Mal di schiena, abbassamento progressivo dell'altezza e postura incurvata, sono campanelli d’allarme da non sottovalutare. Potrebbe trattarsi di osteoporosi. L’Endocrinologia del Policlinico Duilio Casula di Cagliari è in prima linea per la prevenzione di questa patologia. Francesca Pigliaru e Rosanna Cabula fanno parte della Società Italiana dell'Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro.

Dottoressa Pigliaru, cos’è l’osteoporosi?

«Una malattia dell’apparato scheletrico caratterizzata da una un’alterazione della struttura del tessuto osseo che provoca un aumento della fragilità dell’osso e, di conseguenza, un aumento del rischio di fratture, anche a seguito di traumi lievi. Questa fragilità si rileva con apparecchi che misurano la densità minerale ossea (Densitometria o Mineralometria ossea-MOC). L’osteoporosi è per la precisione una malattia del metabolismo dell’osso: esso infatti è un tessuto vivo e molto attivo dal punto di vista metabolico, soggetto a un costante rinnovamento (rimodellamento osseo), nel quale si avvicendano di continuo formazione di “nuovo” osso (deposizione) e distruzione (riassorbimento) di “vecchio” osso. Nelle persone adulte e in buona salute i due processi sono in equilibrio e lo scheletro si mantiene stabile. Quando, per vari motivi, questo equilibrio si rompe e il processo di deposizione di nuovo tessuto osseo non riesce a compensare quello di riassorbimento, ecco che l’osso perde la sua compattezza e robustezza, e diventa più fragile, fino a diventare osteoporotico. Come risultato, l’osso può rompersi facilmente anche dopo una caduta di poco conto, uno starnuto o un movimento improvviso. Dato che il rimodellamento nel suo insieme è regolato da numerosi fattori (per esempio, ormoni, farmaci, attività fisica, patologie locali, ecc.) le cause che possono condurre a uno squilibrio tra processi di distruzione e deposizione, e quindi all’osteoporosi, sono molteplici. L’osteoporosi è una malattia subdola perché si sviluppa in modo silenzioso, spesso senza dare segno di sé per molti anni. Nelle prime fasi della malattia, tipicamente il paziente non presenta alcun sintomo. La presenza di dolore diffuso non è una manifestazione di osteoporosi. Con il passare del tempo possono comparire una postura incurvata, un calo di statura (effetto dello schiacciamento di uno o più corpi vertebrali) e, da ultimo, le tipiche fratture “da fragilità ossea”, associate a loro volta a un dolore forte e acuto. In molti casi queste fratture – cedimenti vertebrali, fratture di femore, di polso, di omero – sono la prima manifestazione improvvisa di un’osteoporosi che per anni non ha dato alcun sintomo premonitore e sono indice di una malattia già in stadio avanzato. Per evitare di trovarsi in questa situazione, è importante valutare con l’aiuto del medico la predisposizione individuale all’osteoporosi, e quindi il rischio di frattura, analizzando i propri fattori di rischio e mettendo in atto misure di prevenzione».

L'equipe di Endocrinologia del Policlinico universitario Duilio Casula, da sinistra Sara Meloni, Rosanna Cabula, Francesca Pigliaru, Elisabetta Rizzolo, Giulia Faa, Paola Tizzano, Silvia Corrias
L'equipe di Endocrinologia del Policlinico universitario Duilio Casula, da sinistra Sara Meloni, Rosanna Cabula, Francesca Pigliaru, Elisabetta Rizzolo, Giulia Faa, Paola Tizzano, Silvia Corrias

L'equipe di Endocrinologia del Policlinico universitario Duilio Casula, da sinistra Sara Meloni, Rosanna Cabula, Francesca Pigliaru, Elisabetta Rizzolo, Giulia Faa, Paola Tizzano, Silvia Corrias
 

Colpisce più gli uomini o le donne? Qual è l’età critica?

«L’osteoporosi è una malattia caratteristica dell’invecchiamento e tipicamente “al femminile”: le donne, infatti, ne sono colpite molto più degli uomini e secondo le stime, dopo i 65 anni, il problema riguarda una donna su quattro contro un uomo su 10. La maggiore suscettibilità della donna all’osteoporosi dipende da diversi fattori: la maggiore aspettativa di vita, un contenuto di calcio nello scheletro mediamente inferiore rispetto a quello dell’uomo e, soprattutto, il fenomeno della menopausa. Con l’entrata in menopausa, infatti, si assiste a un rapido calo dei livelli degli ormoni femminili (gli estrogeni) che si associa a un’accelerazione della perdita di calcio dall’osso. Tale perdita nei primi anni dopo la menopausa determina una rapida riduzione della massa ossea, che poi si riduce più lentamente in età senile. Più dell’80% delle persone che hanno l’osteoporosi sono donne in menopausa (si parla, in questo caso, di osteoporosi post-menopausale). Tuttavia, a causa dell’allungamento della vita media e del progressivo invecchiamento della popolazione, l’osteoporosi sta diventando una malattia che interessa anche gli uomini (osteoporosi maschile), sebbene in questi ultimi si manifesta più tardi, in media dopo i 65 anni (contro i 55 della donna). Gli uomini, infatti, vanno incontro non a un brusco calo (come le donne) bensì a un declino graduale della produzione degli ormoni sessuali , e quindi, anche a una perdita di calcio più tardiva e più lenta rispetto alle donne. Inoltre, “partono in vantaggio”, perché hanno una massa minerale ossea in media più alta di quella delle donne e arrivano più tardi a oltrepassare la soglia dei valori inferiori alla norma, sotto i quali si è in una condizione di osteopenia o, addirittura, di osteoporosi. Anche se l’osteoporosi è una malattia della terza età, ci sono forme che si manifestano in situazioni particolari e che possono colpire anche giovani e addirittura giovanissimi per problemi ormonali, terapie con determinati farmaci, carenze nutrizionali, e altri ancora; si parla in questo caso di osteoporosi secondaria. Ci sono poi persone in cui non si riesce a identificare alcuna causa della malattia e si parla allora di osteoporosi idiopatica. In molti Paesi, fino a una donna su tre e un uomo su cinque dopo i 50 anni andrà incontro a una frattura causata dall’osteoporosi (frattura da fragilità) e si calcola che da qualche parte nel mondo, ogni 3 secondi un osso si spezzi a causa dell’osteoporosi».

La prevenzione è la parola magica per evitare problemi seri?

«Prevenire l’osteoporosi si può e si deve, anche perché le cure disponibili non permettono di guarire dalla malattia, una volta che si è instaurata, ma solo di fermarne o rallentarne la progressione. Le fratture da fragilità possono avere conseguenze molto gravi. Sono, infatti, una delle cause principali di dolore, perdita di indipendenza e disabilità a lungo termine, e possono addirittura mettere a rischio la vita del paziente, con costi enormi sul piano medico, economico e sociale. Per questo motivo e per l’ampia diffusione del problema, che è in continua crescita per via dell’invecchiamento della popolazione, è importante conoscere bene questa malattia, fare tutto il possibile per prevenirla e, qualora sia già presente, agire in modo da fermarne o arrestarne il peggioramento con trattamenti adeguati e un corretto stile di vita. La prevenzione, quindi è fondamentale e deve iniziare presto, fin da quando si è giovani. È in questa fase della vita, infatti, che si raggiunge il picco di massa ossea e si mette da parte quel “capitale” di minerali nell’osso, primo fra tutti il calcio, da cui dipende la robustezza dello scheletro negli anni a venire. Raggiungere un picco di massa ossea adeguato in gioventù significa fare un investimento per il futuro e ridurre le probabilità di avere l’osteoporosi quando si diventerà anziani. Anche se la perdita di massa ossea può essere accelerata da alcune condizioni sulle quali non si può intervenire, certamente ci sono diverse misure che si possono adottare per prevenire questa malattia subdola e silenziosa. La prevenzione dell’osteoporosi e, di conseguenza, delle fratture, si basa su almeno cinque punti cardine, tutti legati allo stile di vita: assicurare all’organismo un introito adeguato di calcio e vitamina D, fare regolarmente attività fisica, mantenere un peso forma adeguato, evitare un consumo eccessivo di alcol, non fumare.

Così come i muscoli, anche le ossa reagiscono all’attività fisica irrobustendosi. Non è necessario praticare sport a livello agonistico, basta avere uno stile di vita attivo e fare esercizio quotidianamente per mantenere lo scheletro sufficientemente robusto. L’esercizio deve implicare un carico meccanico, deve, cioè, far lavorare il corpo contro la forza di gravità. Azioni semplici, come ad esempio camminare e salire le scale, hanno tutte questa caratteristica e sono quindi molto utili anche perchè l'attvità fisica aiuta nella coordinazione, l’equilibrio e i riflessi, contribuendo a ridurre il rischio di cadute.

Per prevenire l’osteoporosi è importante anche mantenere il corretto peso forma. Il peso è un elemento fondamentale per lo sviluppo e il mantenimento della massa ossea.

Essere troppo magri significa, infatti, esercitare un carico insufficiente sullo scheletro e, quindi, indebolirlo, esponendolo al rischio di osteoporosi e di fratture. Avere un BMI inferiore a 19 è indice di sottopeso ed è un fattore di rischio per osteoporosi.

D’altro canto, anche essere obesi o in sovrappeso, oltre ad aumentare il rischio di diabete e malattie cardiovascolari, è molto nocivo per la salute dell’osso, sia perché nella maggior parte dei casi si associa a una certa sedentarietà sia perché può portare a una minore disponibilità di vitamina D, che tende ad essere sequestrata dal tessuto adiposo.

Bere quantità elevate di alcol è un fattore di rischio per osteoporosi ed è associato a un aumento del rischio di fratture. L’alcol ha, infatti, diversi effetti negativi sull’osso: inibisce gli osteoblasti, cioè le cellule che producono nuovo osso, stimola gli osteoclasti, le cellule deputate alla distruzione del tessuto osseo ‘vecchio’, riduce l’assorbimento del calcio a livello dell’intestino e riduce la produzione di ormoni come il testosterone e gli estrogeni, che stimolano la produzione dell’osso. Le persone che bevono più di due unità alcoliche al giorno (un’unità alcolica corrisponde circa a 12 g di alcol) hanno un rischio di andare incontro a una frattura legata all’osteoporosi superiore del 40% rispetto a coloro che non bevono o lo fanno con moderazione. Al pari dell’alcol, il fumo di tabacco interferisce negativamente con il metabolismo osseo, inibendo l’attività degli osteoblasti, stimolando quella degli osteoclasti e riducendo la sintesi di ormoni come il testosterone e gli estrogeni.

Tuttavia, molti non sanno che i fumatori e gli ex fumatori sono a maggior rischio di una qualsiasi frattura rispetto ai non fumatori e che il fumo aumenta fino a 1,8 volte il rischio di frattura di femore.

Nei soggetti ad alto rischio di frattura, tuttavia, gli interventi sullo stile di vita, da soli, non sono sufficienti per una prevenzione efficace e vanno quindi affiancati a un’adeguata terapia farmacologica, prescritta dal medico e personalizzata caso per caso, in base alle specifiche caratteristiche ed esigenze del paziente.

I consigli per proteggere le nostre ossa

Alcune persone hanno più probabilità di avere l’osteoporosi rispetto ad altre perché presentano uno o, nella maggior parte dei casi, più fattori di rischio

Alcuni fattori di rischio sono non modificabili, come l'età, il sesso femminile, la menopausa, la familiarità, la razza, mentre altri dipendono da abitudini di vita e alimentari, e sono quindi modificabili; per esempio, adottando uno stile di vita sano si può ridurre il rischio di osteoporosi e, di conseguenza, il rischio di fratture ad essa associato. I fattori modificabili sono un apporto insufficiente di calcio e vitamina D, una dieta povera di frutta e verdura, un eccesso di proteine, sodio e caffeina, il consumo eccessivo di alcool, il fumo, la magrezza eccessiva, la vita sedentaria.

Quando si è giovani, un apporto inadeguato di calcio impedisce il raggiungimento del “patrimonio” di massa ossea ottimale nella fase cruciale della crescita e dello sviluppo; anche da adulti, la carenza di calcio favorisce la demineralizzazione dell’osso.

Secondo la Società Italiana di Nutrizione Umana, la quantità giornaliera media necessaria di calcio varia da 500 mg (il minimo indispensabile per compensare le perdite quotidiane attraverso le urine) a 1100 mg, a seconda dell’età. Il fabbisogno medio quotidiano di calcio, infatti, varia a seconda dell’età ed è più alto nei giovani, nelle donne in gravidanza o durante l’allattamento e dopo la menopausa. La migliore fonte di calcio è rappresentata dal latte e i latticini (tranne panna e burro che ne sono pressoché privi). Un litro di latte contiene circa 1200 mg di calcio ed è importante sapere che latte scremato e yogurt magro non ne contengono meno rispetto a quelli interi. Non è assolutamente vero che il latte e i latticini fanno male alle nostre ossa. Anche il pesce, soprattutto il pesce azzurro, è una discreta fonte di questo elemento. Inoltre, una certa quantità di calcio si può assumere bevendo acqua minerale (alcune ne contengono fino a 300 mg per litro) e/o acqua del rubinetto, che possono contribuire a raggiungere il fabbisogno giornaliero raccomandato. Invece, sarebbe meglio evitare, o quanto meno limitare, bevande contenenti alcolici, teina e caffeina, perché queste sostanze influiscono negativamente sull’assorbimento intestinale del calcio. Ogni giorno l’organismo perde una certa quota di calcio con le urine; se questa perdita non viene compensata con la dieta, il corpo è obbligato a prelevarlo dall’osso per mantenere nella norma i livelli plasmatici del minerale, provocando una riduzione della densità e della massa ossea. La vitamina D è importante perché aiuta l’organismo a utilizzare il calcio.

La dose giornaliera raccomandata di vitamina D è pari ad almeno 800 UI al giorno. Pochi alimenti, tuttavia, ne contengono quantità apprezzabili; tra i più ricchi di vitamina D vi sono le uova, il fegato, i latticini e i pesci grassi. Per fortuna, oltre che introdotta con la dieta, la vitamina D può essere prodotta anche direttamente dall’organismo. La sintesi ha luogo a livello della cute, per azione dei raggi ultravioletti contenuti nella luce solare, ed è in genere sufficiente a soddisfare buona parte delle richieste del corpo. Anche se non è facile dare indicazioni generali sull’esposizione solare, secondo alcuni studi un’esposizione di 15-30 minuti al giorno su viso e braccia senza applicazione di creme solari può essere sufficiente per una buona sintesi di vitamina D da parte della pelle. In ogni caso, la capacità dell’organismo di sintetizzare vitamina D dipende anche dall’età e tende a diminuire nelle persone anziane. Per questo motivo e anche perché tendono a uscire poco di casa, è proprio negli anziani che è si verifica spesso una carenza di vitamina D. Ed è quindi in questa categoria di persone che può essere indicata l’assunzione di supplementi di vitamina D, seguendo i consigli del medico.

Inoltre con frutta e verdura l’organismo può introdurre nutrienti come il magnesio, il potassio e la vitamina K, che pure hanno un ruolo importante per la salute dell’osso.

Il fabbisogno di calcio e vitamina D non è uguale per tutti».

Quali sono gli altri fattori di rischio?

«Altri fattori di rischio ancora sono legati alla presenza di malattie concomitanti e/o all’impiego di determinati farmaci che possono causare una perdita di osso. Le principali malattie sono quelle del sistema endocrino, seguite dai disturbi digestivi e gastrointestinali, dalle malattie autoimmuni, da alcuni tumori e dai disturbi del comportamento alimentare. Diverse classi di farmaci, in particolare i cortisonici (corticosteroidi), ma anche alcuni antiepilettici, l’eparina, alcuni antitumorali (come gli inibitori dell'ariomatasi) e molti altri. Chi ritiene di avere alcuni di questi fattori di rischio dovrebbe parlarne col proprio medico per valutare assieme a lui se sia necessario sottoporsi a un esame densitometrico (la MOC) per verificare se abbia o meno l’osteoporosi e adottare misure di prevenzione per proteggere le ossa».

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