Francesco si dice preoccupato. Turbato, scrive, per «una situazione che mi addolora», tanto che ha deciso di intervenire personalmente, anche con toni robusti come spesso ha abituato il suo gregge di anime

Nella recentissima Lettera ai vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu proprio «Traditionis custodes», pubblicata venerdì 16 luglio scorso, sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970, il Papa rileva tutta la complessità del momento. Al centro della questione, in estrema sintesi, la messa in latino e il sacerdote che celebra rivolto verso l’altare, come in qualche modo aveva rilanciato Benedetto XVI (Summorum Pontificum, 2007) in deroga ai dettati del Concilio Vaticano II. «A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire».

Qual è il punto? Prima una piccola premessa. Che la Chiesa di Francesco sia diventata una spina nel fianco di molta gerarchia vaticana con al seguito componenti tradizionaliste e nostalgiche di ogni ordine e grado, è cosa nota. E stavolta sembra che Bergoglio per un attimo abbia messo da parte la proverbiale pazienza del successore di Pietro per, calcisticamente, estrarre dal taschino un paio di cartellini gialli. Il tutto, inoltre, va inquadrato anche in quell’ampio dibattito che si è sviluppato attorno al Nuovo Messale, approvato a novembre del 2018 dall’Assemblea generale dei vescovi italiani, e promulgato, dopo l’imprimatur dello stesso Francesco, l’8 settembre 2019 dal cardinale Bassetti. Le nuove "parole della Messa" sono diventate obbligatorie dalla Pasqua scorsa.

Papa Francesco, Archivio L'Unione Sarda
Papa Francesco, Archivio L'Unione Sarda
Papa Francesco, Archivio L'Unione Sarda

LA LETTERA «Cari Fratelli nell’Episcopato», è l’inizio della nota inviata per spiegare le ragioni del suo intervento. «Come già il mio Predecessore Benedetto XVI fece con Summorum Pontificum, anch’io intendo accompagnare il Motu proprio Traditionis custodes con una lettera, per illustrare i motivi che mi hanno spinto a questa decisione. Mi rivolgo a Voi con fiducia e parresia, in nome di quella condivisione nella “sollecitudine per tutta la Chiesa, che sommamente contribuisce al bene della Chiesa universale”, come ci ricorda il Concilio Vaticano II». E subito dopo: «Sono evidenti a tutti - scrive Papa Bergoglio - i motivi che hanno mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del Sacrificio eucaristico. La facoltà, concessa con indulto della Congregazione per il Culto Divino nel 1984 e confermata da san Giovanni Paolo II nel Motu proprio “Ecclesia Dei” del 1988, era soprattutto motivata dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre. La richiesta, rivolta ai Vescovi, di accogliere con generosità le “giuste aspirazioni” dei fedeli che domandavano l’uso di quel Messale, aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa». Ma, rileva Francesco, quel desiderio di unità è stato lungamente disatteso. «Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso “fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente”, è stato spesso gravemente disatteso». Poi precisa; «Mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia».

LE NUOVE REGOLE  Stretta del Papa sulla Messa in latino o aggiornamento delle norme stabilite da Benedetto XVI, comunque le si voglia intendere queste sono le disposizioni contenute nel Motu proprio di Jorge Mario Bergoglio. Si parte da un riferimento, di tutta sostanza, ai suoi predecessori: «Art. 1. I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano». L’articolo successivo sancisce la responsabilità delle singole diocesi. «Al vescovo spetta regolare le celebrazioni liturgiche nella propria diocesi. Pertanto, è sua esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica». Nelle diocesi dove esistono gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente la riforma del 1970, il vescovo deve anche indicare le chiese dopo si possono svolgere quelle celebrazioni, seguendo appunto la vecchia liturgia. In ogni caso non potranno essere chiese parrocchiali. Inoltre, è sempre in capo al vescovo stabilire «i giorni in cui sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962». Ancora: il capo della diocesi deve nominare un sacerdote che, come suo delegato, «sia incaricato delle celebrazioni e della cura pastorale di tali gruppi di fedeli» e che tenga ben presente «non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli». Il vescovo non potrà autorizzare la «costituzione di altri gruppi». I sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu proprio di Francesco, per celebrare secondo il Messale preconciliare, dovranno fare richiesta al proprio vescovo il quale prima di concederla «consulterà la Sede Apostolica». Autorizzazione da chiedere (per chi già celebra secondo questa liturgia) anche per continuare a usare il vecchio messale. Infine l’ultimo articolo, l’ottavo, e la conclusione: «Le norme, istruzioni, concessioni e consuetudini precedenti, che risultino non conformi con quanto disposto dal presente Motu Proprio, sono abrogate. Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgata mediante pubblicazione sul quotidiano “L’Osservatore Romano”, entrando subito in vigore e, successivamente, venga pubblicato nel Commentario ufficiale della Santa Sede, Acta Apostolicae Sedis. Francesco». 

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