Ma cosa mangi?
Curiosità, stranezze e riti attorno al cibo in quaranta storie raccontate da Luigi FerrandoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Cosa distingue donne e uomini dagli altri animali che popolano la Terra? Tre manifestazioni dell’intelligenza umana: l’arte, la religione e la cucina! Veramente “siamo ciò che mangiamo”, come diceva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, perché cosa c’è di più naturale, di più culturale, di più sociale e di più umano che preparare il cibo con cui alimentarsi. A confermacelo è un viaggio per immagini illustrate e parole tra i cibi del mondo che non può che lasciare affascinati e stupiti: Cibaria (Slow Food Editore, 2025, pp. 256). Quaranta storie raccontate con uno stile molto personale da Luigi Ferrando e illustrate in modo splendido da Gabriele Pino che ci guidano nei luoghi - a volte lontani, a volte no - dove si producono o raccolgono alimenti incredibili.
Alcuni di questi cibi sono buoni, altri repellenti. Alcuni scompariranno, altri finiranno presto sulle nostre tavole. Alcuni li avrete magari già assaggiati, altri li sentirete nominare per la prima volta. Si va dal fugu giapponese - preparato quando il pesce è ancora vivo e stando attenti a non conservare nei bocconi una quantità eccessiva del veleno presente nell’animale - al rito del coprirsi il capo per mangiare gli uccellini ortolani. E poi il miele con proprietà psicotrope del Nepal e l’akutaq dell’Alaska, il gelato eschimese fatto emulsionando grasso di balena, mirtilli nordici e ghiaccio per arrivare a prodotti molto più vicini a noi come l’aceto balsamico e il nostro casu marzu, esempio tipico di alimento della tradizione condannato senza appello dalle norme alimentari e igieniche (o forse istericamente igieniste). Proprio al casu marzu Cibaria dedica belle pagine, pagine che ci possono portare a qualche riflessione non banale. Il formaggio con le mosche non può essere venduto, nonostante la sua tradizione millenaria, nonostante la sua comprovata mancanza di tossicità. Nello stesso tempo non vi sono problemi a consumare conservanti, coloranti, addensanti, edulcoranti e tutti gli “anti” messi e disposizione o creati all’occorrenza dall’industria alimentare. Ciò che non piace del casu marzù è che può apparire ripugnante, disgustoso o forse semplicemente anarchico, libero, simbolo di una produzione casearia impossibile da incasellare a livello industriale. E quindi divieto assoluto per il formaggio con le larve, salvo poi annunciare che gli insetti saranno il cibo del futuro, salveranno il mondo, soprattutto se geneticamente modificati e sterilizzati da una grande multinazionale.
Insomma, il racconto del casu marzu, ci offre la dimostrazione di come un libro come Cibaria ci aiuti a capire che il cibo ha un valore non solo culturale, ma anche politico. Esprime noi stessi, le nostre scelte, la nostra indipendenza. La nostra libertà di mangiare, per esempio, il casu marzo, oppure no, senza benedizioni o “maledizioni legislative provenienti dall’alto.
