Si chiamano terre rare. Sono diciassette elementi denominati così non perché siano poco presenti in natura, ma perché la loro individuazione è stata tutt’altro che facile. Eppure, insieme ad altri elementi chimici come ad esempio il litio, il cobalto o il germanio, sono sempre più importanti nelle produzioni del futuro. Le batterie per le auto elettriche o ibride, i semiconduttori per produzioni tecnologicamente avanzate, la realizzazione di chip per gli smartphone sono solo alcune delle attività che richiedono l’utilizzo di terre rare e altri elementi chimici in passato poco valorizzati nelle attività industriali.

Un nuovo ordine mondiale

D’ora in avanti, dunque, chi produrrà e commercializzerà questi elementi chimici, dominerà il mondo. Non basta più avere l’acciaio, il ferro o l’alluminio, ora il potere economico è dato da altri fattori e produzioni, a partire appunto da quelle di semiconduttori e terre rare. Il potere geopolitico si ridisegnerà, nei prossimi anni, anche sulla base di questi elementi, posto che oggi una buona parte arriva da Paesi come la Cina e Taiwan. Tanto che gli Stati Uniti, ad esempio, hanno deciso di avviare una vasta protezione nei confronti di alcuni loro brevetti, a iniziare dal Gpu H100, il nuovo superchip per l’intelligenza artificiale considerato il più avanzato al mondo. Un brevetto, realizzato da Nvidia, gigante Usa delle schede grafiche oggi in prima fila nella produzione di hardware per l’intelligenza artificiale, per il quale gli Stati Uniti hanno deciso di vietare l’esportazione. La ragione? Non dare un vantaggio competitivo a Cina o Russia nell’utilizzo del nuovo superchip. È vero, infatti, che il brevetto è americano, ma una volta riprodotto, la Cina potrebbe produrne molti più esemplari dei Paesi occidentali, perché in grado di controllare il mercato dei semiconduttori. La Cina è oggi il maggiore esportatore al mondo di terre rare e sul mercato dei semiconduttori sta investendo centinaia di miliardi di dollari. Taiwan (alleato degli Stati Uniti) invece controlla il 60% della fabbricazione dei semiconduttori e il 53% dell’assemblaggio.

L’Unione europea, dal canto suo, è più indietro. Se anche nei prossimi dieci anni dovesse riuscire a far salire dal 10 al 20% la produzione di chip, avrebbe necessità di grandi quantità di terre rare, che sono appunto controllate per lo più dalla Cina.

Due proposte

Eppure qualcosa si muove anche nel mercato italiano e nella nostra Isola. Se ci fosse un po’ di visione, alcuni progetti potrebbero diventare ben presto strategici per l’industria del terzo millennio nel nostro Paese.

A Marghera, ad esempio, sono stati fatti ingenti investimenti da Alkeemia, azienda ambiziosa controllata da un fondo d’investimento, che vuole diventare il primo produttore europeo di ioni di litio, elemento essenziale per le batterie delle auto elettriche. Alkeemia, fino al 2021, era di proprietà di Fluorsid, azienda del presidente del Cagliari Tommaso Giulini. Il fondo londinese Blantyre ha acquisito la società proprio con l’obiettivo di sviluppare questa attività, mettendo tra l’altro alla guida della società l’ex ad di Fluorsid Lorenzo di Donato, considerato uno dei manager industriali in ascesa nel panorama italiano. Si parte dalla produzione del fluoro appunto per ottenere gli ioni di litio: l’obiettivo è far uscire dallo stabilimento circa 5mila tonnellate all’anno di prodotto. Una quantità non enorme se si pensa che la richiesta del solo mercato europeo nel 2028 dovrebbe aggirarsi intorno alle centomila tonnellate, ma sufficiente a posizionare la fabbrica di Marghera nel panorama dei produttori continentali di un bene che diventerà sempre più richiesto.

Così come appunto saranno sempre più necessarie le terre rare, che però possono essere ottenute anche dalla bonifica e dal trattamento di scarti di produzione industriale di metalli pesanti. Su questo infatti si incentra la proposta presentata nell’ambito del Just Transition Fund. Con i fondi del Pnrr, infatti, si vorrebbe promuovere un innovativo processo produttivo messo a punto da Ecotec, società con centro di ricerche a Macchiareddu, che vuole bonificare i siti industriali dismessi del Sulcis per ottenere, tra le altre cose, anche terre rare. Nella scheda presentata dalla società guidata da Aldo Imerito, si propone di realizzare “un impianto dimostrativo, per validare su scala semi industriale un processo articolato in grado di trattare i residui della produzione dell’allumina dalla bauxite, noti come “fanghi rossi” o “bauxite residue”, ed avente la capacità di estrarre da essi elementi e prodotti a valore aggiunto da reinserire in cicli produttivi e mercati di riferimento, con riduzione del rifiuto, rispetto all’esistente, maggiore del 90%”. “Il processo, protetto da brevetto, tramite impianti di opportuna potenzialità di trattamento, può essere applicato sia ai fanghi rossi attualmente presenti nel bacino di stoccaggio, sia ad eventuali fanghi rossi di nuova produzione – si legge nella scheda - Il processo si basa su una combinazione di trattamenti pirometallurgici, idrometallurgici e di raffinazione finale dei prodotti, ed è in grado di rigenerare i reattivi impiegati, riducendo al minimo indispensabile i reintegri e gli scarichi. I prodotti principali del procedimento sono allumina, da rilanciare in testa al processo di raffinazione, ghisa da destinare al mercato di riferimento, ossido di scandio e ossidi di elementi rari e terre rare presenti nei residui della lavorazione della bauxite”.

Insomma, se il progetto venisse finanziato, oltre a promuovere nuovi posti di lavoro, si otterrebbero due obiettivi importanti: bonificare zone industriali altamente inquinate, ridurre gli scarti industriali per le nuove produzioni e immettere sul mercato terre rare che oggi più che mai rappresentano un elemento ricercato dall’industria tecnologica. Forse non si potrà scalfire la potenza cinese, ma ridurre l’influenza mercantile sul Mediterraneo potrebbe essere già un risultato apprezzabile.

© Riproduzione riservata