«Dopotutto, Alghero è un pezzo di Catalogna», dice il sindaco Mario Conoci ai cronisti che lo incalzano. Lo stesso giorno il Corriere della Sera titola Puigdemont libero e acclamato ad Alghero “la catalana”. Il suggello è dello stesso ex presidente e attuale eurodeputato Carles Puidgemont: «Qui mi sento a casa». Ecco, il punto è proprio questo: dopo un anno e mezzo tormentato dal Covid, la Riviera del Corallo è tornata sotto i riflettori per la sua catalanità. 

Sede di uno dei tre uffici di rappresentanza all’estero della Generalitat de Catalunya (dopo Bruxelles e Roma), è vissuta dalla stragrande maggioranza dei suoi 44mila abitanti se non proprio come un territorio catalano d’oltremare almeno come un angolo di Sardegna per molti versi – lingua, cultura e tradizione – slegato dal resto dell’isola. Lo capisci dai nomi delle strade del centro storico rigorosamente bilingue, dai riti pasquali e dalla cucina, tutto riflette una diversità che è forma e sostanza.

Il Comune

Il Comune chiarisce il concetto sul sito istituzionale: «(...) Nel corso dei secoli divenne così, grazie alla sua posizione geografica e al suo ruolo nei commerci, la “Porta di accesso del Mediterraneo”. Le diverse dominazioni hanno influito profondamente sugli usi e costumi dei suoi abitanti, soprattutto per quanto riguarda la lingua, il catalano, che nella varietà locale mantiene alcune caratteristiche antiche». Tutto iniziò così: «Furono numerosi i tentativi di impadronirsi della città: nel 1354 la battaglia navale di Porto Conte vide soccombere i Genovesi, sconfitti per mano della flotta catalano-aragonese. Pietro III il Cerimonioso, detto anche Pietro IV d’Aragona poté così entrare da vincitore nella piazzaforte, e da quel momento il nome di Alghero sostituisce La Lighera. Per quasi due secoli i repobladors catalani sono gli unici abitanti della città, fino a quando nel XVI secolo è permesso vivere alla popolazione sarda, anche per compensare la diminuzione degli abitanti, a causa dell’espulsione degli ebrei, in forza dell’editto dei Re Cattolici del 1492. Da allora, nella Barceloneta sarda si parla la lingua dei conquistatori, e tale peculiarità fa si che la città venga considerata una sorta di isola nell'isola ancora oggi».

La Treccani

La prestigiosa enciclopedia spiega le basi giuridiche su cui poggia l’algheresità: «Quelle per la valorizzazione e promozione dell’algherese sono state poste dallo statuto comunale del 1991. La minoranza è riconosciuta successivamente dalla Regione Autonoma della Sardegna (legge 26/1997) e dallo Stato italiano con la legge (482) del 1999». I rapporti con la casa madre conoscono secoli di crisi prima di rifiorire: «Le relazioni con gli altri territori di lingua catalana vengono riprese, dopo circa due secoli di interruzione, alla fine dell’Ottocento, quando in Catalogna viene riscoperta la catalanità di Alghero. Le relazioni si intensificano, diventando anche istituzionali, dopo i cambiamenti politici in Spagna che portano all’approvazione dello statuto di autonomia della Catalogna nel 1979. I collegamenti aerei e marittimi diretti e la recente apertura di una sede diplomatica del governo autonomo catalano ad Alghero hanno rafforzato ulteriormente la conoscenza reciproca».

PASQUA

La Settimana Santa di Alghero ha una storia antica, che affonda le radici agli inizi del 1600, quando la città era ancora una roccaforte spagnola. Il mare restituì il Cristo ligneo di Alicante «che, trasportato dal veliero Santa Maria di Montenero diretto a Genova, naufragò nel golfo di Porto Conte». Col passare dei secoli è diventato uno dei simboli della storia e dell’identità cittadina. Oggi è al centro della cerimonia del Venerdì Santo in cattedrale, il Desclavament. La notte, in processione, «è circondato dal silenzio e dalle preghiere che si fondono nell’antica lingua della Catalogna», con i fedeli che stringono in mano i farols (candele avvolte da carta rossa) sotto i lampioni schermati con drappi rossi. Un appuntamento che richiama migliaia di catalani. Dopotutto, Alghero è Barceloneta, la piccola Barcellona.

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