Allarme rosso per i mercati. I dazi di Donald Trump si rivelano peggiori della attese e nel day after le borse mondiali tracollano sotto lo spettro di una guerra commerciale a tutto campo. Dall'Asia all'Europa passando per Wall Street, tutti i listini sono in profondo rosso appesantiti dai timori di una recessione. E bruciano denaro, tanto denaro. Il crollo però non sembra preoccupare Donald Trump: il mercato finanziario «avrà un boom, il Paese e l'economia avranno un boom». Tokyo ha archiviato la seduta in calo del 2,77%.

Ben più significative le perdite in Europa: i listini del Vecchio Continente hanno visto svanire 422 miliardi con le tariffe di Trump, che ha fissato al 20% i dazi contro l'Unione Europea basandosi su una formula di calcolo ritenuta da analisti e da investitori quantomeno "dubbia". Piazza Affari ha chiuso in calo del 3,60%, mentre Parigi e Francoforte hanno lasciato sul terreno rispettivamente il 3,31% e il 3,01%.

Giovedì nero anche a Wall Street. I listini americani pagano il conto più salato della guerra dei dazi avviata da Trump, che rischia di aprire - affermano gli economisti - una nuova era del protezionismo in grado di infliggere una dura spallata alla globalizzazione. Il Dow Jones perde il 3,98%, il Nasdaq il 5,97% dopo essere sceso fino al -6,04%. Lo S&P 500 archivia la sua peggiore seduta dalla crisi del Covid nel 2020 e brucia 2.000 miliardi di dollari.

I «grafici dell'Armageddon», così come sono state definite le tabelle presentate da Donald Trump, affondano anche il dollaro - che perde tutti i guadagni realizzati dall'elezione di Trump -, segnalando come le misure annunciate hanno il potenziale di erodere lo status del biglietto verde di valuta di riserva globale. Non va meglio al petrolio, che perde il 6,64%, e al Bitcoin che scivola sotto gli 82.000 dollari. In calo anche l'oro: dopo aver aggiornato il suo record storico, il metallo prezioso è in calo dell1,21% a 3.128,40 dollari. Apple e Nike sono le due big più colpite dall'ondata di vendite che si è abbattuta a Wall Street in seguito alla previsione di un aumento significativo dei prezzi vista la loro dipendenza da catene di approvvigionamento basate nei Paesi più colpiti dai dazi, quali il Vietnam, la Cina e l'India.

L'amministrazione ha imposto a Hanoi tariffe del 46% e a Nuova Delhi del 26%. Per Pechino i dazi reciproci sono stati fissati al 34%, e vanno a sommarsi a quelli del 20% imposti all'inizio dell'anno, portando il totale al 54%. Cupertino è arrivata a perdere il 10% per poi chiudere a -9,25%, Nike ha ceduto il 14,47%. Le prime dieci settimane dell'amministrazione Trump per Wall Street sono state le peggiori sotto un nuovo presidente dai tempi di George W. Bush nel 2001, nel pieno della bolla dot-com. Eppure i banchieri e gli investitori, così come i giganti della Silicon Valley, avevano riposto durante la campagna elettorale grandi speranze in Trump, nella sua deregulation e nel suo taglio delle tasse. Ora che il presidente mostra di voler fare sul serio sui dazi, la fiducia riposta inizia però a vacillare di fronte alla paura di una nuova recessione e di una possibile stagflazione.

I dazi annunciati rappresentano il «maggiore aumento delle tasse dal 1968», ovvero dalla guerra in Vietnam, e potrebbero far «salire i prezzi dell'1-1,5% quest'anno», ha osservato il capo economista di JPMorgan Michael Feroli, avvertendo che l'economia americana è «pericolosamente vicina allo scivolare in recessione». Dello stesso tenore l'allarme di Fitch: la tariffe aumentano «significativamente» il rischio di una recessione americana. L'Organizzazione Mondiale del Commercio stima invece che le misure tariffarie americane «potrebbero causare una contrazione dei volumi degli scambi di merci globali dell'1% nel 2025».

La Casa Bianca minimizza ed esorta ad avere «fiducia in Trump». La Fed invece resta alla finestra, consapevole che il suo lavoro si fa più complicato. Nel decidere se mantenere i tassi invariati o ritoccarli, Jerome Powell dovrà infatti separare l'impatto dei dazi sull'inflazione dagli altri fattori che pesano sui prezzi. I trader sono convinti che la Fed taglierà quest'anno il costo del denaro almeno quattro volte per frenare lo spettro recessivo, tornando a giocare - insieme alla Bank of England e la Bce - un ruolo centrale nel soccorrere e "salvare” l'economia mondiale.

(Unioneonline)

© Riproduzione riservata