Cinque giorni di saccheggi, devastazioni e ruberie. Fino alla battaglia del Tirso, dove esplose la reazione sardo spagnola contro l'attacco francese: era il 26 febbraio 1637. La testimonianza di quei giorni devastanti per la città di Oristano è ancora oggi aperta a tutti: quattro splendidi stendardi barocchi del conte d'Harcourt, bottino di guerra per gli oristanesi dopo la ritirata francese. Fino a poco tempo fa esposti nella controfacciata della cattedrale di Santa Maria, attualmente al centro di restauro, gli stendardi possono essere ammirati al Museo diocesano nella mostra "Oristano al centro dell'Europa. L'attacco francese del 1637". Restano in esposizione fino al 18 aprile. Di forma rettangolare e di dimensioni monumentali (tre metri per due metri) riproducono l'emblema araldico del conte d'Harcourt: un'aquila in maestà di colore nero, volta a destra, sormontata da una corona a cinque fioroni, entro ampie volute e infiorescenze barocche; sullo sfondo rosso arancio in fustagno risaltano ricami in rasatello di seta giallo oro e bianco e in velluto azzurro e nero, rifiniti a cordoncino, reso plastico da un'imbottitura in cotone. L'occasione arriva dalla riapertura al pubblico del museo, diretto dall'architetto Silvia Oppo. «Una opportunità che apriamo alla città anche per approfondire vicende storiche della città che ne hanno determinato la permanenza qui a oristano, in seguito all'attacco francese subito nel febbraio del 1637» ha detto l'arcivescovo Roberto Carboni. Gli stendardi sono rimasti intatti per quattro secoli. «Nessuno li ha mai toccati fino al restauro del 2001 e 2003» spiega Alessandra Pasolini, già docente di Storia dell'arte moderna dell'Università di Cagliari, che ha studiato a lungo questi stendardi e che offre una lettura sul significato. «Dal restauro condotto dalla Soprintendenza è emerso che tessuti e ricami sono originali e che le cuciture non presentano alcun intervento di accomodamento, aggiunta o sostituzione di parti. Unica modifica gli occhielli per l'inserimento dei bastoni per poterli sospendere alle pareti della cattedrale di Oristano, dove sono rimasti per quattro secoli. Sono davvero vessilli militari? In realtà potrebbero, invece, essere portiere araldiche utilizzate per decorare le abitazioni nobiliari. In altre parole, elementi d'arredo per rivestire le pareti. Il termine stendardo viene utilizzato sia per indicare stendardi processionali, sia nel campo dell'arredo profano per descrivere drappi araldici. In considerazione della loro struttura e delle considerevoli dimensioni, questi non sono dunque vessilli militari ma arredi dell'alloggio del conte d'Harcourt. L'uso di portiere o sovra-porte, drappi e cortine era attestato in Europa e in Italia nelle dimore nobiliari fin dal 1500». Pasolini afferma, inoltre, che il conte d'Harcourt potrebbe averli portati per rendere più confortevole l'alloggio nelle navi. La studiosa si è poi soffermata sull'origine: «Sul retro compare il marchio di fabbrica, a dire il vero incompleto e difficile da interpretare: si intravede Lione. Ma all'epoca è Genova il centro più prestigioso per questo tipo di manifattura. Quindi possiamo arrivare alla conclusione che i ricami sono liguri montati e foderati in Francia». Della battaglia del Tirso gli studiosi affermano che il 21 febbraio 1637 la flotta atlantica, i trasporti con le truppe e 20 galere comparvero nel Golfo di Oristano: "Migliaia di francesi risalirono il Tirso su barche e raggiunsero Oristano, da cui tutti gli abitanti allarmati dalle cannonate, erano sfollati col loro arcivescovo a Santa Giusta" afferma Paolo Cau. "Per gli invasori fu facile darsi al saccheggio. La reazione sardo spagnola avvenne dopo alcuni giorni. Il vicerè de Urrea mobilitò 2000 fanti e 4000 cavalieri, comandati da Diego de Aragall, al cui arrivo gli occupanti si ritirarono sempre per via fluviale, lungo la quale le milizie locali, in agguato fra i canneti, li bersagliarono duramente. Le perdite francesi si contarono in 700 caduti, 36 prigionieri, 7 pezzi di artiglieria, 700 moschetti, 11 barche e soprattutto gli stendardi del conte d'Harcourt. Era il 26 febbraio 1637". Quei vessilli sono ancora un prezioso patrimonio storico della città e ora si possono ammirare al Museo diocesano.
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