Forrest Gump doveva correre ancora. Dopo qualche anno di pausa dall’uscita del film (che proprio in questi giorni festeggia il trentesimo anniversario dell’anteprima europea alla mostra del cinema di Venezia, nel settembre 1994), la squadra che aveva realizzato quel clamoroso successo planetario era pronta a far ripartire il viaggio surreale di Gump, nel sequel di una delle pellicole più amate nella storia del cinema. Ma a bloccare tutto è stata una coincidenza che, per una clamorosa ironia della sorte, somiglia molto a quelle che caratterizzano la vita del personaggio interpretato da Tom Hanks.

La figura attorno alla quale si snoda tutta la vicenda, infatti, è quella di un buffo cittadino americano medio – anzi, sotto la media, almeno per il quoziente intellettivo – che per caso e senza accorgersene diventa testimone e protagonista degli snodi della storia americana del dopoguerra. Dalla fine della segregazione razziale alla diplomazia del ping pong tra Usa e Cina, dal Vietnam alla crudele minaccia dell’Aids. Conosce John Lennon, scherza con John Fitzgerald Kennedy, collabora con un altro presidente (Richard Nixon) salvo poi inguaiarlo scatenando il caso Watergate. Sempre inconsapevolmente.

Le nuove avventure

Nel secondo film immaginato dal regista Robert Zemeckis insieme allo stesso Hanks, l’inspiegabile intreccio tra la vita privata di Forrest Gump e i destini del Paese sarebbe andato avanti negli anni Ottanta e Novanta del secolo, dominati dalla fine della Guerra fredda con l’Unione Sovietica ma anche dalla difficoltà di trovare un nuovo equilibrio in un mondo non più diviso in due blocchi, minacciosi ma per certi versi rassicuranti. Lo sceneggiatore Eric Roth, uno dei padri dell’opera premiata con sei Oscar (tra cui quello per la migliore sceneggiatura non originale), aveva appena finito lo script per il sequel: anche in questo caso basandosi su un romanzo di Winston Groom, “Gump&Co.”, che nel 1995 aveva sfruttato la scia del film per dare un seguito al suo “Forrest Gump” pubblicato nel 1986, e poi riadattato per il grande schermo dalla ditta Zemeckis-Roth.

È stato lo stesso sceneggiatore, qualche anno fa, a raccontare che nelle sue nuove avventure Gump avrebbe ancora avuto a che fare con l’Aids, stavolta diagnosticato a suo figlio (la cui madre era morta presumibilmente della stessa malattia nella parte finale del primo film: benché il virus che la uccide resti misterioso e innominato). Ma l’avremmo visto anche a bordo della Ford Bronco su cui O. J. Simpson tentò di scappare dalla polizia, nel celebre inseguimento ripreso in diretta dagli elicotteri delle tv via cavo; e sarebbe stato presente alla strage di Oklahoma City dell’aprile 1995, quando un camion bomba distrusse un edificio federale provocando 168 vittime e quasi 700 feriti. L’attentato terroristico più grave mai avvenuto negli Stati Uniti, fino a quello dell’11 Settembre.

Un’imprevedibile svolta 

Ecco, appunto. La nuova sceneggiatura era già pronta: è stato sempre Roth a rivelare (chissà se con qualche arrotondamento della verità) che l’aveva anche consegnata alla produzione. Quando? Il 10 settembre del 2001. La mattina dopo, l’attacco alle Torri gemelle avrebbe terrorizzato e paralizzato l’America. Sulla costa opposta degli Stati Uniti, anche Hollywood inizialmente subì un contraccolpo per il clamoroso blitz di Al Qaeda, che aveva svelato l’inattesa vulnerabilità della prima potenza mondiale e di tutto lo stile di vita occidentale.

LAPRESSE
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Un'immagine dell'attentato alle Torri gemelle di New York

Quando poi l’industria del cinema si riprese dallo choc, riavviando i vari progetti, Zemeckis e Hanks si resero subito conto che la loro idea di dare un seguito a Forrest Gump era ormai fuori tempo. “Non aveva più senso”, ammetterà il regista. Per una storia così intimamente connessa alla Storia con la S maiuscola, diventava impossibile raccontare le conseguenze della caduta del Muro di Berlino e della fine del socialismo reale ignorando l’emersione del nuovo spauracchio: il nemico jihadista che infatti avrebbe poi impegnato gli Usa in una nuova stagione di guerre lontane, col loro triste bilancio di giovani vite spezzate, ben presto più pesante di quello, già agghiacciante, delle tremila vittime dell’11 Settembre.

Resta il rammarico, per chi ha tanto amato il personaggio interpretato da Tom Hanks, di non averlo visto crescere e confrontarsi con le nuove svolte del destino, suo e del suo Paese. Ma forse è meglio così: tante volte i grandi successi sono stati poi seguiti da operazioni meno felici e originali, non all’altezza delle aspettative. Di Forrest Gump possiamo invece conservare un ricordo lieto e puro: per il suo sguardo ingenuo su ciò che lo circonda, per tutte le sue frasi geniali e strampalate transitate alla memoria comune (è senz’altro uno dei film più saccheggiati di citazioni). Per la tenerezza commovente che caratterizza i suoi rapporti con le persone: la mamma, il dolce amico Bubba, il tenente Dan, l’amata Jenny. Per la leggerezza con cui riesce a volare anche sugli eventi più drammatici, come la piuma che apre e chiude il film: simbolo, com’è stato detto da qualcuno, dell’atteggiamento che aiuta ogni essere umano a superare i suoi traumi, e a guardare al futuro con fiducia. Nonostante tutto.

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