Come avrà fatto Jeff Scanlan a infilare quel paio di Converse nella bottiglia senza romperla?

E' la domanda che accompagna ogni visitatore al termine della mostra “Illusion, nothing is at it seems” in corso alla Manifattura Tabacchi di Cagliari. Molti di coloro che l'hanno già vista hanno provato a corrompere in ogni modo le numerose hostess che vigilano con discrezione nella sala al primo piano dell'edificio di viale Regina Margherita per tentare di farsi rivelare il segreto ma si sono sentiti rispondere, con estrema gentilezza, che nemmeno loro lo conoscono e dunque non possono rivelarlo.

E del resto non è l'unica domanda che ci si pone visitando la mostra organizzata da Opificio Innova, approdata nel capoluogo dopo aver girato in tutto il mondo e visitabile sino alla fine dell'anno.

Un'esposizione che mira a provocare inganni sensoriali e ci invita, come nel caso delle Converse, a esplorarne la genesi e le motivazioni. Argomento complesso, a ben pensarci. Ma ciò che conta, per i curatori, è quanto si viene attratti dai meccanismi ingannatori, quanto si riesce a far riflettere attraverso le immagini. Quanto persino un oggetto – in teoria quanto di più ininterpretabile possa esistere – possa invece provocare percezioni differenti e come queste percezioni sostengano il nostro modo di vedere, sentire, pensare e capire il mondo. Insomma, ciò che percepiamo spesso è radicalmente diverso dalla realtà che osserviamo con gli occhi.  E su questo, estendendo il discorso alla nostra vita, gli psicanalisti potrebbero dirci molte cose.

Tornando alla mostra, si tratta di 18 installazioni commissionate dalla Science Gallery e dal Trinity College di Dublino, due tra le più prestigiose istituzioni culturali irlandesi del panorama internazionale, che trattano diversi tipi di illusioni. Una, la prima che il visitatore si troverà a osservare, è, appunto, la “Bottiglia impossibile”, opera realizzata 21 anni fa dallo statunitense Jeff Scanlan. Ci sono quattro bottiglie all'interno delle quali ci sono oggetti che non si capisce come siasno entrati se è vero, come è scritto, che non sono state tagliate, scaldate o raffreddate e non sono state soffiate intorno all’oggetto. Non sono state manipolate in alcun modo, in alcuna forma e in alcuna maniera.
Tutti gli oggetti imbottigliati, peraltro, sono perfettamente intatti.

Ma è tutto interessante: The Hurwitz Singularity di Jonty Hurwitz, ad esempio, è una testa umana - in realtà una precisa scansione quadridimensionale del cranio dell'autore, sezionata e visibile in modo differente a seconda del punto dal quale la si osserva. Vuole rappresentare “il confine spaziotemporale personale ed emotivo che ciascuno di noi attraversa più volte nel corso della vita”. “Rappresenta”, spiegano, “il momento in cui arriva una rivelazione personale che cambia la nostra prospettiva per sempre”.

Interessanti anche le gabbie sospese che compongono “Significant Birds” di Nye Parry, “una illusione uditiva che esplora come un’unica onda sinusoidale venga isolata dalla registrazione di una voce umana”, e “Columba”, che mostra la sagoma tridimensionale di una bambina seduta, in realtà un ologramma, che prende il nome dalla piccola costellazione Columba Noachi e rappresenta simbolicamente “la nostra coscienza in espansione”. Realizzata con fibre ottiche, quest’opera unisce l’uso delle tecnologie digitali all’abilità manuale. Poi c'è “Cubes” di Jennifer Townley, una scultura in alluminio basata su  un motivo geometrico di rombi che danno l’illusione di vedere sei cubi, mentre in realtà i cubi percepiti risultano dalla composizione di tre rombi.

Alla fine della mostra lo scopo dei curatori è raggiunto: restano, sospesi per giorni, molti interrogativi sul significato delle opere, sul fascino della tecnologia e della scienza, ma soprattutto su temi più esistenziali, profondi e nello stesso tempo inquietanti: se niente è come sembra, se ciò che percepiamo non è la realtà, la vita è un'illusione?

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