Curioso: nell'immaginario è un gioco maschile, di strategia, abilità e intelligenza, eppure il pezzo più forte è una donna, la temibile regina. Capace di muoversi in ogni direzione, avanti, indietro, in diagonale, per quante caselle vuole, la regina combina insieme le mosse della torre e dell'alfiere. Sì, parliamo degli scacchi, raffinato gioco da tavolo, e la prima immagine che torna alla mente è la partita del secolo, quella giocata al principio degli anni Settanta tra lo sfidante americano Bobby Fischer e Boris Spasskij, all'epoca campione del mondo e simbolo dell'Unione Sovietica. Erano tempi di guerra fredda e quell'incontro, disputato in Islanda, a Reykjavík, ne era la sintesi. Sulla scacchiera si muovevano ombre e sospetti, e non solo pedoni, torri, cavalli, alfieri, re e regine. Ora, segno dei tempi, gli scacchi sono tornati di gran moda grazie a Netflix, la piattaforma digitale àncora di salvezza in tempi di Covid, che in autunno ha trasmesso la seguitissima serie "La regina degli scacchi" ("The Queen's Gambit) con Anya Taylor-Joy nei panni di Beth Armon, basata sull'omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis. Il titolo originale della miniserie, come quello del romanzo, si riferisce al "gambetto di donna", un'apertura scacchistica.

Ma quando nasce il gioco degli scacchi? I pezzi sono sempre stati quelli che conosciamo? E soprattutto perché si dice "scacco matto", quando il re, il pezzo più importante ma anche il più debole (può fare un solo passo alla volta), è incastrato e non ha alcuna possibilità di salvezza? La sua morte, si sa, segna la fine del gioco. La nascita degli scacchi è da ricercare nel lontano Oriente, nel VI secolo, in India. Mentre in Occidente si diffuse a partire dall'anno Mille, attraverso la mediazione della cultura persiana. Ed è proprio in questo passaggio, da una terra all'altra, che avvennero alcune trasformazioni sostanziali: furono cambiate alcune regole sulla capacità dei pezzi di muoversi, ma anche alcuni nomi non furono più gli stessi. La sua radice orientale è proprio nell'espressione "scacco matto", oppure "scacco al re". La locuzione proviene dalle parole arabe Shah Mat che possono essere tradotte come "il re (è) morto", alludendo così all'obiettivo del gioco, ovvero bloccare il pezzo e rendere impossibile la prosecuzione della partita.

Il gioco degli scacchi (foto archivio L'Unione Sarda)
Il gioco degli scacchi (foto archivio L'Unione Sarda)
Il gioco degli scacchi (foto archivio L'Unione Sarda)

Per ciò che riguarda i pezzi sulla scacchiera, composta da caselle bianche e nere alternate - dette anche case - re, cavallo e pedoni sopravvissero al passaggio dalla cultura orientale a quella occidentale, mentre altri subirono cambiamenti. A partire dall'alfiere, il soldato che porta il vessillo delle milizie. In passato non era una figura umana ma un animale, un elefante, per l'esattezza, che soltanto nel corso dei secoli si è trasformato in uomo in arme. La traccia di questa mutazione è rimasta nel nome: in lingua araba l'elefante viene chiamato con il termine al-fil, che per assonanza in italiano è diventato alfiere. Ma l'alfiere non è il solo ad aver subito un cambiamento. La torre, pezzo che si muove orizzontalmente e verticalmente lungo le caselle della scacchiera con rapide incursioni, era in origine un cammello. Il pezzo più temibile, la micidiale regina, non era neppure contemplata; è stata introdotta intorno al 1500 e ha preso il posto del visir (il fers arabo). Non solo ha cambiato sesso ma nel corso dell'evoluzione del gioco ha acquistato potere e una possibilità illimitata di movimento, divenendo così l'elemento più forte del gioco.

Storicamente in Europa il gioco degli scacchi prende piede nell'anno Mille: è considerato un'arte sottile e arguta e non incontra l'opposizione della Chiesa. A riprova di ciò, nel presbiterio di San Savino a Piacenza c'è un mosaico (XI-XII secolo) in cui si ritrae un giocatore seduto su una sedia mentre muove un pezzo sulla scacchiera bianca e nera. Neppure la letteratura poteva restare immune da un gioco così seducente. Tra i tanti possibili titoli, vale la pena di citarne uno, "La scacchiera" dello scrittore britannico John Brunner (Urania Mondadori nel 1969 e 1979). La trama del romanzo è costruita su una partita avvenuta nel 1892, all'Avana, tra il giocatore di scacchi austriaco naturalizzato statunitense Wilhelm Steinitz, campione del mondo e considerato il padre degli scacchi moderni, e il russo Michail Ivanovic Cigorin, fondatore della scuola scacchistica russa. I personaggi della storia si muovono come i pezzi su una scacchiera.
© Riproduzione riservata