Da qui a tre mesi, c’è da scommetterci, brani come “All I want for Christmas is you” di Mariah Carey, e “Jingle Bell Rock” di Bobby Helms, risuoneranno in ogni dove, dalle stazioni radio alle reclame pubblicitarie, agli altoparlanti dei centri commerciali. Due canzoni vintage, la prima di oltre 25 anni fa, la seconda un classico del 1957. Canzoni originariamente senza troppa fortuna e cadute nel dimenticatoio che improvvisamente, nell’era dello streaming, occupano le top ten di Paesi come l’Italia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

Tantissime le canzoni del secolo scorso diventate fenomeni social e tornate in auge grazie a TikTok, dalla versione remixata di “Amore no” di Adriano Celentano, del 1979; a “Ma quale idea” di Pino D’Angiò, brano del 1980 resuscitato dal duetto a Sanremo con il gruppo Bnkr 44. E che dire di “Pedro”, 1980, scritta per Raffaella Carrà da Gianni Boncompagni e Franco Bracardi? I producer Jaxomy e Agatino Romero, da Berlino e Amburgo, ne hanno fatto una versione che ha occupato le classifiche di Spotify superando per numero di ascolti l’originale fino a diventare la numero uno della Viral 50 Globale. Un ritorno a nuova vita anche grazie al cinema e alle serie tv, com’è successo per “Running up that hill”, hit di Kate Bush pubblicata nel 1985 tornata in auge dopo il lancio nella serie Netflix “Strange Things”; o per “Goo Goo Muck” dei Cramps (1981) tornata a impazzare sui social dopo che, nella serie “Mercoledì” di Tim Burton, Jenna Ortega (Mercoledì Addams) la balla nella festa di fine anno della Nevermore Accademy.

Per la verità, il ripescaggio di vecchie canzoni – riadattate o meno - non è un fenomeno nuovo. Qualche volta è stato persino salvifico per certi artisti dimenticati o, peggio ancora, finiti del gorgo dell’autodistruzione. La grande Nina Simone è stata una stella che apparteneva alla seconda categoria. Militante per i diritti dei neri, negli Anni Sessanta divenne la regina della Black Classical Music, un misto di ballate, folk, classica, jazz e gospel; ma il successo, i premi, la fama non aiutarono la sua vita sentimentale né le sue finanze.

Finché accadde l’impensabile, un colpo di fortuna che le restituì un’immensa popolarità. Accadde dunque che nel 1987 uno dei brani del suo primo album, Little Girl Blue del 1958, venne scelto per lo spot pubblicitario del profumo Chanel n. 5, e in breve tempo la Charly Records, detentrice dei diritti dell’album, ne fece un singolo che restò per ben undici settimane nella classifica dei più venduti nel Regno Unito, nonché nelle top ten di mezza Europa.

Il brano era “My Baby Just Cares For Me”, e adesso, trent’anni dopo, sarebbe potuto essere una manna dal cielo. Peccato che Nina, quando incise quell’album, ancor prima di uscire dalla sala di registrazione ne avesse ceduto tutti i diritti. Una scelta che, a distanza di così tanto tempo, le faceva perdere più di un milione di dollari. Assistita dall’avvocato Steven Ames Brown trascinò davanti al giudice chiunque si permettesse di usare i suoi brani e la sua musica, tanto che ottenne una somma enorme, «la più grande mai ricevuta da una cantante per il riutilizzo del proprio materiale», ha scritto Alan Light in “What happened, Miss Simone?”, ottimo volume pubblicato da Il Saggiatore nel 2016.

Lei stessa, tuttavia, interpretò e rilanciò brani dimenticati. Fu il caso di “Strange Fruit”, ballata resa celebre da Billie Holiday nel 1939, che racconta delle violenze dei bianchi nei confronti degli afroamericani. Un testo crudo, il resoconto del linciaggio e dell’impiccagione di un uomo. Un messaggio politico, e non a caso è stata considerata la canzone che ha dato il via al movimento per i diritti civili. Nina Simone non amava questo brano: “Si tratta della canzone più brutta che abbia mai ascoltato. Brutta nel senso che è violenta e fa male pensare a ciò che i bianchi hanno fatto alla mia gente in questo paese”. Eppure, nel 1965 la reinterpretò donandole nuovo slancio. Trent’anni dopo, diceva, nulla è cambiato per la mia gente.

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