Il fascino del mare trasparente e delle calette magiche c’era anche a quei tempi ma attorno a metà dell’Ottocento si guardava in un’altra direzione: La Maddalena viveva la sua posizione strategica tra Sardegna e Corsica come piazzaforte militare di prima linea che in passato aveva anche visto le gesta di personaggi leggendari come Napoleone e Nelson. Fino all’orgoglio di accogliere tra i pini di Caprera il suo inquilino più illustre: Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi attratto dal contrasto unico tra rocce e mare in quest’angolo di Mediterraneo. 

LA STAGIONE D’ORO DEGLI SCALPELLINI 

Ed è stata proprio la roccia a dare forma a un’attività fiorente come l’estrazione del granito, che dal 1860 sino al primo dopoguerra (anche se la chiusura ufficiale è arrivata assai più tardi: nel 1965) raggiunse dimensioni impensabili per un’isola così piccola. Centinaia di scalpellini si trasferirono nell’arcipelago da tutta la Sardegna ma anche da mezza Italia (Piemonte, Liguria, Toscana, Campania): al tempo in cui la tutela ambientale o l’approccio turistico non avevano praticamente valore venne realizzato un sito di estrazione nella parte occidentale dell’Isola, battezzato Cava francese, sulle acque affacciate davanti a Spargi. 

TRA DEVASTAZIONE E SVILUPPO 

Col senno di poi fu un’azione di violenza sull’ambiente, con segni indelebili  tra le rocce disegnate dal mare e dal vento, ma la produzione del granito avviò anche una stagione di sviluppo economico e prosperità: il progetto industriale era legato alla cresciuta necessità di creare fortificazioni militari, ma anche aree portuali moderne, dove il granito garantiva solidità e durata. L’area interessata dal piano di estrazione aveva una superficie di circa 200mila metri quadri a ridosso della località Nido d’aquila: in poco tempo presero forma gli alloggi per gli scalpellini e poi capannoni, magazzini, laboratori, rotaie, gru e anche una banchina per favorire l’attracco delle navi destinate a trasportare il granito estratto dalla cava. La proprietà in origine era della Banca costruzioni di Genova (1870) dell’ingegnere maltese Giorgio Bertlin, prima di passare all’Esportazione graniti sardi (1901) delle famiglie Bargone e Grondona.

Cava francese (foto g. z.)
Cava francese (foto g. z.)
Cava francese (foto g. z.)

DA SUEZ A PIAZZA VENEZIA

Ma cosa è stato realizzato con il granito maddalenino? Le opere portuali di mezzo Mediterraneo, da Venezia a Napoli, da Tripoli ad Alessandria d’Egitto, il bacino di carenaggio di Malta, fino al complesso monumentale realizzato nel 1930 a Ismailia a difesa del Canale di Suez. E poi piazza Venezia, il ponte Palatino e parti del Lungotevere a Roma, sino al Ponte sul Po a Piacenza, corso Buenos Aires e la Galleria Mazzini a Genova, gli edifici di via Depretis e piazza Duomo a Napoli. Da segnalare anche la colonna Garibaldi realizzata proprio alla Maddalena (all’ingresso del porto) nel 1907 per celebrare il centenario della nascita dell’Eroe. Ma il granito dell’arcipelago è arrivato anche in Francia, in Brasile, negli Stati Uniti. 

IL MISTERO DI NEW YORK 

Secondo i resoconti di fine Ottocento, supportati anche da alcuni documenti sommari, da Cava francese sarebbe partito il granito che ha dato vita al basamento della Statua della Libertà, uno dei monumenti più famosi del mondo, inaugurato nel 1886 a Liberty Island, isolotto davanti a Manhattan. Recenti ricerche americane smentirebbero però la leggenda, riconducendo l’origine della base di granito grigio-rosa alla cava di Stony Creek, nel Connecticut. Di sicuro il giallo resta ancora irrisolto e alla Maddalena non c’è troppa convinzione sulla teoria americana: si cercano i documenti in grado di sgombrare tutti i dubbi sul materiale che ha dato vita al simbolo di New York e di tutti gli Stati Uniti. 

IL DECLINO DELLA CAVA

Dopo decenni di crescita che sembrava inarrestabile, la Segis della famiglia Grondona, (che nel frattempo aveva assunto la titolarità esclusiva della cava), nei primi anni Trenta del secolo scorso dovette fare i conti con una grande crisi. Colpa dei costi improvvisamente troppo elevati di estrazione e trasporto ma colpa soprattutto della concorrenza spietata cominciata in quegli anni. Molte cave erano nate in quegli anni persino nella stessa isola maddalenina. Il rapporto più difficile si ebbe con un il gruppo Schiappacasse, che aveva organizzato l’estrazione nell’isola cugina di Santo Stefano, proprio a poche centinaia di metri da Cava francese (realizzata sull’omonima cala). Ma poi c’era la concorrenza di Terranova (la futura Olbia), di Arbatax e anche dell’isola d’Elba. Nel giro di un paio d’anni - tra il ‘32 e il ‘34 la manodopera precipitò da 300 a 150 unità, con uno stillicidio che andò avanti sino alla Seconda guerra mondiale, quando l’attività di estrazione si bloccò totalmente. Il 10 aprile del ‘43 un bombardamento degli Alleati devastò una parte della cava. Nel dopoguerra ci furono nuovi timidi tentativi di rilanciare la produzione di granito ma pian piano si ebbe la consapevolezza che la stagione dorata di cinquant’anni prima non sarebbe più tornata: nel 1962 l’estrazione del granito si è fermata definitivamente, nel 1965 è stata formalizzata la cessazione dell’attività. 

Alcuni edifici ristrutturati della vecchia cava di granito alla Maddalena (foto g.z)
Alcuni edifici ristrutturati della vecchia cava di granito alla Maddalena (foto g.z)
Alcuni edifici ristrutturati della vecchia cava di granito alla Maddalena (foto g.z)

Il FASCINO PERVERSO DELLE FERITE NELLA ROCCIA

Da più di cinquant’anni solo silenzio e pace sono rimasti in quell’angolo di arcipelago diventato parco nazionale. Restano le ferite nelle rocce ma anche gli edifici e persino le rotaie, i vagoni e una gru. Le acque cristalline rendono unico il sito dell’antica cava in cui tempo sembra essersi fermato all’inizio del Novecento. Con un po’ di fantasia si può riportare in vita la stagione d’oro della cava, quando un esercito di scalpellini affollava il costone col suono incessante dei colpi battuti sul granito, mentre i trenini trasportavano i blocchi per poi consegnarli alle navi ferme in banchina sulle acque di Cala francese. Qualche edificio è stato trasformato in abitazione, i turisti più raffinati apprezzano il fascino di questa costa rocciosa battuta dal ponente, così lontana dal circuito delle attrazioni più classiche dell’arcipelago. 

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