Il giorno della liberazione è stato il 3 giugno. E no, non c’entra il regime nazifastista e nemmeno lo Sbarco in Normandia, che avvenne il giorno 6. Lunedì 3, per l’Italia, è stato il giorno della liberazione fiscale, nel senso che dal primo gennaio fino al terzo giorno di questo mese noi italiani – anzi, solo quelli tra noi che sono contribuenti onesti – hanno lavorato per pagare il fisco. E dal 4, finalmente, si comincia a lavorare per sé, perché i guadagni restano in tasca: insomma, sono soldi nostri.

Lo afferma uno studio dell’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, l’ormai ben conosciuta Cgia, secondo la quale questo traguardo simbolico riguarda tutti: partite Iva, lavoratori dipendenti, pensionati e imprese.

Tra gli Stati dell’Unione europea, siamo i quintultimi a smettere di lavorare per le tasse e cominciare a farlo per il nostro benessere, o per la sopravvivenza. Peggio dell’Italia hanno fatto l’Austria (due giorni in più), la Danimarca (sette), il Belgio (il 12 giugno) e la Francia (il 17). La media dell’Unione europea vede nel 28 maggio il giorno in cui si smette di lavorare per dare soldi allo Stato (nell’area euro è il 30 maggio), nel frattempo invidiamo gli irlandesi che, per il fisco, hanno smesso di lavorare il 25 marzo. Le entrate dal giorno dopo sono interamente del lavoratore. Quasi, nemmeno varrebbe la pena evadere.

Dunque, per questo 2024 non abbiamo più debiti con lo stato: abbiamo prodotto i 909,7 miliardi di euro che l’erario richiede come gettito agli italiani che producono redditi. Risorse con le quali lo Stato fa funzionare – più o meno – scuole, ospedali, trasporti, uffici pubblici, il pagamento delle pensioni, gli stipendi agli statali e ai dipendenti degli enti locali. Tutti dovrebbero migliorare la qualità della nostra vita, ma la realtà si discosta sempre più da quest’obiettivo, considerata la spesso scarsa qualità dei servizi pubblici a partire da sanità e istruzione.

Benché quest’anno la pressione fiscale sia destinata a scendere dello 0,4% rispetto al 2023, il “Tax freedom day” (la Giornata della liberazione dalle tasse, in quanto abbiamo prodotto quanto occorre per pagarle) almeno è consolatoria. Simbolicamente, dal 3 giugno lavoriamo per noi, e non per l’intera comunità per pagare servizi essenziali, pubblico impiego e tangenti negli appalti. La Cgia di Mestre ha calcolato che nel 2024 sono stati necessari 154 giorni di lavoro (il conteggio comprende anche weekend e festivi) per finanziare Irpef, Imu, Iva, Irap, Ires, addizionali, contributi previdenziali e assicurativi, insomma tutto ciò che lo Stato ci prende dal reddito che produciamo. Abbiamo anticipato la scadenza di due giorni, ma di fatto è un solo, rispetto al 2023: perché quest’anno è bisestile.

Calcolare la data del 3 giugno come la fine del lavoro finalizzato solo a dare soldi allo Stato, senza che noi s’incassasse nulla, segue un preciso metodo di calcolo. Il Pil, nel 2024, è stimato in 2.163 miliardi di euro, e si è divisa questa cifra per 366, cioè i giorni di un anno bisestile. Così è stato ricavato l’ammontare di 5,9 miliardi di euro prodotti ogni giorno, in media. Poi, sulla base del Pil giornaliero per quanto presunto (l’anno è in corso, tutto può accadere) si è ottenuta la cifra di 909,7 miliardi di euro che gli italiani dotati di un reddito verseranno allo Stato. Rapportata al Pil giornaliero, questa cifra fa cadere nella data del 3 giugno il raggiungimento del Pil che se ne deve andare via in tasse.

Ovviamente, il discorso vale per chi, le tasse, le paga. E le paga tutte. Solo per loro, il 3 giugno è una data da festeggiare, per quanto simbolicamente. Per gli altri, cioè gli scrocconi che vivono sulle spalle di chi lavora e paga il dovuto, ogni giorno è festa. I lavoratori totalmente o parzialmente irregolari in Italia, secondo i calcoli della Cgia di Mestre su dati Istat del 2021, sono almeno 2,8 milioni: il fisco non li conosce, oppure riceve pochi spiccioli perché solo una piccola parte del loro reddito è dichiarata.

E allora, quali sono le regioni italiane col maggior numero di scrocconi, cioè di chi utilizza ospedali, scuola e servizi pubblici facendoli pagare agli altri? Al primo posto c’è la Lombardia, e questo non stupisce perché lì c’è la capitale economica del Paese, con 439.500 lavoratori irregolari. Medaglia d’argento per il Lazio con 366.200, bronzo alla Campania con 308.200. Il podio del “nero” è questo. In Sardegna, il numero di lavoratori irregolari è di 83.700, con un tasso di irregolarità pari al 13,6%. Proprio relativamente alle percentuali, l’Isola è la sesta in Italia per occupati irregolari.

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