze scritte ma perché nelle stesse famiglie e nelle comunità (Lai è un discendente della Cantadora) Candida Mara è stata condannata all’oblio di chi ha sfidato le convenzioni, tanto più se donna. Il suo paese le ha dedicato la biblioteca comunale ma per trovare tracce della sua vita è stato necessario un lavoro certosino tra gli archivi e le testimonianze.

Nata a Nulvi nel 1877 (e morta a Sassari nel 1927), è classificata come esponente del cantu a chiterra di prima generazione ed è stata la prima donna ad esibirsi sui palchi della Sardegna seguita poco dopo dall’ozierese Maria Rosa Punzirudu. Di lei si sa che si era separata dal marito il giorno stesso del matrimonio e rimasta vedova qualche anno dopo, aveva iniziato a girare per le competizioni canore ma anche per le gare di cavalli. Due ambienti non propriamente da signora. I cantadores all’epoca erano talvolta persone che vivevano ai margini. Oltre a queste due particolarità, già sufficienti per isolarla nella Sardegna dei primi del Novecento, – racconta Lai – girava con un calesse e armata di pistola e si era legata a un altro uomo. Tutti elementi che però scomparivano davanti alla voce potente, la capacità di improvvisazione, la presenza scenica. Così la descrive Gavino Gabriel nel suo Canto di Sardegna (1923): “Su tutti ha regnato con la fama che ha riempito l’isola, una donna di Nulvi, Candida Mara: vulcano di passioni che ha sconvolto cuori e famiglie traendo dal suo canto fascinoso un potere di dominio che piegava ogni volontà. Anche la sua vita è un canto, come le modulazioni melismiche assolutamente intrascrivibili e che tra sonnolenze di mezze voci velate e scoppi metallici d’incredibile potenza davano al suo modo una strana personalità di fattucchiera e di dea”. Un giudizio entusiasmante ribadito anche in una lettera inedita rivelata nella presentazione del libro di Vanni Lai all’archivio Mario Cervo di Olbia, tempio della memoria storica del canto tradizionale, e indirizzata da Gabriel, ultranovantenne, a Mario Cervo, instancabile collezionista (oltre che discografico) delle registrazioni che sono il pilastro dell’Archivio.

Voci di donna

Maria Carta (Archivio L'Unione Sarda)
Maria Carta (Archivio L'Unione Sarda)
Maria Carta (Archivio L'Unione Sarda)

Da Candida Mara a Maria Carta, che con la generazione successiva porta il canto tradizionale sardo lontano dai palchi di paese, molto tempo è passato ma le donne hanno continuato ad essere – e sono tuttora - una minoranza. Maria Rosa Punzirudu, ozierese, di dieci anni più giovane di Candida Mara, ha iniziato a calcare i palchi quando la cantadora di Nulvi era ancora viva e potrebbe anche essersi incontrate ma non c’è testimonianza. È sicuramente sua la prima incisione di una donna, nel 1930 con i musicisti Nicolino Cabitza e Gavino De Lunas (noto anche come martire delle Fosse Ardeatine). “Di Ozieri – scrive di lei Gabriel - non potremo cancellare mai dall’anima l’intraducibile canto di Maria Rosa Punziruda, gracile femminella popolana che, se manca di violenze nei trapassi e di squilli nella voce, ha però tale una suadenza di melismi da farci rivalicare in un baleno tutta la catena dei secoli a riportarci fanciulli purificati dinanzi ai nostri remotissimi padri, familiari d’Iddio”. Nei decenni successivi arriveranno la tempiese Maria Teresa Pirrigheddu, Maria Teresa Cau (un’altra ozierese), Aurora Cubeddu di Seneghe ma soprattutto Maria Carta, che – unendo voce e potenza scenica – porta la tradizione del canto sardo nell’ambito della musica popolare internazionale in anni nei quali la scoperta delle radici dei popoli diventa anche politica. La world music arriverà molto dopo e altre generazioni di cantadore. Ma è già un’altra storia, lontana da quei palchi di paese dove anche oggi – ma sempre meno – ci si sfida nell’improvvisazione.

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