Il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, ha firmato una Dichiarazione congiunta con i ministri degli Esteri di Regno Unito, Germania, Australia e Nuova Zelanda per respingere con forza la decisione del Gabinetto di Sicurezza israeliano dell'8 agosto di lanciare un'ulteriore operazione militare su larga scala sulla Striscia finalizzata alla conquista di Gaza City.

Tajani, insieme ai suoi omologhi, ribadisce la necessità di un cessate il fuoco immediato e permanente, che consenta anche la fornitura di un'adeguata assistenza umanitaria. Nella dichiarazione si ribadisce altresì una visione comune «a favore dell'attuazione di una soluzione a due Stati negoziata, quale unico modo per garantire che israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco in pace, sicurezza e dignità».

La decisione di Netanyahu ha scatenato l’ira del mondo intero. La prima condanna è arrivata netta dalle Nazioni Unite, scandita dall'Alto commissario per i diritti umani, Volker Turk, e rafforzata dall'appello di Antonio Guterres per un urgente cessate il fuoco. Poi la reazione si è propagata da Londra a Madrid, fino ad Ankara, in un crescendo di apprensione per i civili intrappolati nel conflitto.

Il piano dello Stato ebraico «è un errore», ha tuonato il premier britannico Keir Starmer, evidenziando che l'offensiva causerà soltanto «ulteriore spargimento di sangue». Ma a imprimere la cesura più profonda è stata Berlino, spingendosi dove mai era arrivata prima, con lo stop immediato all'export di armi destinate all'offensiva israeliana nella Striscia.

«Israele ha il diritto di difendersi dal terrorismo di Hamas, che dev'essere disarmato, ma diventa sempre più difficile immaginare come i piani del governo possano contribuire a raggiungere gli obiettivi», ha riconosciuto il cancelliere tedesco Friedrich Merz, diramando una nota per impartire il congelamento «fino a nuovo ordine» delle forniture militari «potenzialmente impiegabili a Gaza». Decisione accolta con «delusione» da Netanyau.

Un segnale subito raccolto a Bruxelles, dove i vertici Ue - Ursula von der Leyen e Antonio Costa – hanno sollecitato Netanyahu a "riconsiderare" i suoi passi. L'operazione non potrà restare senza "conseguenze" nei rapporti con l'Europa, ha avvertito il portoghese alzando la posta laddove invece Washington, rimasta in silenzio sull'incursione di terra, sembra irrigidirsi. Una rottura netta Il Belgio ha convocato l'ambasciatrice israeliana per esprimere la "totale disapprovazione" nei confronti dell'operazione, adottando una linea dura condivisa anche dalla Spagna per voce del capo della diplomazia Manuel Albares. La Francia si è unita al coro dei Paesi che hanno condannato "con la massima fermezza" il piano di Israele, sottolineando che rischia di portare a una "impasse assoluta". L'occupazione di Gaza «peggiorerebbe una situazione già catastrofica senza consentire il rilascio degli ostaggi di Hamas, il loro disarmo e la loro resa», ha affermato il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. 

Non meno netta le posizioni della Turchia, in pressing sulla comunità internazionale affinché "fermi" Netanyahu, e della Cina che, nel dirsi "seriamente preoccupata", ha chiesto subito lo stop all'incursione.

I piani di Netanyahu - ribaditi con fermezza anche dal ministro della Difesa Israel Katz, secondo cui "né sanzioni né critiche" fermeranno lo Stato ebraico - finiranno comunque già domani sotto la lente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. E mentre l'Iran parla di "pulizia etnica e genocidio", il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha denunciato il piano israeliano come "un crimine a pieno titolo, in violazione del diritto internazionale", destinato a provocare "una catastrofe umanitaria senza precedenti", ribadendo il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione, in uno Stato sovrano con Gerusalemme Est come capitale.

(Unioneonline)

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