Lo conoscevo da quasi vent’anni, ma non lo avevo mai visto coi pennelli in mano. Poi è successo e ho pensato che di lui mi ero sempre persa il meglio.

Quando dipingeva, Vidèo Anfossi diventava un folletto indiavolato. Sbranava la tela con una passione tale da lasciarti immobile, lì a guardare quel rito selvaggio: spettinato e furioso, coi pennelli stretti in entrambe le mani, perché una non riusciva a star dietro a quell’impeto. Destra e sinistra, a turno, una dopo l’altra, in un movimento impossibile da decifrare, colpivano la tela delineando piano l’essenza del soggetto che aveva di fronte. Solo lui e la sua preda, in una mansarda zeppa di quadri, dalle finestre coperte da brandelli di tela logori, preziosi dosatori di luce. Una danza.  

Qualche minuto per mettere a fuoco il soggetto, la sua essenza, la sua anima. Poi via, alla ricerca spasmodica del colore che si annidava tra le pieghe della figura, lì  davanti ai suoi occhi. Focalizzava, respirava, buttava fuori colore. Ansimando, come in un atto d’amore intenso.

Il suo figurativo era sempre un po’sfuggente, evocativo, quasi infantile, tra la forma e la memoria, dilatato nella nebbia tra passato e presente, introspettivo, rarefatto.

Vidèo riusciva sempre ad instillare nelle sue figure un movimento perenne, una spinta interiore un’anima misteriosa.

E i cavalli? Avvolti in un turbinio di polvere tra mulinelli di zampe senza forma, roteanti. Liberi, come lui. 

Era libero davvero Vidèo Anfossi. Libero da ogni schema, da ogni convenzione, un’anima in continua espansione, senza confini. 

Era stato suo padre a insegnargli a volare, a credere nel suo talento, a farsi trasportare dall’amore e dalla passione. Come faceva lui: Francesco Anfossi Guidacciolu, artista, politico e grande viaggiatore nel nome della giustizia sociale. Una figura mitologica sempre presente nei discorsi del figlio Vidèo. “Mio padre Cicito è stato il mio primo maestro” diceva sempre.  Cicito  gli aveva insegnato tutto: arte, credo politico, amore per la vita e le persone.

Ritratto del padre (foto concessa)
Ritratto del padre (foto concessa)
Ritratto del padre (foto concessa)

La voglia di condividere la sua passione con gli amici, vecchi e nuovi, riempiva le sue giornate, e quelle di sua moglie Sara, una donna speciale, madre di sette figli, pilastro silente di una famiglia dai mille talenti. 

Sara, Vidèo e i loro figli hanno condiviso una dimora speciale, immersa nel verde, e piena di stimoli: una galleria infinita di opere d’arte, memorie e racconti di famiglia, da Francesco Ciusa, il famoso autore della “Madre dell’Ucciso”, cugino di Cicito, allo zio Tosino, creatore del giocattolo sardo insieme a Eugenio Tavolara.

Sagra (foto concessa)
Sagra (foto concessa)
Sagra (foto concessa)

In quel paradiso tutti hanno trovato lo spazio per far fluire quel dono talentuoso dei grandi, che si è fatto strada attraverso le generazioni.

Vidèo Anfossi era nato a Le Havre il 6 marzo del 1933. Visse in Francia fino all’età di 7 anni. Nel ‘40 suo padre, per problemi politici, fu costretto a rientrare in Italia e, a malincuore, la famiglia lasciò la cara dimora francese per stabilirsi a Sassari.  

Cavalli (foto concessa)
Cavalli (foto concessa)
Cavalli (foto concessa)

Vidèo fece l’Istituto d’arte negli anni Cinquanta con insegnanti come Stanis Dessy, Filippo Figari, Eugenio Tavolara. Ma non tutti lo amavano per via del padre comunista. Così, “stanco di essere stuzzicato” a causa della sua fede politica,  si trasferì a Milano “un po’ per uscire dal bozzolo” spiega in un passaggio del libro in cui racconta la sua vita,  un po’ perché quell’ambiente iniziava a pesargli. Aveva bisogno di allontanarsi dall’isola dove l’Accademia non esisteva ancora. Scelse Brera.

Non smise mai di dipingere. Nell’ultimo anno di vita si faceva accompagnare spesso a Platamona: stava lì seduto per ore sulla spiaggia, a guardare il mare, con un quaderno di schizzi sulle ginocchia. Ritraeva i vicini di ombrellone.

Le sue tele parlano spesso dei suoi affetti, di feste religiose, di animali, paesaggi, natura, in una sinfonia di colori e forme cristallizzati in un movimento eterno.

Operai al lavoro (foto concessa)
Operai al lavoro (foto concessa)
Operai al lavoro (foto concessa)

La sua voglia di sperimentare lo ha sempre mantenuto giovane: nuovi incontri, nuove teorie, Vidèo era sempre aperto a qualunque cambiamento, un’artista senza età che si muoveva con la stessa flessibilità tra colori, argilla e legno.

 A 70 anni ha deciso di andare oltre la forma, dipingendo la musica. Raccontava i suoi percorsi di colore attraverso le note, creava sinfonie circolari di rossi, gialli, verdi e azzurri, nuotando sulla tela, per dare un senso a quel magma di sensazioni che gli girava dentro la testa. Decine, centinaia di sinfonie sono scaturite da quel momento magico in cui la figura si è persa. 

La musica aveva preso il sopravvento sui contorni, li aveva spinti fino a farli esplodere in mille pezzi. Oltre la struttura, pura energia.  

Quando non si chiudeva in soffitta a lavorare Vidèo era sempre in bilico tra i suoi umori e i suoi opposti: felice e rabbioso, sorridente e triste, pensieroso, distratto. Focalizzava un pensiero, lo spolpava fino a ridurlo a pezzi, ti trascinava in ragionamenti senza fondo e poi ti lasciava li, tramortito da logiche sconnesse, girando le spalle alla noia della tua razionalità.

Poi tornava a ridere di gusto sorseggiando un buon bicchiere di vino rosso in mezzo ai suoi figli, per celebrare il talento di ognuno di loro, incoraggiando tutti ad esibire i loro doni in pubblico, senza paura, senza freni. Sempre orgoglioso dei risultati che ottenevano: “Continua così – diceva - non aver paura, vai avanti”

E così spesso i classici pranzi domenicali in famiglia si trasformavano in concerti, di pianoforte violino e percussioni, con qualcuno che cantava, qualcuno che ballava, tutti incredibilmente bravi. E Sara, vispa e minuta, sempre presente e attenta a non far mancare a nessuno la sua attenzione, mentre lui gongolava di ammirazione.

Seduto lì, patron senza tempo, al centro della sua saga.

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