Una stanzetta buia dove sono raccolti i tesori di una storia senza tempo, una tragedia raccontata dal fango che il 28 novembre scorso ha attraversato il laboratorio di Terrapintada, a Bitti.   

Oggi, dopo quasi 6 mesi dall’inondazione, i tre ceramisti, che 25 anni fa hanno fondato uno dei laboratori più importanti dell’isola, mostrano i segni di quel passaggio: “A battaglia finita”

L’idea ha preso forma dopo qualche mese dall’alluvione, che ha messo in ginocchio Bitti per la seconda volta in 7 anni, trasformando il paese in un teatro di guerra. 

Nel seminterrato del laboratorio di Simonedda Marongiu e dei fratelli  Robert e Giulia Carzedda era custodito l’archivio di una vita: tante opere inedite, sculture, bozzetti e la memoria di 25 anni di collaborazioni e sperimentazioni con artisti e designer come Antonello Cuccu, Alessio Tasca, Lee Babel, e Gianfranco Pintus.

Poco è rimasto di quei matrimoni misti. 

Una navicella coperta di fango (foto Raggio)
Una navicella coperta di fango (foto Raggio)
Una navicella coperta di fango (foto Raggio)

Mezzo metro di limo ha ricoperto decine di opere, trasformandone i connotati.

Un incontro inconsueto, uno scontro violento, che ha lasciato le tracce indelebili di qualcosa di incontrollabile, imponderabile. Di una forza superiore che parla attraverso i segni che lascia: croste di fango su ferite ancora aperte.

La  mostra è nata da una chiacchierata informale tra amici qualche mese dopo la tragedia: Chiara Manca, giovanissima gallerista nuorese, Concettina Ghisu, storica dell’arte e i ceramisti di Terrapintada.    

Il 15 maggio scorso l’inaugurazione, nella piccola nicchia espositiva  di Mancaspazio, nel quartiere di Santu Predu, a Nuoro.

Pochi oggetti,  in penombra, posati su un tappeto di legno cippato che ricorda i detriti portati a valle dall’impeto di quell’onda violenta.

“Abbiamo esposto quello che rimane, a battaglia finita, quando l’acqua bassa sfila tra la gente come un’innocente che non c’entra niente” scrive Chiara Manca, nell’introduzione al progetto. La quiete dopo la tempesta.

L'uovo di Cuccu (foto Raggio)
L'uovo di Cuccu (foto Raggio)
L'uovo di Cuccu (foto Raggio)

“Solo dopo qualche tempo abbiamo elaborato quel grande lutto – racconta Robert Carzedda -  metabolizzato quello che era successo e preso le distanze da quegli oggetti a cui tenevamo tanto. Sporchi, distrutti segnati dalla furia degli elementi. Abbiamo ripulito, buttato via tanto lavoro, ma non abbiamo voluto cancellare tutti i segni di quel disastro. Passata la rabbia abbiamo conservato la memoria. Perché quando la natura si rivolta o ti disperi o accogli il suo passaggio”.

E questo hanno fatto Robert, Simonetta e Margherita. Hanno accolto la terra sulla loro terra.

Un esercizio tutt’altro che semplice per un ceramista che vive ogni suo giorno nel tentativo di mantenere il controllo sui quattro elementi. Quel fango è stata un’intrusione non prevista, una collaborazione non contemplata. Prepotente.

Simonetta Marongiu, Giulia e Robert Carzedda (foto dal catalogo)
Simonetta Marongiu, Giulia e Robert Carzedda (foto dal catalogo)
Simonetta Marongiu, Giulia e Robert Carzedda (foto dal catalogo)

Madre natura ha sfondato la porta del laboratorio di Terrapintada trasformandone i contenuti. Ha creato una nuova pelle sugli oggetti schiaffeggiati da quel passaggio violento, ha inventato strane texture, superfici vive, crude, pulsanti. Quasi uno sfregio alla perfezione maniacale di Terrapintada.

“Il fango decide per Giulia, Simonetta e Robert – scrive Concettina Ghisu– si deposita sugli smalti brillanti delle loro ceramiche, stesi con cura sopra forme dalla geometria rigorosa… E così l’uovo perfettamente bianco di Antonello Cuccu ritorna ad essere quello appena deposto da una gallina, coperto di sterco”.  

Oggetti incrostati di limo (foto Raggio)
Oggetti incrostati di limo (foto Raggio)
Oggetti incrostati di limo (foto Raggio)

Ma quel fango primordiale, vivo e intelligente manda messaggi ben più complessi, quasi consapevole di comunicare con dei ceramisti: cola, formando bellissime dendriti di limo, crea ricercate superfici di crowling, simili a patine di deserto, e ancora splendide colature, grumi materici, graffi che sembrano conferire un valore aggiunto a tutto.

“L’estetica del disastro” , la chiamano loro. E invece di cancellarla la conservano, anzi la fissano con resine spry che ne preservano intatta la bellezza intrinseca, potente.

Per non dimenticare.

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