Premessa: ai politici va meglio che ai sindacalisti, generalmente bersagliati di bulloni che rispetto ai pomodori sono molto più contundenti, oltre che emotivamente più dolorosi perché simbolo del mondo metalmeccanico - e in generale del lavoro - che si sente tradito.

E quindi, in un’insolita sequenza Cgil-Uil-Cisl, ecco la grandinata metallica del 1977 che cacciò Luciano Lama dalla Sapienza e rimane la più famosa, quella milanese contro Giorgio Benvenuto nel 1984, forse la più insidiosa visto che senza lo spintone del sindaco Tognoli gli sarebbe arrivata sul cranio una biglia d’acciaio (ma nell’occasione l’arsenale dei contestatori fu particolarmente creativo, volarono anche copechi russi) e poi quella del ’92 sempre a Milano contro Sergio D’Antoni, che fu ferito nel corpo ma rinvigorito nello spirito: dopo aver orgogliosamente rifiutato di parlare protetto da uno scudo di plastica trasparente, ebbe un labbro ferito da un bullone che poi raccolse e tenne sempre in tasca, un po’ come amuleto e un po’ come trofeo.

Dai bulloni agli ortaggi, dalle officine ai campi, ecco la cronaca dei giorni nostri con i pomodori lanciati mercoledì tra le bancarelle di Cergy-Pontoise, nell’hinterland parigino, su un Emmanuel Macron rieletto poche ore prima. Un caso di contestatio praecox, si potrebbe pensare, ma se è per questo a Parigi ci fu chi invitò il presidente francese a lasciare l’Eliseo già il giorno dopo la sua prima elezione al grido di “Ventiquattr’ore sono troppe: dimissioni!”.

In ogni caso i pomodori sono più un luogo comune, una metafora giornalistica della contestazione che una munizione davvero ricorrente nella polemica politica da strada. Il proiettile a mano più usato contro l’uomo di potere, in realtà, è l’uovo. Lo sa bene proprio Macron, che l’anno scorso a Lione se ne beccò uno sulla mascella. Doveva essere sodo perché rimbalzò senza rompersi (il lanciatore a sua volta rimbalzò ammanettato dentro un furgone della polizia) mentre erano fresche quelle lanciate nel 2017, in un’ideale par condicio dell’oltraggio, contro Marine Le Pen che visitava l’azienda di trasporti bretone Guisnel.

Ci sono precedenti anche in Germania: nel 2011 a Wiesbaden l’allora presidente della Repubblica Christian Wulff fu centrato da un contestatore, un uomo di mezza età che quattro anni prima era saltato addosso al predecessore di Wulff, Horst Koehler, stringendolo per qualche secondo fra le braccia, pare per protestare per una sentenza su una disputa condominiale. Wulff in ogni caso se la cavò con classe e understatement: “Mi piace il contatto con i cittadini, anche se significa prendersi un uovo ogni tanto”.

Molto, forse troppo più ostentata l’imperturbabilità del suo omologo italiano Oscar Luigi Scalfaro, nel ’93 bersagliato e mancato per un soffio dagli studenti di Jurassic School a Catania, terra di passioni travolgenti e di agrumeti, tanto che quel giorno piovvero anche arance. “Ho provato una grande pena vedendo quelle uova – il commento presidenziale annotato dal cronista dell’Unità Walter Rizzo - Sono una delle cose che più mi fanno gola, mi seccava però tornare indietro a raccoglierle”.

Se Scafaro ne era “ghiotto”, come confermò poi alle telecamere dopo l’episodio di Catania, le uova di certo piacciono e sono sempre piaciute agli antagonisti italiani. A parte le monetine scagliate nel ’93 contro Craxi dai lapidatori dell’Hotel Raphael – ma volarono anche ciottoli e cocci di vetro – tuorli e albumi colorano le nostre contestazioni in una parabola che va dal ’68, coi celebratissimi lanci sulle pellicce e gli smoking degli spettatori che entravano alla prima della Scala, fino all’offensiva No Vax dello scorso agosto a Pesaro contro Roberto Speranza (e qui in alcune cronache le tinte si fanno un po’ grottesche, con la Digos che nei dintorni scova un arsenale di 26 uova, evidentemente destinate al ministro della sanità ma poi lasciate in un cantuccio. Verrebbe da dire inesplose). In fatto di uova come in altri campi non può mancare un ruolo di primo piano per Matteo Renzi: gliele tirarono nel 2014 a Ferrara, alla festa di Internazionale, e lo stesso anno le lanciarono sull’auto di Berlusconi che andava a incontrarlo nella sede del Pd.

Poi ci sono le uova di scena, chiaramente: risalgono al 2002 e sono quelle che Giuliano Ferrara si impegnò a tirare sul buonista Roberto Benigni appena fosse spuntato al teatro Ariston. Ma nella Sanremo sorvegliata da un’angosciatissima Rai Tv in realtà il giornalistone cattivista nemmeno metterà piede, limitandosi a lanciare le uova (a favore di telecamere Mediaset) sullo schermo del suo televisore all’apparizione di Benigni sul palco del Festival.

In chiusura non può mancare un ruolo da protagonista per Matteo Salvini, che con i lanci subiti nel 2020 al comizio di Torre del Greco entra nell’affollata sezione “uova sui politici”, ma soprattutto si staglia solitario nella sottosezione “uova fra politici”. La nomination emerse nel 2018, quando da ministro dell’Interno condannò i tre teppisti che a Moncalieri avevano ferito a un occhio con un uovo lanciato da un’auto l’atleta torinese di origini africane Daisy Osakue. Indignato, e forse ingolosito dalla scoperta che uno dei lanciatori era figlio di un esponente locale del Pd, il ministro dell’Interno disse lapidario: “Chi lancia le uova è un cretino”. Fu gioco facile per l’opposizione ricordargli che nel 1999 fu proprio un lancio di uova a costargli una condanna a 30 giorni. Pena lieve, ma segnata da una duplice aggravante politica: aver centrato la polizia e aver mancato D’Alema, vero bersaglio dei lanci dell’allora Giovane Padano. Lo stesso D’Alema che nel ’95 alla festa di Cuore a Montecchio, per scrollarsi di dosso l’immagine da prevedibile burocrate di partito, rivendicò di aver lanciato pure lui qualche molotov a Pisa nel ’68. Altri lanci, altra violenza nella contestazione del potere, altra infiammabilità della lotta politica italiana.

Almeno da questo punto di vista sono meglio i tempi di oggi.

I tempi dell’uovo solo al comando.

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