Carla Maria Russo è scrittrice che potremmo racchiudere in un solo aggettivo: appassionante. Ama raccontare e nei suoi libri non c’è mai il tentativo forzato e cerebrale di lanciare a tutti costi un messaggio. Il romanzo a tema non le appartiene, anche se nelle sue storie lo scavo nelle psicologie dei personaggi è tutt’altro che banale, anzi. Carla Maria Russo ama soprattutto narrare di storia, ama dare voce a chi non può più parlare perché scomparso da tempo oppure perché ha vissuto in tempi in cui determinate lingue dovevano per forza stare mute… perché lingue popolane, magari analfabete o ancora perché in bocca di donna.

L’arte narrativa della scrittrice milanese la ritroviamo intatta nel suo ultimo romanzo, Il velo di Lucrezia (Neri Pozza, 2025, pp. 352, anche e-book), ambientato nella Toscana del secondo Quattrocento.

Protagonista uno dei grandi maestri della pittura quattrocentesca, Filippo Lippi, frate, artista, uomo troppo spesso incapace di venire a patti con sé stesso, il suo talento e il mondo che lo circonda.

È nato da un beccaio, cioè da un macellaio, Filippo, ma ancora bambino si è ritrovato orfano e dopo alcuni anni i suoi parenti hanno visto l’unica possibilità di sopravvivenza nel “donarlo” a un monastero. Prima del chiostro, però, Filippo è cresciuto libero di sperimentare la vita e il talento.

Sventato, donnaiolo esuberante, sciaguratamente poverissimo, per sfuggire alla miseria ha dovuto prendere i voti incontrando proprio in monastero il suo destino: un abate illuminato che lo ha mandato a bottega da un noto pittore. Nel monastero, frequentato anche da grandi artisti, in primis Masaccio, scopre, inoltre, che il talento che ha da sempre nelle mani, quello di disegnare, non è opera diabolica, ma un dono divino, che però fa fatica a far fruttare. Fino a che non incontra la bellezza che può cambiarti la vita, quella bellezza salvifica che solo la donna può offrire a un uomo.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Così Carla Maria Russo narra questo incontro sconvolgente per Lippi: «Non saprebbe dire quanto a lungo si attarda nella contemplazione di quel volto. Non saprebbe dirlo perché è già completamente stregato da quello che vede e risucchiato nel processo della creazione. La perfetta bellezza. Eccola, davanti ai suoi occhi. L’ha rincorsa invano per anni e l’ha trovata all’improvviso, quando ormai aveva perso la speranza. Nel luogo in cui mai e poi mai avrebbe immaginato di incontrarla».

Questa bellezza perfetta ha il volto di Madonna di Lucrezia. Figlia di un tintore, Lucrezia è una ragazza del popolo che nasconde un cuore appassionato, un desiderio ribelle di esistere, di essere vista, di accendere la quiete intorno a sé, un’ambizione divorante che le mura del convento in cui vive non riescono a contenere. L’amore tra la giovane e l’artista, proibito in Cielo e in Terra, folgora le esistenze di entrambi e si eterna in un’opera che ancora oggi desta meraviglia: La Madonna con bambino e angeli, conservata agli Uffizi. Un’opera che Lippi dona nel 1464, al suo protettore, Cosimo de’ Medici.

Proviamo a immaginare la scena, prima di riviverla quasi in presa diretta nelle pagine del libro di Carla Maria Russo. La tela è avvolta in un panno candido fermato da una cordicella, la mano che la regge è malferma per l’emozione. Il momento che Filippo Lippi ha atteso e temuto è ormai giunto: Cosimo de’ Medici sta per vedere l’unica opera davvero perfetta che sia riuscito a creare nel corso della sua lunga carriera, l’unica da cui non vorrebbe mai separarsi. Custodite in quel quadro non ci sono solo la dedizione, le mani dure di fatica, l’incessante lotta contro l’imperfezione. C’è l’amore per Lucrezia, un amore scandaloso per tutti, per lui purissimo. C’è il patto fra loro, il dono reciproco: la bellezza in cambio della libertà di esistere, di essere notata, di non essere semplice figlia di tintore, ma donna appassionata, amata, desiderata. In quel dipinto ci sono quella bellezza e quella libertà che solo le opera d’arte riescono a riunire per l’eternità in un unico luogo, in un unico istante, in un unico sguardo. Poi il panno viene tolto e Cosimo, il signore di Firenze, può solo piangere per l’emozione.

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