Ci sono i numeri: 29 focolai attivi concentrati nel Nuorese, con 184 capi malati, oltre a 31 morti per il morbo e 447 già abbattuti. Negli allevamenti coinvolti ci sono complessivamente oltre 1800 bestie interessate, che rischiano di essere soppresse. Arrivano le rassicurazioni: «Siamo vicini agli allevatori con strategie trasparenti», ha detto la presidente Alessandra Todde. Poi ci sono loro. Quelli che con i bovini ci campano, sostengono il mercato, fanno girare l’economia. E rischiano di finire a terra per colpa della dermatite nodulare contagiosa che sta infestando gli allevamenti bovini della Sardegna. 

Uno è  Francesco Zoroddu, che lavora nelle campagne tra Nuoro e Orotelli. Appena dieci giorni fa nella sua azienda erano entrate le telecamere di Videolina: non c'era neppure un caso di positività. Adesso questa azienda modello è completamente devastata dalla dermatite.  «Com'è la situazione? Grave», spiega rabbioso l’allevatore. Mostra una vacca caricata sul cassone di un furgone: «Questa abbiamo tentato di recuperarla, ma non c'è speranza né di curarla, né di farla alzare». E altre sono sui monti, nelle stesse condizioni: «Noi elicotteri non ne abbiamo, non possiamo caricarla per farla certificare o smaltire». Le bestie «stanno ferme nel monte, non bevono, non mangiano, e sono morte dalla febbre. Non possiamo fare l'antibiotico per curarle, non possiamo fare niente».

«Ci stanno dicendo», prosegue Zoroddu, «che ci abbattono tutto l'allevamento. Chiudiamo l'azienda, chiudiamo la partita Iva, chiudiamo tutto. Voglio vedere dove ci occupano a noi. Come questa, nelle nostre aziende di mucche, ce ne sono altre centinaia morte in una settimana».

«Le mosche, i vermi e i cinghiali le riducono a questo», fa eco Martino Zoroddu, prendendo una pelle e qualche osso, i resti di un animale morto per la dermatite. «E gli smaltimenti che li vogliono pagare a peso. La comunità europea ci vuole pagare le mucche nostre, il capitale di tutta la vita a peso.  Ora questa pesa 5-10 kg massimo. Poi ci dicono cosa dobbiamo fare. Non si sa proprio cosa fare, non sappiamo più cosa fare, ormai siamo al collasso».

Gli Zoroddu vedono «il nostro capitale demolito, perso». Chiedono «di certo non gli abbattimenti totali e indiscriminati. Una vacca così lo chiedo io di abbatterla», dice indicando una bestia agonizzante, «ma quella vacca sana proviamo in qualche maniera a salvarla».

Servizio di Gianfranco Locci 

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