Olindo e Rosa abbiamo imparato a conoscerli. Negli anni, nel tempo. Dal 2006. I loro nomi continuiamo a ricordarli come se fossimo stati noi i vicini di casa. Eppure prima di quell’11 dicembre, quando in un piccolo paesino del Comasco un bimbo di due anni venne ucciso insieme alla madre, alla nonna e a una signora del palazzo, il Comune di Erba era pressoché sconosciuto a mezza Italia. Dall’inizio dell’anno, Olindo e Rosa sono tornati sulle prime pagine dei giornali perché la Corte d’appello di Brescia ha accolto le due istanze, poi unificate, con le quali gli avvocati della coppia sollecitavano la revisione del processo. Un’identica richiesta, ad aprile 2023, è stata presentata anche da un magistrato della Procura generale di Milano, Cuno Tarfusser, che è stato poi sottoposto a procedimento disciplinare, tuttora in corso, perché avrebbe agito senza informare i vertici dell’Ufficio, «interfacciandosi in autonomia con i difensori della coppia», è l’atto d’accusa interno. Se ne sta occupando la Cassazione, da luglio, ma questa è ancora un’altra storia. 

Sul calendario bisogna segnare il 1° marzo. Per quella data è fissata la discussione dell’istanza davanti alla Sezione penale della stessa Corte d’appello bresciana: il collegio giudicante dovrà valutare le nuove prove prodotte dalla difesa e capire se e quali sono ammissibili in un eventuale processo bis. Olindo e Rosa sono difesi da Fabio Schembri e Nico D’Ascola. Il sardo Diego Soddu, anche lui avvocato di professione e firmatario di uno delle due istanze di revisione, è invece il tutore della coppia.

Gli assassini di Erba sono stati condannati, in via definitiva, il 3 maggio 2011, quando la Cassazione ha respinto i ricorsi dei legali considerando «insussistenti gli spunti investigativi forniti a sostegno delle piste alternative». Ovvero il fatto che Rosa e Olindo non fossero responsabili della mattanza di via Diaz. Quattro omicidi a cui seguì un incendio, divampato alle 20.20. Fu proprio un pompiere del palazzo accanto a entrare per primo e a trovare i corpi di Raffaella Castagna, 30 anni; del figlio Youssef, due anni e tre mesi; di Paola Galli, nonna del piccolino, 57 anni; di Valeria Cherubini, 55, vicina di casa. Unico sopravvissuto il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, allora 65enne e morto nel 2014 per un male incurabile.

Olindo e Rosa sono stati condannati all’ergastolo sia in primo che in secondo grado. Ma i legali della coppia non hanno mai smesso di rivendicare la loro innocenza, su cui la Cassazione, tredici anni fa, mise una pietra tombale per «la concordanza di più e gravi elementi, logicamente concatenati nella motivazione d’appello», hanno scritto i giudici della Corte. Si aggiunga che Olindo e Rosa hanno confessato il delitto, ma malgrado quell’ammissione di colpa gli avvocati hanno continuato a sostenere la non colpevolezza dei due depositando in tribunale mille pagine di consulenze in cui la prova regina delle confessioni viene considerata «falsa», «infarcita di errori» e piena di «discrepanze». Quelle consulenze sono state condivise dal sostituto Tarfusser senza aspettare il parere della procuratrice generale di Milano, Francesca Nanni, che contro il magistrato ha aperto appunto il procedimento disciplinare. Tarfusser avrebbe «violato i doveri di correttezza, riserbo ed equilibrio» depositando l’istanza di revisione in cancelleria senza concordarla con l’Ufficio di appartenenza. Quindi con la stessa Nanni.

Il primo nuovo elemento di prova con cui i legati di Olindo e Rosa sono riusciti a farsi accogliere l’istanza di revisione del processo riguarda la testimonianza di Frigerio. Sopravvissuto alla mattanza, l’uomo venne sentito dagli inquirenti appena si era svegliato dal coma (si salvò dall’accoltellamento alla gola solo per una malformazione alla carotide). Raccontò che l’assassino era «un uomo dalla pelle olivastra». In aula, invece, senza mai contraddirsi, indicò Olindo come suo assalitore. Una contraddizione macroscopica per i legali della coppia e da cui secondo loro bisogna ripartire nel processo bis.

Stando agli atti giudiziari, una delle prove più schiaccianti che ha fatto finire in carcere Olindo e Rosa riguarda la traccia di sangue trovata dai carabinieri del Ris nella Seat della coppia, precisamente sul battitacco. Traccia che, con l’esame del Dna, è risultata appartenere alla Cherubini, una delle vittime, moglie di Frigerio.

Proprio a partire dalla presunta discrepanza tra primo e secondo racconto fatto da Frigerio, gli avvocati di Olindo e Rosa hanno costruito la pista alternativa della mattanza, sostenendo che il movente della strage di Erba è stata una resa dei conti interna al mondo della droga. E rispetto a cui Olindo e Rosa sono estranei. Per i legali della coppia, i quattro omicidi di via Diaz sono frutto di una vendetta maturata negli ambiente delle bande nord africane.

Fino a lì ci si arriva perché la casa di Raffaella Castagna era frequentata da Abdi Kais, amico di Azouz Marzouk, tunisimo di nascita, marito della stessa donna e padre del piccolo Youssef. Marzouk parteciperà all’udienza del 1° marzo, ma qualche anno dopo la strage è stato espulso dall’Italia anni per motivi di droga. Da tempo vive stabilmente nel suo paese d’origine, dove si è rifatto una vita.

Nell’istanza di revisione, gli avvocati di Olindo e Rosa hanno scritto che Kais non è mai stato sentito dagli inquirenti, quando invece potrebbe fornire elementi decisivi per la ricostruzione della «pista alternativa». Kais avrebbe confidato ai legali l’esistenza di «una faida interna allo spaccio della droga» e detto che i proventi dello smercio venivano custoditi proprio in casa di Marzouk e della Castagna, in via Diaz. Quando all’istanza di revisione firmata da Tarfusser e che ugualmente verrà esaminata il 1° marzo dalla Corte d’Appello di Brescia, il magistrato sostiene che le confessioni di Olindo e Rosa sono state «indotte».

Il 1° marzo, quando è fissata l’udienza per valutare l’eventuale riapertura del processo, c’è una prima parte a porte chiuse in cui il procuratore generale valuterà o meno l’ammissibilità di un processo bis in base alle prove prodotte dalla difesa. Il parere reso sarà poi valutato dalla Corte d’appello che tuttavia, con apposita ordinanza, potrà considerare l’istanza manifestamente infondata e quindi decidere di non esaminarla nemmeno nel merito. Se invece verrà superato il primo scoglio dell’ammissibilità (in generale tutto questo succede nella stessa giornata), la Corte d’appello avrà anche il potere di disporre la sospensione della pena per Olindo e Rosa, in attesa che si conclusa il giudizio di revisione. Ovvero il processo bis al quale sono chiamate a partecipare pure le parti civili, con i propri legali.

Quando un’istanza di revisione viene accolta e comincia un nuovo giudizio, i colpevoli tornano a essere imputati, quindi la loro posizione si alleggerisce in attesa che si concluda il processo. Di certo la revisione non si può concludere con la modifica della pena: al termine di tutte le udienze, Olindo e Rosa potranno essere solo prosciolti oppure per loro non cambierà nulla e verrà confermato l’ergastolo.

Nel caso in cui venisse riconosciuta l’innocenza di Olindo e Rosa, spetterebbe sempre al giudice pronunciare la nuova sentenza che cancella la condanna definitiva. Non solo: Olindo e Rosa avrebbero indietro le somme versate come pene pecuniarie. Sarebbe loro assicurata la copertura delle spese legali e avrebbero diritto anche alla restituzione dei beni confiscati, qualora la sentenza passata in giudicato lo abbia previsto. A quel punto lo Stato dovrebbe riparare l’errore giudiziario, riconoscendo un risarcimento in soldi, proporzionato al danno morale subìto, alla reputazione lesa e agli anni trascorsi in carcere.

In Italia la revisione di un processo è possibile solo quando la difesa produce nuovi elementi, prove che, sebbene accolti col beneficio del dubbio in attesa delle controverifiche, dimostrano l’innocenza dei condannati. Solo in questi casi c’è l’ammissione di un’impugnazione straordinaria che apre appunto il cosiddetto processo di revisione. Diversamente una sentenza passata in giudicato è inconfutabile: nessuna persona, per l’ordinamento italiano, può essere processata due volte per la stessa cosa.

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