Un incidente in moto, una banale caduta, posture sbagliate al lavoro. Il mal di schiena è il più comune fra i dolori muscolo-scheletrici, tanto che il 25% dei lavoratori soffre di questa patologia. Ed è la terza causa di assenza dal lavoro dopo l’influenza e le malattie a carico delle prime vie respiratorie. Negli individui con più di 50 anni la percentuale di chi ha dolori alla schiena oscilla tra il 60 e l’80 per cento.

Laura Fei Specialista in Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore fa parte del team di specialisti della Asl di Cagliari, diretto da Tomaso Cocco, che opera nei nuovi spazi dell’Ospedale marino.

Dottoressa Fei, perché viene il mal di schiena?

«Le cause di mal di schiena sono tante. Ogni singola struttura che compone la colonna vertebrale, il bacino o la parete posteriore dell’addome può essere causa di mal di schiena. La lombalgia, letteralmente mal di schiena, è un sintomo, non una diagnosi. Il compito del terapista del dolore è quello di diagnosticare quale tra le diverse strutture sia la reale origine del dolore del paziente. Tra le strutture che più frequentemente provocano dolore nel paziente che si presenta alla nostra attenzione troviamo le articolazioni zigoapofisarie. Chiamate anche “faccette articolari”, sono quelle articolazioni che si costituiscono tra una vertebra e quella sottostante nella loro porzione posteriore. Nella maggior parte dei casi è la degenerazione artrosica che le rende causa di dolore, caratterizzato dal peggiorare con l’estensione e la rotazione della colonna, e dal migliorare col riposo a letto o con la flessione del busto in avanti».

E quando il dolore peggiora il dolore peggiora con la posizione seduta e migliora quando si sta in piedi?

«Probabilmente ci si trova davanti a un caso di patologia della sacroiliaca. L’articolazione sacroiliaca costituisce la parte posteriore del bacino, collegando l’osso sacro con le ossa iliache. Il dolore spesso è percepito poco sopra i glutei e si irradia lungo la faccia posteriore della coscia e del ginocchio. Anche il disco intervertebrale può rappresentare una causa di mal di schiena. Il dolore compare quando l’anello più esterno del disco si rompe, e il nucleo fuoriesce, configurando così l’ernia discale. Il dolore è solitamente percepito a livello della colonna lombare. In alcuni casi, l’ernia può entrare in contatto con una delle radici nervose adiacenti e provocare l’attivazione dei nocicettori localizzati nella loro parete, producendo quel quadro clinico che viene comunemente chiamato lombosciatalgia (più precisamente quando ad essere colpite sono le radici di L5 o S1). Le radici nervose possono essere la causa del dolore anche nella cosiddetta stenosi del canale lombare. In questi casi il dolore è spesso lamentato ai glutei e alla faccia posteriore di entrambi gli arti inferiori, spesso con sensazione di crampo ai polpacci. Caratteristicamente peggiora lentamente nel tempo, limitando progressivamente i metri che il paziente può percorrere senza dolore (claudicatio neurogena)».

Capita che il dolore sia correlato a fratture, spesso di origine osteoporotica.

«Le vertebre sono tra le ossa più frequentemente colpite da fratture osteoporotiche, anche per traumi così lievi che il paziente non riesce a ricordarli. Solitamente però riferisce con precisione l’esordio della sintomatologia, essendo il dolore molto intenso e comparso improvvisamente».

Qual è il percorso per combattere il mal di schiena?

«La diagnosi può non essere semplice, soprattutto quando il dolore è presente da tanto tempo e sono comparsi fenomeni di sensibilizzazione periferica e centrale che complicano il quadro. In questi casi si può ricorrere alle infiltrazioni diagnostiche: se il paziente riferisce un’adeguata riduzione del dolore a seguito di una infiltrazione con anestetico locale, allora la struttura infiltrata è ragionevolmente l’origine del dolore del paziente. Si dovrà poi comprendere quale sia il processo sottostante che fa sì che quella struttura stia provocando il dolore. È un processo infiammatorio? Artrosico? Oppure altro? Spesso gli esami strumentali ci vengono qui in aiuto. La visita si deve concludere con la redazione di un programma terapeutico su misura sul paziente. Questo deve tenere conto di una serie di fattori, tra cui le comorbilità, le terapie già in corso, eventuali intolleranze farmacologiche e le preferenze del paziente. In linea di massima, in prima istanza possono essere previsti sia percorsi mininvasivi (ad esempio cicli infiltrativi) che terapie farmacologiche. Più spesso si combinano entrambe le opzioni. Al termine del ciclo infiltrativo o del periodo di controllo della terapia farmacologica, anche in caso di soddisfazione del paziente, il suo percorso però non può ritenersi concluso. Nella maggior parte dei casi sarà necessaria una visita di controllo, a distanza di qualche mese (periodo variabile in base a una molteplicità di aspetti), per poter valutare l’efficacia nel lungo periodo della terapia eseguita e delineare i passi successivi».

Il dolore, nel caso di artrosi, può persistere?

«Per questi pazienti possono essere previste ulteriori opzioni terapeutiche mininvasive, come ad esempio le tecniche basate sulla radiofrequenza o l’ozonoterapia, percorsi riabilitativi o altro. Il dolore cronico è una malattia e come tale deve essere approcciato con un percorso diagnostico-terapeutico completo».

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