Il lavoro nobilita l’uomo, assicura un famoso detto. Di certo, però, non lo rende felice. Anzi, scorrendo le ultime ricerche sembra proprio che quella per la propria occupazione sia diventata una fobia, o almeno una fonte di stress e tristezza. Milioni di italiani non lo nascondono più, “choccati” ovviamente dal Covid e ormai sempre più consapevoli che uno stipendio sicuro risolve molti problemi della vita, ma purtroppo non tutti.

Poco importa se la crisi post pandemica sia finita, l’onda lunga dello tzunami socio-economico prosegue inarrestabile, sconvolgendo le scelte di vita anche di migliaia di sardi.

I numeri

L’ultima indagine condotta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano disegna un Paese “in depressione”, dove solo il 5% degli occupati è felice di ciò che fa e il 9% ammette di stare bene nel proprio luogo di lavoro.

Le colonne del benessere sono conosciute e ambite da tanti: quello fisico, psicologico e relazionale con i colleghi. «Un lavoratore su tre si è assentato almeno una volta dal lavoro nell’ultimo anno per motivi di stress o ansia, ma solo un’azienda su due offre servizi a supporto», spiegano i responsabili dello studio. «Infelicità e malessere portano molti a cambiare lavoro: il 42% degli italiani l’ha fatto recentemente o ha intenzione di farlo a breve e nel 2024 per la prima volta il motivo principale è la ricerca di “benessere fisico e mentale” (36%), ma crescono anche la ricerca di opportunità di carriera e di occupabilità nel medio-lungo termine».

In realtà, il coraggio di cambiare vita (dando le dimissioni per cercare un contratto più soddisfacente) spesso non ha un lieto fine: «Il 56% di chi ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi si è già pentito, +37% rispetto al 2023», confermano dal Politecnico milanese. «Una delle principali fonti di malessere resta l’incapacità di gestire vita lavorativa e vita privata: in un anno, raddoppiano i Job Creeper (13% vs. 6%), quelli che non riescono a smettere di lavorare e lo fanno in momenti che dovrebbero dedicare alla propria vita privata, mentre è stabile il numero dei Quiet Quitter (12%), i lavoratori che fanno il minimo indispensabile senza essere coinvolti emotivamente nelle attività che svolgono».

Prospettive inquietanti

E se il presente sembra un film drammatico, il futuro potrebbe trasformarsi in un thriller fantascientifico. Ad aumentare la paura e l’insoddisfazione in ufficio ci sta infatti pensando subdolamente anche l’Intelligenza artificiale: oggi docile “compagna” di lavoro in attività semplici come per esempio la compilazione di un testo, domani potenziale collega ingombrante pronta a sostituire migliaia di umani. «Il 26% dei lavoratori ha già utilizzato soluzioni di AI generativa nell’ultimo anno», proseguono gli esperti. «L’attività principale è stata la semplice ricerca di informazioni (31%) come una classica barra di ricerca. Ma l’impatto potenziale è alto: secondo i lavoratori, il 24% delle proprie attività possono essere già svolte con il supporto di soluzioni di AI generativa. E quasi uno su due è preoccupato delle conseguenze, non tanto per il rischio di perdere il lavoro (12%), ma per la possibilità che diventi più precario (26%) o che le proprie competenze siano meno rilevanti (22%). I più ottimisti vedono nell’AI generativa un’alleata per svolgere meglio il lavoro (29%), sviluppare nuove competenze (23%) e lavorare meno (21%)».

Soluzioni

«Per rispondere alle esigenze delle persone è cruciale progettare nuovi modelli organizzativi incentrati su un obiettivo capace di dare al lavoro un nuovo significato», conclude Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice. «Ad esempio, attraverso l’impegno nella sostenibilità: la percentuale di felici al lavoro sale al 24% nelle aziende in cui le persone sono coinvolte in iniziative sostenibili. Inoltre, per rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro attuale, l'intelligenza artificiale può essere un alleato prezioso. Da un lato può mitigare il problema della mancanza di personale automatizzando compiti ripetitivi e riducendo la dipendenza da competenze specialistiche. Dall'altro può contribuire a ridisegnare ambienti organizzativi, migliorando il benessere e rendendo le organizzazioni più attrattive».

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