Potremmo chiamarlo “limbo ciclistico”. È quella zona grigia nella quel interagiscono le carenze del codice della strada, le consolidate abitudini di chi usa la bicicletta per sport (e non solo), le pretese (legittime o meno) degli automobilisti. È, più brutalmente, il terreno di scontro tra chi guida un veicolo a motore su quattro ruote e chi uno muscolare a due ruote. Una zona nella quale si litiga anche per mancanza di chiarezza, oltre che di comprensione, tolleranza e conoscenza delle regole. Di tutte le regole, comprese quelle del bon senso e non solo le norme del Codice della Strada. Che, per inciso, sono violate sempre da tutti, automobilisti e ciclisti. Partiamo dalla base: la bicicletta ha modi e luoghi. Scopriamoli.

Cominciamo col dire che si pedala per varie esigenze. Trasporto (purtroppo la categoria meno frequente), lavoro, svago, sport. Ci sono quelli che usano la bici per andare al lavoro e quelli (ad esempio i fattorini) che ci lavorano sopra. Favorita dagli incentivi, la bicicletta ha avuto nell’ultimo anno una grande diffusione e non devono offendersi coloro che, avendo appena cominciato a usare una bici, possono essere definiti ciclisti inesperti. Tra questi ci sono coloro che la usano per quella passeggiata che magari prima facevano a piedi. Non tutti devono necessariamente avere particolari abilità alla guida, ma è logico pensare che ne abbiano di più coloro che usano la bici per sport (i corridori, in particolare gli specialisti della mountain bike, capaci di grandi acrobazie) e che la sanno condurre a più alta velocità. Chi usa la bici per sport, con abbigliamento adatto e opportuni capi tecnici per i quali è deriso dallo stupido di turno, è come chi gioca a calcetto e indossa la maglia di Lukaku o Ronaldo. Non è un campione o un professionista, ma sta comunque facendo sport. Anche se a livello amatoriale, anche se non è tesserato, chi esce con la bici da corsa per un allenamento sta praticando sport, uno sport che si chiama ciclismo. Anzi, per l’esattezza, “ciclismo su strada”.

Nelle piste ciclabili si incrociano spesso ciclisti e pedoni (foto archivio L'Unione Sarda)
Nelle piste ciclabili si incrociano spesso ciclisti e pedoni (foto archivio L'Unione Sarda)
Nelle piste ciclabili si incrociano spesso ciclisti e pedoni (foto archivio L'Unione Sarda)

Dove si pedala, quindi? Di sicuro, non sui marciapiedi. Si può pedalare sulla strada, in fuoristrada (con la gravel o la mountain bike, per esempio), su pista. La storia del ciclismo non può prescindere dall’utilizzo della strada, ambiente inevitabilmente condiviso con altri veicoli. Chi va in macchina su una strada di montagna può incontrare veicoli più o meno lenti e ingombranti: una moto, un pullman, un tir, un trattore o una bicicletta. Tutti hanno diritto di cittadinanza sull’asfalto: come dicono i francesi, bisogna spartirsi la strada. C’è spazio per tutti. Certe strade hanno poi corsie dedicate alle biciclette (ciclabili), al lato della carreggiata. Perché i ciclisti le usano poco, anche se sarebbero obbligatorie? Per (cattiva) abitudine, è vero, ma anche perché spesso sono il ricettacolo di sporcizia (avete presente quanto piccoli e letali possono diventare i frammenti delle bottiglie lanciate dalle auto in corsa?) ed è facile bucare, perché sono talvolta occupate da auto in sosta o bancarelle, perché sono continuamente interrotte da incroci e costringono il ciclista a rallentare in continuazione. In allenamento questo non è bello. Ci sono poi le “piste ciclabili”, esclusive e separate dalla carreggiata automobilistica. Quelle frequentate anche da pedoni e podisti non sono certo adatte per il ciclismo, ma solo per la passeggiata in bici. Anche in questo caso, il Codice non distingue tra le diverse tipologie di biciclette e di ciclisti, quasi che l’Italia dimenticasse che la propria storia è scandita dalle vicende e dai personaggi dello sport del ciclismo, compagno immancabile di ogni episodio della nostra vita nell’ultimo secolo abbondante.

Il velodromo di Quartu sarà\u00A0ristrutturato (foto archivio L'Unione Sarda)
Il velodromo di Quartu sarà\u00A0ristrutturato (foto archivio L'Unione Sarda)
Il velodromo di Quartu sarà ristrutturato (foto archivio L'Unione Sarda)

C’è poi il velodromo. Per chi non lo sapesse, il velodromo è un anello di cemento o legno, lungo generalmente tra i 200 e i 400 metri (di solito 250 o 333), con le curve paraboliche sopraelevate, destinato all’esclusiva pratica sportiva di una disciplina chiamata “ciclismo su pista”. Ci si pedala su bici senza freni e senza ruota libera, con rapporto unico, e sono la scuola ideale per i futuri campioni del ciclismo. Per capire quanto stupida sia l’affermazione “ma perché non andate a pedalare nei velodromi!”, che spesso si legge, possiamo fare un paragone: sarebbe come dire a uno sciatore che scende sul pendio di una montagna di andare su un trampolino da salto. Tra l’altro, in Sardegna c’è un solo velodromo, a Quartu, ed è praticamente abbandonato (ma sarà presto ristrutturato). Esiste invece un’altra tipologia di pista, molto più utile: il ciclodromo. Ce ne sono alcuni (Sarroch e Sassari, per esempio) e sono utilissimi soprattutto per far pedalare in sicurezza i giovanissimi. Sono circuiti di un chilometro o anche meno, interamente recintati e interdetti alle auto, dove pedalare in sicurezza. Di questi ne servirebbero altri. O magari si potrebbe pensare di destinare ai ciclisti, in orari particolari, gli autodromi come quello di Mores. Soprattutto per gli allenamenti di giovani o amatori.

Il ciclodromo di Sarroch è utilizzato anche per gare (foto C.A. Melis)
Il ciclodromo di Sarroch è utilizzato anche per gare (foto C.A. Melis)
Il ciclodromo di Sarroch è utilizzato anche per gare (foto C.A. Melis)

In conclusione, pretendere che chi pratica il ciclismo possa allenarsi all’interno di una pista ciclabile o che chi va a fare la passeggiata possa inerpicarsi sulle ripide curve di un velodromo, non è sensato. La bicicletta deve convivere con gli altri veicoli, nel rispetto di regole che il legislatore dovrà quanto prima aggiornare, a cominciare dal cambio del termine “velocipede” che non usa più nessuno, per adeguarlo alla vita reale, e delle esigenze reciproche. L’uso dei veicoli a pedali è propedeutico a una migliore salute, previene certe malattie e ha una funzione socialmente utile. Lo stesso Stato - che lo incentiva - deve accompagnarlo da una più attenta tutela dei ciclisti, categoria fragile, al pari dei pedoni, oggi non sufficientemente protetta. E, a sua volta, spesso non sufficientemente prudente.

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