In 75 anni di storia si è tenuta in piedi grazie a oltre 10 miliardi di euro usciti dalle casse pubbliche. E ora anche l’ultima iniezione nei bilanci di Alitalia, la compagnia aerea statale che ha smesso di volare un anno e mezzo fa, è stato dichiarato illegale dall’Ue. La decisione era abbondantemente prevista, sia qui in Italia che a Bruxelles, ma questo non vuol dire che non faccia male: adesso, almeno teoricamente, lo Stato dovrebbe cercare di recuperare i soldi elargiti tra il 2017 e il 2029 per provare – senza successo – a rianimare l’azienda. Per Bruxelles era chiaro che quel prestito non sarebbe mai tornato indietro.

Il problema è che tutto questo, secondo l’Ue, avrebbe alterato la competizione sul mercato europeo: l’Italia dovrà recuperare 1,3 miliardi di euro, più interessi. Come non si sa. All’orizzonte c’è una storia simile a quella di Tirrenia, la compagnia marittima che di cui esiste ancora la “bad company” statale in amministrazione straordinaria (la parte “buona” era stata ceduta a Moby). L’onere del rimborso non ricadrà comunque sulle spalle della newco Ita Airways: per Bruxelles non è lei l’erede economica di Alitalia. Anche perché fu proprio l’Ue a piantare una serie di paletti nella costituzione della nuova società proprio per evitare una “continuità” aziendale. 

Aerei Alitalia nell'aeroporto di Fiumicino
Aerei Alitalia nell'aeroporto di Fiumicino
Aerei Alitalia nell'aeroporto di Fiumicino

Frutto di un’inchiesta durata quasi tre anni, l’annuncio dell'Antitrust Ue ricalca la decisione già presa nel 2021 sui prestiti ponte risalenti al 2017, quando il governo guidato da Paolo Gentiloni acconsentì a dirottare verso Alitalia aiuti per 900 milioni di euro poi ritenuti illeciti dai servizi di Margrethe Vestager. E ne suggella il giudizio di “incompatibilità” con i trattati comunitari. Il nuovo - e ultimo - prestito da 400 milioni di euro, datato 26 ottobre 2019 e firmato dal Governo Conte bis, nella valutazione di Bruxelles, «ha conferito» all’ex compagnia di bandiera «un ingiusto vantaggio economico rispetto ai suoi concorrenti sulle rotte nazionali, europee e mondiali». E, è l’ulteriore addebito della Commissione, «l’Italia non si è comportata come avrebbe fatto un investitore privato» che, davanti alle ridotte speranze di ottenere un rimborso, all’epoca non si sarebbe esposto concedendo un ulteriore aiuto al vettore. Il prestito - l’ultimo dell'era Alitalia che dal 1974 ha presentato un conto di 10,40 miliardi allo Stato, «tra salvataggi, aumenti di capitale e contributi pubblici» non poteva essere approvato neppure come aiuto al salvataggio perché, rincara ancora Bruxelles, dopo i sussidi precedenti non si configurava più come un provvedimento “una tantum”. Tutti nodi che ora però arrivano al pettine: Roma è chiamata a recuperare 1,3 miliardi di euro. Non dovrà comunque chiederli indietro a Ita che, pur essendo nata dalle sue ceneri, per l'Ue non rappresenta «il successore economico» di Alitalia. E, davanti al fallimento dell’ex vettore nazionale, la via indicata da Bruxelles è quella di usare, fin dove sarà possibile, il ricavato della vendita degli asset. Uno, ad esempio, è il programma Millemiglia, detenuto da Alitalia Loyalty.  

Gli aiuti economici ad Alitalia sono stati esaminati nel tempo da Mediobanca, che ha diviso la storia della ex compagnia di bandiera in due grandi tronconi: il primo fra il 1974 ed il 2007 ed il secondo fra il 2008 ed il 2014. Gli interventi sul capitale da parte dello Stato diventano importanti a partire dalla metà degli anni '90, sottolinea l’istituto di credito nel suo report. Fino al 1995 lo Stato aveva sborsato 591 milioni di euro, nel decennio 1996-2005, (anni in cui ai Governi si susseguono Prodi, D'Alema, Amato e Berlusconi), il sostegno pubblico tocca i 2,34 miliardi, portando il totale a 2,94 miliardi circa. A questi si aggiungono interventi di minore consistenza, in forma di contributi pubblici per l'addestramento dei piloti (245 milioni) e ulteriori 167 milioni per l'aumento di capitale riservato a Fintecna per rilevare il 51% di Alitalia Servizi e per la successiva ricapitalizzazione. Il totale degli esborsi diventa così 5,397 miliardi di euro. Tra il 2007 e il 2014 inizia l'amministrazione controllata. Gli interventi da parte dello stato sono diversi e variegati, la maggior parte dei quali spalmati su più esercizi. Si inizia nel 2008, quando il governo Berlusconi fermò la cessione ad Air France, con un prestito ponte da 300 milioni da parte del Mef per la continuità dei voli, per arrivare nel 2014, col governo Renzi, all'investimento da 75 milioni di euro di Poste che entra, in via indiretta, nel capitale azionario della compagnia. Per arrivare fino al 2014, quando entra il socio Etihad. Il conto era a 7,4 miliardi. Finita l'alleanza con il partner arabo, nel 2017 il governo Gentiloni concede altri due prestiti ponte per complessivi 900 milioni di euro per tenere Alitalia in volo. A dicembre 2019 il governo M5S-Pd concede altri 400 milioni, ossia il prestito ritenuto illegale dalla Ue, per una spesa statale di 8,7 miliardi. A questi si aggiungono 1,35 miliardi stanziati per la newco Ita Airways ed approvati dalla commissione europeo rispetto ai 3 miliardi inizialmente previsti dal governo italiano.  

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