E se un giorno ti dicono che dovevi essere un aborto, che non eri prevista, come ti senti? Certo ti cambia un po’ la vita, o almeno il tuo sguardo sulla vita. E se poi scopri addirittura che dovevi essere il più famoso di tutti gli aborti, “Roe contro Wade”, la causa che ha cambiato il rapporto tra le donne americane e la maternità?

Questa è la storia di Shelley Lynn Thornton, che non doveva nascere e adesso è una signora di 52 anni, forse desiderosa di dimenticare quel giorno in cui divenne famosa senza essersela mai cercata. La madre biologica di Shelley Lynn era Norma McCorvey, meglio nota per molto tempo al pubblico americano come Jane Roe: la donna che nel caso “Roe contro Wade” ottenne dalla Corte Suprema degli Stati Uniti il riconoscimento del suo diritto ad abortire. La storica sentenza che ha consentito per 50 anni alle donne americane di interrompere le gravidanze non desiderate, non ha avuto in realtà alcun effetto per la donna che aveva avviato la causa: Shelley Lynn Thornton è Baby Roe, come è stata soprannominata quando la sua identità è stata resa nota.

Un lungo processo

Per chiarire l’apparente stranezza, bastano le date: la sentenza della Corte fu annunciata nel gennaio del 1973. Thornton è nata il 2 giugno del 1970. I processi negli Usa durano meno che in Italia, ma è logico che per superare i vari gradi di giudizio e arrivare al vaglio di costituzionalità non potessero bastare i nove mesi che precedono la nascita di un neonato. Norma McCorvey si era accorta di essere incinta alla fine del 1969: a 22 anni era già la terza gravidanza. Le prime due figlie, avute da un marito sposato ad appena sedici anni e lasciato molto presto, erano finite in adozione. Lei nel frattempo era stata soverchiata dai problemi con l’alcol e le droghe. La legge del Texas non consentiva di abortire se non in caso di stupro, che lei non riuscì a dimostrare (anche perché probabilmente non era vero), e allora l’unica strada che le rimaneva era quella che portava al tribunale. Chissà se capì subito che non ci sarebbe stato comunque il tempo per ottenere il permesso di abortire: sta di fatto che lei non volle farlo clandestinamente e portò a termine la gestazione. Ma senza cambiare idea sul fatto di non voler tenere con sé la bambina, che fu adottata appena tre giorni dopo la sua nascita, avvenuta in un ospedale di Dallas.

I genitori adottivi si chiamavano Billy Thornton e Ruth Schmidt. All’epoca vivevano in Texas ma poi si trasferirono nello stato di Washington, vicino a Seattle. Quando, due anni e mezzo dopo, arrivò la sentenza “Roe contro Wade”, probabilmente non sapevano che la loro bambina fosse all’origine di quella causa che faceva discutere l’intero Paese e tutto il mondo occidentale. Di sicuro non le dissero mai niente. Shelley Lynn Thornton sapeva solo di essere stata adottata. Come capita a tanti. Conobbe il resto della storia solo nel 1989, quando si era da poco iscritta a una scuola per segretarie dopo il diploma liceale. La sua madre naturale fu intervistata al Today Show della Nbc ed espresse il desiderio di ritrovare la figlia; e un giornalista del National Enquirer riuscì a risalire a Shelley Lynn.

La sede della Suprema Corte degli Stati Uniti a Washington (da Wikipedia)
La sede della Suprema Corte degli Stati Uniti a Washington (da Wikipedia)
La sede della Suprema Corte degli Stati Uniti a Washington (da Wikipedia)

Fu proprio l’inviato dell’Enquirer a rivelarle la verità. E fu uno choc. Ma accettò di avere dei contatti telefonici con la donna che l’aveva partorita, anche se non la incontrò mai di persona. Alcuni dei dialoghi tra le due donne sono riportati nel libro di Joshua Prager “The Roe family: an american story”, che nel 2021 ha ricostruito la vicenda di Baby Roe. “Sapevo di non potermi prendere cura di te”, avrebbe detto Norma McCorvey alla figlia per spiegare la sua scelta.

Dopo la rivelazione

Non dev’essere semplice trovarsi in una situazione simile, né avere un rapporto sereno con una madre che ti ha lasciato andare, sia pure con l’intenzione di darti un futuro migliore e certamente con dolore. Le tensioni tra Norma e Shelley non sono mancate. Una discussione piuttosto aspra fu quando, sempre secondo il racconto di Thornton, la madre le disse che avrebbe dovuto ringraziarla per non aver abortito. “Dovrei ringraziarti per esserti fatta mettere incinta e poi avermi dato via? Non lo farò mai”, ricorda di aver risposto Shelley Lynn.

Pare che proprio quei dissapori furono determinanti per far sfumare un incontro tra loro due, che a un certo punto sembrava fattibile. Mc Corvey (che poi nella sua vita era diventata un’attivista pro aborto e in seguito, dopo una conversione religiosa, una militante antiabortista) è morta nel 2017 senza rivedere mai la terza figlia. Quest’ultima invece ha incontrato nel 2013 le altre due figlie di Mc Corvey, le sue sorellastre.

A Prager, “Baby Roe” dirà poi di essere convinta che “se una donna non vuole il bambino che ha in grembo, quel bambino sviluppa la consapevolezza di non essere desiderato”. Malgrado la sofferenza interiore che questa storia deve averle provocato, ora Shelley Lynn Thornton conduce un’esistenza normale. Si è sposata anche lei piuttosto giovane, a 21 anni, e ha avuto subito un figlio, poi altri due; per via del lavoro del marito, si è trasferita in Arizona. Non ha mai cercato la notorietà. Solo nel 2021 la sua identità è stata rivelata al grande pubblico. Logico quindi che, quando nel giugno 2022 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la sentenza “Roe contro Wade”, sottraendo al diritto all’aborto la copertura costituzionale e restituendolo alle decisioni dei singoli Stati federali, qualche giornalista sia andato a chiedere il suo parere. Alla Abc News, Thornton ha detto di non condividere il nuovo verdetto: “Essendo io la persona al centro del caso Roe, ho un punto di vista unico su questa materia. Troppe volte la scelta, la voce e la libertà individuale di una donna sono state decise da qualcun altro”. Dato che lei deve la sua stessa esistenza a un aborto non praticato, si poteva pensare che fosse in favore del rispetto della vita in ogni caso. Ma non è così: “Credo che la decisione di abortire sia un fatto privato che riguarda una donna, la sua famiglia e i medici. Vedere che un diritto così rilevante ci viene portato via mi fa temere per ciò che può accadere d’ora in poi”. (2. Fine)

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