I Cinque di Cambridge
La storia delle più famose spie inglesi al servizio di StalinPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Negli anni Trenta del Novecento i servizi segreti dell’Unione sovietica coordinati dal NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni), l’antenato del famosissimo KGB, avviarono una campagna di reclutamento di giovani rampolli dell’establishment britannico da utilizzare come spie. Fulcro del progetto fu l’Università di Cambridge dove i sovietici potevano contare su una quinta colonna, l’economista di ispirazione marxista Maurice Dobb, professore emerito del Trinity College. Grazie alle sue indicazioni in poco tempo il NKVD riuscì a reclutare quelli che sono passati alla storia come i “Magnifici Cinque” o i “Cinque di Cambridge”: Kim Philby, Donald Maclean, Guy Burgess, Anthony Blunt e John Cairncross, una cinquina di giovani studenti destinati a ruoli di rilievo nella società e nella politica inglese del tempo. Grazie ai loro incarichi i “Cinque” poterono passare per circa un ventennio importanti informazioni militari e industriali all’Unione sovietica. La rete dei Cinque di Cambridge cominciò a essere smantellata solo nel 1951, ma aveva oramai procurato molti danni ai governi occidentali e profondo imbarazzo al controspionaggio di Sua maestà britannica.
Alla avventurosa, ma anche drammatica vicenda dei cinque infiltrati è dedicato il volume Le spie di Stalin (Neri Pozza, 2024, pp. 320, anche e-book), scritto dal giornalista Giorgio Ferrari.
Il volume non si limita a raccontare la vicenda dei ragazzi di Cambridge che tentarono di cambiare la storia e in alcuni casi ci riuscirono. Ci offre la ricostruzione fedele di un periodo, da dai primi anni Trenta fino ai momenti cruciali della Guerra Fredda, in cui un folto gruppo di giovani idealisti europei e americani – da Klaus Fuchs a Bruno Pontecorvo ai coniugi Rosenberg – lavorò sottotraccia infiltrandosi per conto dell’Unione Sovietica nei gangli più delicati del potere e della sicurezza nazionale con l’obiettivo di consegnare a Mosca i segreti dell’energia atomica. Tra essi spiccava appunto il quintetto di blasonati studenti di Cambridge, cinque giovani appartenenti all’élite intellettuale e alla upper class inglese che tradirono la Corona britannica sposando l’ideologia comunista e idealizzando Iosif Stalin come l’unico leader in grado di contrastare l’avanzata dei fascismi e del nazismo.
Le loro esistenze furono certamente fuori dal comune, tanto che due dei ragazzi di Cambridge sono diventati personaggi letterari e cinematografici. Kim Philby (nome in codice: Stanley) classe 1912, fu certamente il più abile dei “Magnifici Cinque” e il primo a essere arruolato. Philby era un maestro del doppiogioco e tanta era la fiducia nei suoi confronti che venne coinvolto anche nelle indagini avviate dalla Cia e dai servizi inglesi per scoprire i responsabili delle fughe di notizie verso est. Insomma, si trovò a indagare su sé stesso e i suoi compagni di spionaggio a favore dell’Urss! Nel 1951 riuscì così ad avvisare due dei “Cinque di Cambridge” di un prossimo arresto prima di fuggire nel 1963 in Urss, dove rimase fino alla morte nel 1988. Alla sua figura sono ispirati i romanzi Il fattore umano di Graham Greene, Il quarto protocollo di Frederick Forsyth e La talpa di John le Carré. La gioventù di Guy Burgess (nome in codice: Hicks) a Cambridge è stata, invece, raccontata nel film Another Country – La scelta (1984), in cui il protagonista è stato impersonato da Rupert Everett.
Ma al di là del fascino che i cinque hanno sempre trasmesso, Giorgio Ferrari adombra un sospetto impossibile da dileguare del tutto: che a guidare l’epica barricadera di quella privilegiata gioventù uscita dal Trinity College di Cambridge sia stato un nonsoché di estetico, una sorta di religione personale ritagliata su misura del proprio ego e del proprio narcisismo. Dietro al grande tradimento che questi giovani (insieme a tante altre spie britanniche, molte delle quali rimaste tuttora sconosciute) avevano assunto come compito morale c’era ben altro. C’era una intera società, quella post-vittoriana, uscita malconcia dalla Grande Guerra, in cerca di un’identità e che tentava di scrollarsi di dosso un’ipocrisia antica avviandosi verso una scintillante modernità. Una porzione della quale sembra essersi riversata nell’estasi del tradimento praticata dai Cinque di Cambridge, eroi in potenza, nella realtà semplici caricature di sovversivi.
La loro sorte, fra l’alcolismo e un torbido esilio sovietico, ha il sapore amaro del finale di un dramma elisabettiano.