Fine pena mai: tre parole che sanno di crimine, punizione, rassegnazione. Tre parole che dopo una condanna per reati terribili negano la speranza. Tre parole che racchiudono il significato di "ergastolo ostativo": la pena al carcere a vita senza alcuna possibilità di benefici per il condannato.

LA SENTENZA DELLA CORTE DI STRASBURGO - È una condanna di fatto prevista dall'ordinamento penitenziario italiano all'articolo 4 bis, di recente messo in discussione dalla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo: tutti hanno diritto alla speranza, anche i peggiori criminali, i mafiosi, i trafficanti, i sequestratori, gli assassini. Per i giudici europei il carcere deve tendere alla rieducazione del condannato. Sempre. Anche se non ha collaborato con la giustizia (è questo l'inciso contestato nel caso concreto dalla decisione) perché i motivi possono essere i più diversi.

Ecco perchè il 7 ottobre, respingendo il ricorso del governo italiano contro il verdetto del 13 giugno, la Corte ha ribadito il no all'ergastolo ostativo: la norma contenuta nell'ordinamento penitenziario italiano viola l'articolo 3 della Convenzione della Corte europea sui diritti dell'uomo nella parte in cui vieta trattamenti disumani e degradanti. Non solo: Strasburgo considera questo un problema strutturale dell'ordinamento italiano, di lì la richiesta di modificare le leggi.

L'argomento è al centro di un acceso dibattito fra esperti di diritto e non, intanto domani e dopodomani la Corte Costituzionale affronterà la questione - in udienza pubblica e in camera di consiglio - prima di decidere la sorte di due condannati per mafia ai quali è stato negato un permesso nonostante siano detenuti da lunghissimo tempo. La Consulta è chiamata a rispondere ai quesiti posti dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di Perugia proprio sulla violazione degli articoli 3 (quello che tutela il principio di uguaglianza) e 27 (sull'obiettivo della rieducazione del condannato cui deve tendere la pena) della Carta costituzionale.

Don Ettore Cannavera (Archivio L'Unione Sarda)
Don Ettore Cannavera (Archivio L'Unione Sarda)
Don Ettore Cannavera (Archivio L'Unione Sarda)

DON ETTORE CANNAVERA - Giuristi, magistrati, opinionisti, politici, persone qualunque sul punto sono divisi. Molti procuratori che hanno lottato duramente contro la criminalità organizzata vedono nella sentenza dei giudici di Strasburgo un cedimento alla mafia. Altri si concentrano invece sull'articolo 27 della Costituzione che introduce il principio secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. In una recente intervista al Redattore Sociale don Ettore Cannavera, il sacerdote fondatore della comunita La Collina di Serdiana che negli ultimi 25 anni ha ospitato molti condannati a reati anche gravissimi, ha preso una posizone chiara: "Il carcere non può essere una condanna a morte. La legge deve dare la possibilità ai giudici di valutare caso per caso perché molte persone riescono a cambiare, soprattutto se si tratta di giovani". Don Cannavera, dunque, è contrario a una pena che non lasci speranza anche a chi ha commesso crimini orrendi. "Fare cadere l’ostatività non significa liberare tutti ma vuol dire togliere il mai. Può darsi che per qualcuno la pena sia per sempre, però questo deve essere deciso dopo una attenta analisi, non a priori. È necessario che tutti facciano un percorso, poi ci saranno casi in cui è opportuno che le persone non escano mai o che escano dopo 20 anni ma la decisione deve scaturire da un attento esame del detenuto".

Don Ettore, conosciuto in Sardegna per le sue posizioni talvolta controcorrente, va pure oltre e arriva ad affermare che la pena non va calibrata sul reato ma sulla storia di chi lo ha commesso, come già avviene nei tribunali per i minori.

Chi invece insiste per l’ergastolo ostativo sottolinea che soltanto il carcere duro ha dato frutti importanti nella lotta alla criminalità organizzata.

Corte Costituzionale (Archivio L'Unione Sarda)
Corte Costituzionale (Archivio L'Unione Sarda)
Corte Costituzionale (Archivio L'Unione Sarda)

L'ERGASTOLO IN ITALIA - Nell’ordinamento italiano l’ergastolo è regolato dagli articoli 17 e seguenti del Codice penale: "La pena dell’ergastolo è perpetua ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno".

Ma anche chi viene condannato all’ergastolo ha diritto ad alcuni benefici, per esempio la semilibertà, e può usufruire dei permessi-premio. Non solo: dopo 26 anni di carcere al condannato all’ergastolo può essere concessa la libertà condizionale se ha tenuto una buona condotta e un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento.

E allora l’ergastolo ostativo è l’eccezione alla regola dal momento che non permette di concedere al condannato alcun tipo di beneficio o premio. Non a caso viene inflitto a criminali pericolosi che hanno commesso delitti espressamente indicati: tra questi il sequestro di persona a scopo di estorsione e l’associazione di stampo mafioso. Era ostativo l’ergastolo inflitto al boss mafioso Bernardo Provenzano al quale è stata negata la scarcerazione nonostante la grave malattia che lo ha portato alla morte nel luglio 2016.

Il problema è: l’eccezione va conseravata oppure no? La Corte europea dei diritti dell’uomo si è già espressa per il no, ora la parola passa alla Corte costituzionale italiana.
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