Semplici, il condottiero del Cagliari
L’allenatore fiorentino sta provando a tirare fuori dai guai i rossoblù: “Lotteremo fino all’ultimo secondo”
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È il condottiero del Cagliari. L’uomo della svolta - comunque vada - in una stagione tormentata, ma che potrebbe concludersi a sorpresa con un lieto fine, è senza dubbio Leonardo Semplici. Se i rossoblù sono ancora in corsa per la salvezza la gran parte del merito va al tecnico fiorentino, chiamato dalla società con la squadra in coma, sotto choc per l’interminabile e inattesa sfilza di sconfitte rimediata sotto la gestione di Eusebio Di Francesco.
CHI È. Semplici arriva dalla gavetta. A dimostrarlo è un curriculum di successi nelle categorie inferiori e alla guida delle giovanili della Fiorentina. Ex difensore semiprofessionista, il tecnico rossoblù ha 53 anni. Nell’Isola, sempre per questioni di pallone, c’era già stato: nella stagione 1988-‘89 ha giocato in C2 con il Sorso, lasciando un buon ricordo anche se quella non fu una stagione particolarmente felice per i biancocelesti, visto che si concluse con un'amara retrocessione in Interregionale e una sola partita vinta, contro l'Ilva (anch'essa retrocessa), guidata dall'allenatore sorsense Angelino Fiori. Se non avesse deciso di dedicarsi al calcio, avrebbe affiancato il padre nella gestione della ditta di pellami di famiglia, a Firenze. Uomo di campo, cura l'eleganza nel vestire da quando - si racconta - un dirigente viola, che lo convocò in sede per fargli firmare il contratto, lo redarguì bonariamente, trovandoselo davanti in t-shirt: «La prossima volta», lo ammonì, «indossi almeno una camicia». Questione di stile, si dirà. E Semplici si è adeguato in fretta. Ma se l'abito non sempre fa il monaco, lui ha cercato di smentire l'adagio con i risultati. Prima della Primavera della Fiorentina ha allenato Sangimignano, Valdarno (che in quattro stagioni ha portato dall'Eccellenza alla C), Arezzo (nel 2009-'10 ha centrato i playoff per la B) e Pisa (dove ha chiuso con l'esonero). Dopo l'esperienza viola, tra il 2014 e il 2020, è salito con la Spal dalla C alla A, salvandola nel 2019, impresa che spera di ripetere in Sardegna.
NOMEN OMEN. Di sé ha detto, intervenendo di recente a “Il Cagliari in diretta”, su Videolina, Radiolina e Unionesarda.it: “Sono una persona semplice di nome e di fatto, che ha una grande passione, nata per caso, per il lavoro che fa. Sono stato quasi obbligato a diventare tecnico, al Sangimignano, in Eccellenza: dicevano che ero l'allenatore in campo e il presidente mi convinse a spostarmi in panchina. Pian piano ci ho preso gusto. In 16 anni mi ha contraddistinto la voglia di provare a migliorarmi, di mettermi in discussione. E l'ambizione. Nessuno mi ha regalato niente, ho vinto tutti i campionati, dall'Eccellenza fino al salto in Serie A”.
EMPATIA. Con il gruppo rossoblù l’empatia è stata immediata. I cerchi in mezzo al campo, a fine partita, anche quando le cose non sono andate bene, lo dimostrano più di ogni altra manifestazione esteriore: “Hanno il significato della condivisione: significa che prevale il noi e non l' io. I giocatori mi hanno dato da subito grande disponibilità, trasferendo sul campo il loro spirito di rivalsa. Al mio arrivo ho fatto colloqui di squadra e individuali: ho trovato valori importanti e una grande voglia di dimostrare certi principi e di regalare ai tifosi la salvezza”. Dalla sua ha già il miracolo con la Spal, portata in A dalla C e, infine, salvata: tutto in appena tre stagioni. Ora va a caccia di un'impresa in rossoblù. E promette: “Ce la giocheremo fino all’ultimo”.