Siamo abituati a pensare che il regno animale sia dominato dall’utilitarismo più spinto. I leoni sbranano le gazzelle, non per malvagità ma per istinto; il pesce grande mangia il pesce piccolo ed entrambi recitano così la parte assegnata dalla catena alimentare. Il gatto di casa trascorre quasi tutta la giornata a dormire per economizzare le energie, che è lo stesso principio che ha indotto alcune specie a inserire il letargo nella propria agenda annuale. Tutto comandato rigidamente dalle esigenze vitali.

Invece siamo noi bipedi ad aver scoperto il divertimento, l’amore, l’arte. Il tempo libero, persino il lusso della noia. Tutto ciò che non ha una finalità legata in maniera diretta alla sopravvivenza. Noi che abbiamo il raziocinio, la mente filosofica, la consapevolezza di esistere (e di morire). Ma forse può bastare il volo di una farfalla a sconvolgere tutte queste certezze, e portarci a chiedere se anche tra gli animali (persino tra gli insetti, che, diciamoci la verità, sono considerati un po’ animali di serie B) non sorga talvolta un’esigenza impellente, la voglia di fare qualcosa di insolito, e di farlo tanto per farlo. O meglio: non il volo di una farfalla, ma di molte. Che hanno percorso addirittura più di 4mila chilometri per spostarsi dall’Africa al Sud America. Sull’Atlantico, senza scalo.

Uno studio multidisciplinare

Un viaggio che sembra incredibile, ma è stato documentato da una ricerca serissima, durata vari anni e pubblicata di recente sulla rivista Nature Communications. L’ha curata l’Institut Botànic di Barcellona, che si è avvalso del lavoro di un gruppo multidisciplinare di scienziati di mezzo mondo. Lo studio ha dimostrato che uno stormo di “Vanessa Cardui”, una farfalla abbastanza comune, ha superato l’oceano per atterrare, presumibilmente senza soste intermedie, sulle coste della Guyana francese.

Tutto è nato dalla scoperta casuale di un entomologo dell’istituto catalano, Gerard Talavera, che nel 2013 si trovava appunto in Guyana e su una spiaggia riconobbe un gruppo di “Signore dipinte” (Painted Ladies, come vengono chiamate queste farfalle in inglese). Sembravano stanche e provate, come se avessero appena compiuto una lunga migrazione. Niente di strano, in sé: le Vanesse effettuano spesso lunghi spostamenti, per esempio tra l’Europa del Nord e l’Africa. Il problema è che non sono una specie presente in Sud America.

Un altro esemplare di Vanessa Cardui (foto Puusterke da Wikipedia)
Un altro esemplare di Vanessa Cardui (foto Puusterke da Wikipedia)
Un altro esemplare di Vanessa Cardui (foto Puusterke da Wikipedia)

Talavera ha intuito che non si trattasse di una migrazione dalla parte settentrionale del continente americano, ma che lo stormo potesse essere arrivato dall’altra sponda dell’Atlantico. Per dimostrarlo ci è voluto molto tempo e l’impiego arguto di conoscenze multidisciplinari. L’analisi del genoma delle “signore dipinte” della Guyana ha confermato che la provenienza non era nordamericana, ma che appartenevano alle famiglie europee e africane. Decisiva è stata però l’analisi del Dna dei pollini trovati addosso agli insetti: si è capito che provenivano da arbusti che fioriscono in Africa occidentale tra agosto e novembre. Talavera aveva fatto la sua scoperta a ottobre, e i meteorologi hanno confermato che in quel periodo soffiavano forti venti nella direzione del viaggio intercontinentale delle farfalle. Il puzzle poteva dirsi interamente ricomposto.

Trasportate dal vento

L’ipotesi avanzata nell’articolo pubblicato su Nature Communications è proprio che siano stati i venti intensi a spingere le Vanesse fuori dalla loro consueta rotta tra l’Africa e l’Europa: una volta che si sono trovate sopra l’oceano, avrebbero continuato a volare verso Occidente fino a ritrovare la terraferma, in una loro personale riedizione della scoperta dell’America. Il tragitto potrebbe esser stato anche superiore ai 4.200 chilometri ritenuti la distanza minima per volare dall’Africa occidentale all’America del Sud. E questa distanza, secondo i calcoli dei ricercatori, è stata coperta in circa otto giorni.

Ma pensando a quanto poco vivano le farfalle (la fase adulta di questa specie talvolta dura appena quattro settimane, in altri casi qualche mese), viene quasi da sperare che non sia stato solo un colpo di vento a portarle su quella spiaggia. Che abbiano deciso di spendere una porzione così ampia della loro esistenza (facendo le proporzioni con gli uomini, sarebbe un viaggio di alcuni anni) per il semplice gusto di volare col vento a favore, battere un record, vedere mondi nuovi. Di certo l’etologia e le altre discipline troveranno spiegazioni più convincenti, ma è bello pensare che le Signore dipinte abbiano voluto vivere la loro breve vita senza limiti e costrizioni, sfidando le regole codificate, tentando un’impresa folle. Per poi fermarsi finalmente su una spiaggia, lasciandosi vincere per sempre dalla stanchezza, prive ormai di forze ma anche di rimpianti.

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