Era il 26 marzo di cinquant'anni fa quando, a Genova, Alessandro Floris, 31 anni di Iglesias emigrato con i suoi genitori nella Penisola, è stato ucciso durante una rapina all'Istituto autonomo case popolari. Addetto alla scorta, con gesto eroico (pochi giorni dopo il tragico fatto di sangue, il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat gli ha conferito la medaglia d'oro al valor civile), ha cercato di fermare due banditi che stavano fuggendo su una Lambretta nonostante fosse già ferito in modo grave da un colpo di pistola, aggrappandosi alla gamba di uno dei criminali, per poi accasciarsi e morire.

VITTIMA DEL TERRORISMO Una rapina finita nel sangue? Le indagini immediate, con l'arresto di uno dei membri del commando (Mario Rossi), hanno aperto una serie di inquietanti collegamenti. Perché il colpo milionario serviva per autofinanziare un gruppo terroristico, chiamato "XXII Ottobre". Erano gli anni di Piombo. Floris insomma si è trovato in mezzo a un'azione criminale terroristica. Successivamente infatti il gruppo "XXII Ottobre" - diversi suoi militanti proprio dall'inchiesta sull'omicidio del giovane iglesiente sono stati individuati e arrestati - si è dissolto, aderendo prima al Gruppi di azione partigiana e successivamente alle Brigate Rosse. Alessandro Floris è così entrato a far parte del triste elenco delle vittime del terrorismo.

Il titolo in prima pagina su L'Unione Sarda del 27 marzo 1971 sull'omicidio di Alessandro Floris
Il titolo in prima pagina su L'Unione Sarda del 27 marzo 1971 sull'omicidio di Alessandro Floris
Il titolo in prima pagina su L'Unione Sarda del 27 marzo 1971 sull'omicidio di Alessandro Floris

IL COLLEGAMENTO CON LE BRIGATE ROSSE E che l'eroe sardo, quel 26 marzo del 1971, si sia imbattuto in un gruppo senza scrupoli, è diventato ancor più chiaro quando il nome di Mario Rossi è stato inserito nella lista delle Brigate Rosse tra i "prigionieri" che dovevano essere liberati in cambio della vita di Aldo Moro. Non solo. Prima, Mario Sossi, pubblico ministero nel processo al gruppo "XXII Ottobre" è stato sequestrato nel 1974 per un mese sempre dalle Brigate Rosse che per la sua liberazione hanno chiesto il rilascio di otto terroristi (tra loro c'era ancora una volta Rossi). In questa vicenda il sangue versato non si è fermato: il procuratore generale della Corte di Appello di Genova, Francesco Coco, si era opposto alla firma della scarcerazione dei terroristi come da negoziato con le Br, ed è stato assassinato nel 1976.

LE FOTO DELL'OMICIDIO Il prezzo pagato da Floris - almeno questo - non è stato vano, visti i risultati ottenuti dalla giustizia. Ma le indagini, subito dopo l'omicidio, hanno avuto un formidabile alleato: le foto scattate da un giovane. Lo studente-lavoratore, Ilio Galletta, abitava da quelle parti ed era un appassionato di fotografia. Ha sentito le urla e gli spari. Si è affacciato e con la sua macchina fotografica ha immortalato alcuni momenti drammatici e tragici. Gli scatti hanno fatto il giro del mondo. E ancor oggi parlano da soli. Si vedono i due rapinatori sulla Lambretta: uno è armato. A terra c'è Floris. In una foto aggrappato alla gamba di uno dei banditi. In un'altra, è disteso mentre la motoretta si allontana. Sono gli ultimi suoi istanti di vita.

La prima pagina di cinquant'anni fa de L'Unione Sarda con la medaglia d'oro al valor civile in memoria di Alessandro Floris
La prima pagina di cinquant'anni fa de L'Unione Sarda con la medaglia d'oro al valor civile in memoria di Alessandro Floris
La prima pagina di cinquant'anni fa de L'Unione Sarda con la medaglia d'oro al valor civile in memoria di Alessandro Floris

IL RACCONTO Il bottino della rapina sarebbe stato ingente: circa diciassette milioni di lire, soldi che servivano per pagare gli stipendi dell'Istituto case popolari. Floris faceva da scorta al capoufficio del personale. Rientrati nella sede dell'Istituto con la borsa piena di denaro, si sono trovati davanti i due banditi. Sotto la minaccia delle pistole, Floris e il capoufficio hanno consegnato i soldi e i rapinatori sono corsi fuori per scappare su una Lambretta. Ma il giovane di Iglesias li ha seguiti. Un bandito - Rossi, come emerso nel processo - ha premuto il grilletto colpendolo in pieno. Ma lui ha cercato ancora di bloccarli, afferrando una gamba di uno dei criminali. Poi ha mollato la presa. È in quei momenti, come riferito all'Unione Sarda che ha seguito per giorni quel tragico fatto di sangue, che Galletta dal suo appartamento inizia a scattare le foto: "Stavo provando una nuova macchina", ha raccontato al cronista de L'Unione Sarda, "quando ho sentito dalla strada le urla e gli spari. Mi sono affacciato e mi sono reso conto di quello che stava accadendo. Ho cominciato senza perdere un secondo a scattare, fermandomi solo quando ho finito il rullino". Le foto sono risultate decisive, insieme alla testimonianze di alcune persone e all'arresto di Rossi subito dopo, nonostante il tentativo di fuga. "La colpa è della società", avrebbe detto Rossi agli investigatori quando gli è stata comunicata la morte di Floris. "Il mondo va così: c'è chi ruba e chi fa soldi. E non si sa chi sia dalla parte onesta".

LAVORATORE MODELLO Floris è stato descritto come un lavoratore modello. Dopo i primi tempi da apprendista, ha avuto mansioni di fiducia. Tra queste, il far da scorta al capoufficio del personale quando si recava in banca per prelevare i soldi. Viveva con la madre, distrutta da dolore. "Era un ragazzo d'oro e un lavoratore eccezionale", lo ha ricordato così un vicino di casa. "Di lui ci si poteva fidare. Tutte le volte che qualcuno di noi aveva bisogno, era il primo a farsi avanti per un aiuto".

LA MEDAGLIA Questa la motivazione per la medaglia d'oro al valore civile, insignita a Floris pochi giorni dopo la sua morte: "Incaricato di partecipare alle operazioni di prelievo in banca di una ingente somma per conto dell'ente pubblico da cui dipendeva, cercava, invano, di contrastare due rapinatori armati che appostati nell'ingresso della sede d'ufficio, si impossessavano della borsa con il denaro. Con coraggiosa determinazione, Floris non esitava a porsi all'inseguimento dei malviventi attraverso le vie cittadine. Sebbene ferito dai colpi d'arma da fuoco, non desisteva dall'animoso proposito, fin quando veniva raggiunto da un proiettile che gli provocava lesioni mortali. Il suo fulgido esempio di cosciente sprezzo del pericolo, di operante civismo e di elevato senso del dovere consentiva la successiva individuazione e cattura del criminali". E quello sparo ha aperto di fatto, cinquant'anni fa, gli Anni di Piombo.
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