Ma è normale che siano donne solo un quinto dei candidati alla carica di sindaco? E ancora meno quelle elette? A dire il vero sì, nel senso che questa è esattamente la normalità nelle amministrazioni locali sarde (e nel resto d'Italia più o meno va allo stesso modo). La politica continua a essere l'ambito sociale più resistente alla crescita numerica della presenza femminile, e i numeri che emergono dal recente voto nei Comuni isolani lo confermano. Insomma, è normale ma assurdo. La contabilità di genere dice che, il 25 e 26 ottobre, nei 156 Comuni chiamati a eleggere il sindaco erano in corsa per la fascia tricolore 56 donne e 235 uomini: quindi le candidate risultavano meno di un quinto del totale (il 19,2 per cento). Considerato che in sei centri se ne sono presentate due (in nessuno più di due), sono stati ben 106 i Comuni con candidature esclusivamente maschili. In molti casi si tratta dei paesi con un solo candidato sindaco, ma ci sono anche eccezioni clamorose: come Quartu, terza città dell'Isola, che ha visto una competizione a sei ma per soli uomini. Stessa cosa, con quattro candidati, a Porto Torres. Tra gli altri due centri sopra i 15mila abitanti, Nuoro non ha fatto molto meglio: sette candidati, una sola donna. Eccezione positiva invece Sestu, dove erano in gara un uomo e due donne: Valentina Meloni e la sindaca uscente Paola Secci, rieletta con altissime percentuali.

Oltre a Secci sono state elette altre 22 sindache, e qui la percentuale sul totale scende ancor di più: appena il 15 per cento. Il dato è calcolato su 153 Comuni anziché 156, dato che ad Aritzo, Tadasuni e Villanova Tulo le elezioni sono state annullate perché era in lizza un solo candidato e non si è raggiunto il quorum del 50 per cento più uno di votanti. In tutti e tre i casi il mancato sindaco era un uomo. Tra le altre 48 candidature solitarie, 9 erano al femminile: a Birori, Lodè, Abbasanta, Bidonì, Gonnostramatza, Noragugume, Villa San Pietro, Romana e Villanova Truschedu. Ci sono anche due Comuni in cui si è vista una sfida a due tra sole donne: a Olzai, tra Ester Satta e Maria Maddalena Agus (poi eletta sindaca), e a Villamassargia, dove Debora Porrà ha battuto Rita Caboni. Nelle province le percentuali delle donne rispetto al totale dei candidati non cambiano molto. Si oscilla tra il 16,9 di Sassari e il 20,8 di Nuoro, passando per il 18,5 di Oristano e il 19 del Sud Sardegna. Sale un po' (al 29,4 per cento) il dato dei sei Comuni al voto nella Città metropolitana di Cagliari: dove però si registra la macroscopica incapacità di una città come Quartu di trovare, tra più di 70mila abitanti, una donna che potesse competere per la fascia tricolore.

Eppure sono ormai quasi 20 anni che il dibattito culturale e la sensibilità sociale su una maggiore presenza femminile nella politica hanno subìto una forte accelerazione, tanto da portare a rilevanti modifiche normative come la doppia preferenza di genere (che nelle elezioni comunali si applica solo per i centri con più di 5mila abitanti). Ma i numeri, in Sardegna e non solo, evidenziano una progressione troppo lenta. Per quale ragione? "Perché purtroppo la politica resta molto maschilista", sintetizza Nadia Matta, neoeletta sindaca a Santa Teresa Gallura, che confessa: "Io ho dovuto lottare contro almeno due tentativi di eliminarmi dalla corsa in favore di candidati uomini. Anche all'ultimo momento ho respinto un mezzo golpe. Però ho insistito e sono riuscita a difendermi". Non da sola, certo: è stato importante il sostegno di Dario Giagoni, capogruppo della Lega in Consiglio regionale e primo sponsor della sua candidatura, e poi l'aiuto di alcune persone che all'ultimo momento hanno accettato di entrare nella lista per l'assemblea comunale. "Hanno avuto fiducia in me", riflette Matta, diventata sindaca a 58 anni dopo un mandato all'opposizione: "Resta il fatto che ancora oggi per una donna fare politica è più difficile che per un uomo. Amministrare un Comune ti assorbe completamente, ma per chi ha anche le incombenze familiari è una scelta che si può fare dopo una certa età. A me la politica è sempre piaciuta, ma avevo figli piccoli e il mio lavoro di insegnante. Ho potuto impegnarmi totalmente solo dopo che i figli sono un po' cresciuti".

La deputata del Pd Romina Mura ha tutt'altra estrazione politica rispetto alla sindaca di Santa Teresa, e mentre Nadia Matta è solo all'inizio della sua esperienza con la fascia tricolore, lei ha appena concluso dieci anni alla guida del Comune di Sadali. Ma sulla questione delle donne in politica le idee sono simili: "La politica continua a essere molto maschilista", concorda Mura, "se non crei le condizioni per un confronto alla pari le donne partono troppo svantaggiate. Perché? Perché in genere sono gli uomini che muovono i fili. Il punto non è eleggere donne, ma costruire un contesto culturale in cui ci si possa confrontare in modo equo, e lasciare agli elettori la scelta del profilo migliore". A proposito di contesti favorevoli, a Sadali dopo Mura è stata eletta Barbara Laconi, sostenuta dalla sindaca uscente e capace di vincere dopo un testa a testa serratissimo con Andrea Meloni, staccato di due sole preferenze. "Sono donne anche le più votate come consigliere", sottolinea Romina Mura: "Non credo che sia un caso".

Ritornando ai numeri, la consigliera di parità della Regione, Tiziana Putzolu, vede un peggioramento complessivo: "Sembrava che avessimo fatto dei passi avanti, ma si trattava di un fenomeno sporadico", sottolinea. "Nel mondo del lavoro e nei vari contesti sociali il ruolo delle donne si è decisamente affermato. La politica resta l'ultima trincea. E non per via dei soliti luoghi comuni: le donne non si candidano, le donne non votano le donne… Non è vero". Semmai, secondo Putzolu, a complicare il tutto c'è la sostanziale scomparsa dei partiti organizzati, "che a volte decidevano di investire sulle loro militanti. Le chiamavano gli angeli del ciclostile, ora che per la comunicazione politica basta Whatsapp non ci sono più neanche loro. Senza il ruolo dei partiti, restano solo gruppi di potere che si mantengono in vita con logiche di potere, e queste favoriscono chi occupa già certe posizioni: quindi soprattutto gli uomini". Nel voto amministrativo, poi, specie nei piccoli Comuni, "incidono questioni culturali e logiche familistiche caratterizzate da un sostanziale maschilismo. Invece nei centri più grandi può andare diversamente, come abbiamo visto a Sestu". Il caso Quartu dimostra però che la grande dimensione non è garanzia di pari opportunità. "Ora c'è un'altra questione da tenere d'occhio, la formazione delle Giunte comunali", conclude Putzolu: "Non di rado abbiamo visto sindaci che nominano inizialmente una squadra di assessori nel rispetto delle quote di genere imposte dalla legge, salvo poi violarle alla prima occasione buona per fare un rimpasto quando l'attenzione generale è affievolita. Sarà necessario vigilare".
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