Trentatré anni trascorsi ingiustamente in carcere. Comunque la si pensi, vista la presenza di due sentenze definitive sulla vicenda (una di condanna pronunciata nel 1992, l’altra di assoluzione emessa nel 2024), questa è la storia di un errore giudiziario che in Italia a oggi non ha eguali. Di un uomo condannato per un triplice omicidio che non è diventato quadruplo solo perché l’ultima vittima è riuscita a sopravvivere, malgrado le due fucilate esplose contro di lei da neanche due metri di distanza. Di un episodio avvenuto sulle montagne tra Burcei e Sinnai, provincia di Cagliari, la sera dell’8 gennaio 1991 quando faceva freddo ed era già buio. Di un uomo indicato quale responsabile dal superstite. Di una testimonianza ritenuta ballerina già allora, di un’indagine che inizialmente segue diverse piste per poi incamminarsi lungo una strada ben precisa, di un processo che scarta tesi alternative e giunge a una chiara conclusione: c’è un unico responsabile, una sola persona ha massacrato tre persone nell’arco di circa 15 minuti in un’area vasta svariate centinaia di metri quadrati mentre l’oscurità avvolge Cuile is Coccus, teatro dell’eccidio.

La festa dopo l'assoluzione
La festa dopo l'assoluzione
La festa dopo l'assoluzione

Tre decenni

È la storia di Beniamino Zuncheddu, pastore di Burcei incriminato per la strage, arrestato nel febbraio 1991, chiuso in una cella dell’allora carcere di Buoncammino a Cagliari e tornato in libertà - definitiva - lo scorso 26 gennaio, dopo quasi 33 anni. Altri giudici di un’altra epoca e una diversa città (Roma) hanno ribaltato, pur senza troppa convinzione, una verità giudiziaria firmata dai colleghi di Cagliari e rimasta granitica per tre decenni: l’uomo indicato quale colpevole di un’azione da killer consumato non doveva essere condannato ma assolto con la formula del dubbio. Il dubbio che in realtà non fosse stato lui a sparare e uccidere tre persone (Gesuino e Giuseppe Fadda, padre e figlio, e il pastore Ignazio Pusceddu, alle loro dipendenze) per contrasti legati al pascolo con altri allevatori confinanti.

L'ovile della strage in montagna
L'ovile della strage in montagna
L'ovile della strage in montagna

Risultato: un capraro che all’epoca aveva 27 anni e una vita davanti è tornato nella sua casa da uomo libero che ne ha compiuti 60. La giovinezza è andata, la possibilità di costruirsi un’esistenza normale anche. Niente figli, non una compagna. Ma disperazione, brutti pensieri, acciacchi, patologie, frustrazione. Chi pagherà? Soprattutto: si può realmente risarcire un danno simile? Sarà ancora una volta la magistratura a doversene occupare, con un procedimento che valuterà quale possa essere l’adeguato risarcimento per l’ingiusta detenzione. Forse, probabilmente, annacquato dalla sentenza di Roma. Infine: si può dire che la giustizia ha comunque trionfato? Dubitiamo.

Il libro dell'Unione Sarda sulla vicenda
Il libro dell'Unione Sarda sulla vicenda
Il libro dell'Unione Sarda sulla vicenda

La vicenda

C’è un libro, scritto dalla giornalista Maria Francesca Chiappe e pubblicato dall’Unione Sarda, seguito poi da un secondo testo firmato da Zuncheddu e dal suo avvocato Mauro Trogu, che illustra quanto accaduto. Qui ripercorriamo le tappe di una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica in Sardegna e richiamato l’attenzione anche della stampa nazionale. Partendo dalla fine: da quando la famiglia dell’ergastolano decide di affidarsi a un giovane legale, l’ennesimo di questa travagliata vicenda, per tentare l’ultima strada. Che si rivela giusta.

Per tre decenni nessuno mette in dubbio, a livello giudiziario, la responsabilità di Beniamino Zuncheddu nella strage. Tutto comincia a cambiare nel 2017, quando la sorella e il cognato dell’ergastolano si rivolgono al penalista sulcitano Trogu su suggerimento di una collega che segue la famiglia del pastore in una causa civile. L’avvocato ascolta la storia ed è prudente, perché sa che la grande maggioranza dei condannati si dichiara innocente (lo spiegherà con grande ironia e il sorriso lo stesso pastore dopo l’assoluzione: «In carcere tutti dicono di non aver fatto nulla…e invece è pieno di rapinatori e criminali»). Però è colpito dalla pervicacia con cui l’interlocutore si rifiuta di confessare («perché dovrei? Non ho fatto nulla») pregiudicandosi l’accesso alla libertà condizionale che, seguendo prescrizioni precise, già allora lo porterebbe all’estinzione della pena (è in cella da 26 anni, limite oltre il quale è possibile accedere a quel beneficio).

L'avvocato Mauro Trogu
L'avvocato Mauro Trogu
L'avvocato Mauro Trogu

Da allora la sorte di Zuncheddu cambia. Trogu, lette le carte, si convince che il suo assistito nulla abbia a che fare con l’eccidio. E per dimostrarlo decide di seguire un metodo pressoché scientifico. Chiede aiuto a un amico di vecchia data, Simone Montaldo, esperto di psicopatologia forense e della testimonianza, il quale prepara una consulenza che collima con le sue tesi. Studia le sentenze, torna nell’ovile della mattanza e verifica le distanze, le posizioni, le luci: ogni dettaglio dei luoghi. Quindi il passo fondamentale: il colloquio con l’allora procuratrice generale di Cagliari, Francesca Nanni. Che a sua volta approfondisce il caso, spulcia le carte dell’inchiesta originaria, riflette e conclude per l’innocenza di Zuncheddu. Quel che sembrava impossibile diventa una tesi investigativa da coltivare.

Le prove

Per aprire un varco al ribaltone però serve una nuova prova, qualcosa di mai emerso in precedenza. Che sia granitica, utile a dimostrare senza timore di smentita quanto le sentenze originarie siano fondate su un vizio che le rende sbagliate. Il punto nodale è individuato nelle varie versioni del superstite sul riconoscimento del responsabile, così la pg convoca nel suo ufficio, alla presenza dei Carabinieri di Cagliari, proprio il sopravvissuto Luigi Pinna, genero di Gesuino Fadda (proprietario dell’ovile), per chiedergli di tornare con la memoria a quei momenti e ricordare cosa fosse accaduto. È il febbraio 2020.

Il procuratore aggiunto Paolo de Angelis
Il procuratore aggiunto Paolo de Angelis
Il procuratore aggiunto Paolo de Angelis

Magistrato e militari sono interessati alle testimonianze originarie: subito dopo il triplice omicidio l’uomo disse agli uomini dell’Arma di non aver riconosciuto il responsabile, il cui volto era nascosto da una calza da donna; poi, dopo circa 40 giorni, all’investigatore della Polizia che cominciò a seguire le indagini riferì che in realtà il killer aveva il viso scoperto e dunque di poterlo individuare. Come fece, indicando la fotografia di Zuncheddu mostratagli nel corso delle indagini.

Le domande

Particolare quest’ultimo sul quale si incentrano quel giorno le domande della pg e dei militari. La procuratrice generale chiede a Pinna se per caso quella immagine gli fosse stata fatta vedere dal poliziotto (Mario Uda) prima di essere convocato dal pm che indagava (Fernando Bova) e, dunque, del riconoscimento ufficiale. Il superstite nega ma tergiversa, non è convincente. Anzi, il suo comportamento conferma implicitamente la nuova tesi (così ritengono Nanni e carabinieri): Pinna accusò Zuncheddu perché convinto dall’investigatore, presumibilmente in buona fede. E che le cose stiano così pare emergere quando il testimone, finito il colloquio, esce dal Tribunale e sale nell’auto dove lo attende la moglie, con la quale parla di quanto appena accaduto.

La Corte d'appello di Roma legge la sentenza d'assoluzione
La Corte d'appello di Roma legge la sentenza d'assoluzione
La Corte d'appello di Roma legge la sentenza d'assoluzione

Il colloquio

La coppia non sa che sul veicolo i militari hanno sistemato le microspie (il procuratore aggiunto Paolo de Angelis ha aperto una nuova indagine sul triplice delitto per scoprire i coautori del massacro). Così parla. E si scopre che è vero: Uda mostrò a Pinna l’immagine di Zuncheddu quale autore dell’eccidio prima del dovuto, di fatto «falsando» il ricordo del superstite e «la prova regina» che portò alla condanna all’ergastolo. Due virgolettati presenti nella richiesta di revisione della condanna depositata dalla pg Nanni in Corte d’appello a Roma pochi mesi dopo.

È nato tutto da lì, anche se sono dovuti trascorrere altri tre anni e mezzo prima che Pinna, davanti al collegio, ammetta quel che realmente era accaduto: «Sì, Uda mi ha fatto vedere la foto di Zuncheddu prima dell’incontro col pm. Questa è la verità. Se ho sbagliato, chiedo perdono a Dio». Era il 12 novembre scorso. Il processo in pratica è finito lì. Ma c’è tanto da raccontare.

1) continua

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