Tutto sbagliato. Movente, preparazione, esecuzione. Soprattutto, autore. La strage di Sinnai del 1991, tre cadaveri e un sopravvissuto al massacro tra i casolari di Cuile is Coccus, 700 metri di altitudine sotto punta Serpeddì in territorio di Sinnai, «non è stata commessa da Beniamino Zuncheddu». Il pastore di Burcei, 57 anni, da 31 in carcere dove sconta una condanna definitiva all’ergastolo, non sarebbe l’uomo che, con precisione «paramilitare», dalle 18,30 dell’8 gennaio di quell’anno si era reso responsabile di un’azione «preparata nei minimi dettagli» e «non alla portata di tutti». Chi aveva agito sapeva quanti fossero e dove si trovassero i bersagli, conosceva i luoghi e aveva scelto una posizione agevole per poi colpire Gesuino Fadda, 57 anni, proprietario dell’ovile, il figlio Giuseppe, 25, infine il pastore Ignazio Pusceddu (57) e Luigi Pinna, marito di una delle figlie di Fadda, unico a restare vivo. Velocità, sicurezza, crudeltà: non era un delitto «d’impeto» e le modalità erano «incompatibili col poco tempo che avrebbe avuto Zuncheddu», partito (secondo le sentenze) da Burcei verso le 17,47 e rientrato in paese alle 19 dopo aver finito il lavoro a suon di fucilate (sette). Non solo: l’ergastolano ha «una spalla fuori uso dalla nascita» e dunque non avrebbe potuto imbracciare e utilizzare l’arma con la rapidità e sicurezza necessarie, tenuto conto che il killer aveva dovuto agire in pochi minuti.

Perito e consulenti

La ricostruzione alternativa alla verità processuale è contenuta, con dovizia di particolari, nella richiesta di revisione del processo presentata a Roma, e già ritenuta ammissibile, dall’ex procuratrice generale di Cagliari Francesca Nanni, oggi a Milano con lo stesso incarico, e dall’avvocato Mauro Trogu, difensore di Zuncheddu. Dopo le prime tre udienze, giovedì nella Capitale è in programma il quarto appuntamento: la Corte deciderà se ammettere le ulteriori prove prodotte dalle parti oppure respingerle e dare il via alla discussione (con richiesta di assoluzione o conferma della condanna). Ma nell’ultima occasione è nata una polemica sulle trascrizioni delle intercettazioni disposte dalla Procura di Cagliari nell’ambito della nuova indagine sulla strage, che punta a scoprire eventuali complici del killer. Dialoghi tra il sopravvissuto e la moglie in gran parte alla base della richiesta di revisione. L’avvocato Trogu ha ritenuto inadeguate le traduzioni fatte dal perito incaricato dai giudici, mancanti a suo dire di passaggi ritenuti fondamentali che, viceversa, sono stati ascoltati e trascritti dai suoi consulenti e dai carabinieri. Così, assieme alla procuratrice generale e al legale di parte civile, ha chiesto un supplemento di perizia. Domanda respinta dalla Corte. Il procedimento è in bilico.

La pista alternativa

Nelle 125 pagine della richiesta di revisione, magistrata e legale spiegano perché ci si troverebbe davanti a «un clamoroso errore giudiziario» e formulano una tesi diversa. Ipotizzano che la strage sia legata al sequestro dell’imprenditore Gianni Murgia di Dolianova, rapito nell’ottobre 1990 e liberato l’11 gennaio 1991; che il vero assassino fosse Antonio Maria Corria di Orgosolo, condannato a 30 anni per aver fatto parte della banda di sequestratori e morto nel 2009; che il passaggio dal gruppo di prelievo a quello di custodia fosse avvenuto nei pressi di Cuile is Coccus, dove qualcuno poteva aver visto o chiesto qualcosa che non avrebbe dovuto; quindi, che le indagini sulla strage fossero state depistate per non farle arrivare al rapimento. Perché? Gesuino Fadda era «intimamente amico» di un uomo condannato per il sequestro (il basista, Giuseppe Boi di Dolianova) che aveva preso possesso dell’ovile subito dopo la strage, e questa persona «aveva interesse a che l’omicidio non fosse collegato al sequestro». Non solo. Procuratrice e avvocato puntano il dito contro il sopravvissuto (autore seconda la pg di una «falsa testimonianza») e un ex sovrintendente di Polizia che avrebbe «sviato le indagini convincendo» Pinna «a dichiarare il falso»: Mario Uda. Questi «forse si era convinto che Zuncheddu fosse colpevole» e aveva «inquinato» le indagini. Come? Avrebbe mostrato al testimone la fotografia del pastore di Burcei «in anticipo» rispetto al riconoscimento ufficiale avvenuto giorni dopo davanti al pm, gliela aveva fatta «memorizzare» e «descrivere davanti al pm» per poi esibirgliela «quale prima foto tra le sedici usate per il riconoscimento». Se così fosse, «l’unica fonte di prova» a carico del pastore sarebbe «inattendibile» e «la prova regina che ha portato alla condanna, falsa». Convinzione dovuta all’iniziale versione di Pinna il quale, nell’ambulanza che lo portava in ospedale, aveva detto ai carabinieri di non poter riconoscere l’assassino perché «aveva un collant da donna sul volto»; un mese e mezzo dopo aveva cambiato versione e sostenuto che in realtà aveva la faccia scoperta ed era identificabile. Era il 22 febbraio 1991. Il 24 gli erano state mostrate le 16 foto.

Le frasi fondamentali

Il possibile motivo del cambio di rotta è emerso da uno scambio di battute di Pinna con la moglie. Nel febbraio 2020, già avviata la nuova inchiesta a Cagliari, Pinna era stato convocato in Procura generale per ricordare quanto accaduto. Terminato il colloquio era salito in auto e, intercettato, aveva detto alla donna, che voleva sapere cosa gli avessero chiesto, di aver «cercato di fare lo scemo» ma che «non fa a fare lo scemo, sono troppo intelligenti...», «mi volevano far dire che Marieddu (Uda) mi ha fatto vedere la fotografia prima...loro hanno capito che è veramente così, ed è la verità...», «quello che è successo veramente già l’hanno capito...perché Marieddu mi ha fatto vedere la fotografia prima di Beniamino». Frasi ritenute eolquenti e alla base del nuovo processo.

Moglie e marito

Ma nel corso di quel colloquio ci sono altre frasi ritenute importanti. Dichiarazioni «che però il perito non sente o sente parzialmente e ritiene incomprensibili», secondo l’avvocato Trogu. Tra i passaggi, sottolinea il legale, c’è quello in cui Pinna, alla fine dell’interrogatorio, dice in sardo «hanno detto pure verità e anche molte...la verità hanno detto» riferendosi a inquirenti e investigatori, mentre la donna risponde: «Zitto tu, l’importante è che devi tenere sempre la stessa...» per poi aggiungere «eh, però tu non hai mai cambiato versione di quello che hai sempre detto lì...o no?», ma il marito insisteva: «Hanno ragione, avevano ragione...loro dicono che non è lui...ci sono indizi che non è lui». Diversa se non assente in varie parti la traduzione del perito, che in particolare in un passaggio usa il termine “vantare” e non “tenere” riguardo la versione da fornire agli investigatori. Come nel caso della luce della lampadina nell’ovile al momento del delitto («ero in difficoltà, non mi venivano più le parole...si sono attaccati al fatto della luce, della lampadina da 100 watt...ha detto “e a lei chi glielo ha detto che era da 100 watt?”»), trascritta in modo incompleto, e della presenza della calzamaglia sul volto del killer. «Il Ris, che ha ricontrollato le registrazioni su richiesta della Procura generale di Roma, ha sentito quel che hanno udito i nostri consulenti», specifica Trogu. Ora la palla passa alla Corte.

Andrea Manunza

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