Pietro Picciau scrittore, commediografo, giornalista si è occupato di cronaca e sport per L'Unione Sarda. Ha scritto "Un uomo in fuga" (2000), "Il Moderno era Hollywood" (2006) e i romanzi di spionaggio "La recluta di Aden" (2008) e "Operazione Babilonia" (2010). L’ultima sua fatica è “Garibaldi il corsaro”.

Perché un romanzo su Garibaldi?

«Per curiosità e per soddisfare il bisogno di far rievocare le vicende dell'800 a uno dei protagonisti. Poi perché Garibaldi incarna l'ideale dell'avventuriero romantico, capace di rischiare sempre in prima persona, a volte ingenuamente, spesso non curandosi dei pericoli a cui va incontro. Scegliendolo, d'accordo con la casa editrice Arkadia, abbiamo anche pensato di proporre ai lettori un Garibaldi inedito: non l'icona risorgimentale che guarda i passanti dall'alto delle statue equestri erette nelle piazze di mezzo mondo ma l'uomo che cade e si rialza, l'avventuriero diventato corsaro e guerrigliero nell'America del Sud, poi generale e padre della patria in Italia».

Sono stati necessari nuovi studi sui documenti?

«Ho lavorato su diverse fonti: Dumas, Jessie White Mario, Montanelli e Nozza fino a Scirocco e Gavillucci. Di nuovo, nel romando, c'è che Garibaldi non viene raccontato con distacco ma è lui stesso, con la mia complicità di autore, a narrare le rocambolesche vicende che lo hanno visto coinvolto».

La copertina del libro di Pietro Picciau
La copertina del libro di Pietro Picciau
La copertina del libro di Pietro Picciau

E' stato quindi umanizzato.

«Sì, è il termine più aderente. Seguendo Peppino dalla nascita a Nizza nel 1807 fino alla morte avvenuta a Caprera nel 1882 ho scoperto un personaggio ricco di curiosità e interessi».

Sorpreso?

«Prima di cimentarmi nelle letture garibaldine sapevo poco del personaggio, ne avevo una conoscenza scolastica, molto parziale e opaca.  Ora ne ho un'idea più compiuta. So bene che Garibaldi è al centro, come altri della sua stagione, di un tentativo di riscrittura del Risorgimento, in riferimento, in modo particolare, alle stragi e alle scelte fatte nel Meridione».

Che atteggiamento ha assunto al riguardo?

 «Ho cercato di liberarmi dei pregiudizi e restare fedele alla linea del racconto romanzesco. Non sono uno storico ma osservo che spesso, polemiche su personaggi e fatti complessi del passato, poggiano su pregiudizi e conoscenze parziali».

Come entra in scena l'ero dei due mondi?

«Con una burrasca notturna che fa infrangere sugli scogli di Caprera il veliero dell’aristocratico inglese Nicholas Richardson».

Chi è costui?

«Uno dei tanti viaggiatori che solcavano le acque del Mediterraneo. Certo è che quando il giovane bussa alla porta di una fazenda dipinta di bianco mostra di non credere ai suoi occhi. Davanti a lui, seduto su un carrozzino, c’è un uomo straordinario: il generale Giuseppe Garibaldi».

Quando succede tutto questo?

«È il 22 settembre 1873, l’Eroe dei due mondi è anziano ma non ha perso il carattere del trascinatore. Sollecitato dalle domande dell’ospite, ricorda con orgoglio quel che gli disse un generale sudamericano: “¡La guerra es la verdadera vida del hombre!". Il Prode si lascia andare alla rievocazione, e la storia che racconta è il romanzo di un avventuriero che ha attraversato da protagonista buona parte dell’Ottocento». 

Rispetto alla mole sterminata di saggi e rievocazioni dell'epopea garibaldina e dei Mille, nel romanzo “Garibaldi il corsaro” emerge subito la generosità di Peppino Garibaldi. E' irruento, fumantino e sempre pronto a tutto pur di inseguire una causa.

«Dopo la condanna a morte per il fallimento di un’insurrezione a Genova il giovane Garibaldi nel 1835 fugge in Sudamerica. E inizia la parte della sua vita di corsaro.

Tra amori e scorrerie, naufragi e sanguinose battaglie tra il Brasile e l’Uruguay conduce una vita spericolata. In Brasile incontra amici fraterni con i quali divide pericoli e avventure incredibili. Peppino fa esattamente quel che fanno i corsari, nulla di più e nulla di meno: assalta, depreda imbarcazioni, spara, viene ferito, imprigionato e torturato. Non si fa mancare niente».

Neppure l’incontro e il matrimonio con Anita placa la sua sete di avventura?

«Macché. La sua attività di corsaro e guerrigliero prosegue senza interruzione. Da Rio Grande del sud e Santa Catarina si sposta in Uruguay, dove in condizioni di estrema indigenza fa l'insegnante e il rappresentante di commercio. Ma non sta a lungo senza combattere. Rimangiandosi la promessa fatta ad Anita, già madre del primo figlio Menotti, torna sulla breccia. Fonda la Legione italiana, combatte contro l'Argentina».

Preceduto dalla fama di eroe, torna in Italia il 15 aprile 1848.

«Parte per l'Italia con poco più di sessanta fedeli Camicie rosse, dove spera di realizzare il sogno più grande della sua vita: liberare il suolo italiano dall’occupante austriaco.  Ma questo è argomento del secondo romando sul nizzardo».

Che figura sarebbe Garibaldi se lo proiettassimo nei nostri giorni?

«Un uomo con le sue caratteristiche non faticherebbe a trovare ambiti dove dare il meglio di sé. In politica sarebbe un disastro. Garibaldi non è stato un fine politico e neppure un bravo oratore. Iniziava bene poi si faceva prendere dalla passione e andava fuori tema».

Era però un trascinatore di folle.

«Un magnifico trascinatore. Era bravo ad accendere gli animi: si affacciava dai balconi – non resisteva al richiamo – e improvvisava un discorso, che finiva spesso con un appello. I suoi fedeli lo amavano».

Era anche un seduttore?

«Lo è stato di sicuro, da giovane. Poi il tempo per sedurre non gli è più bastato. Credo sia stato un seduttore suo malgrado. Fare il corsaro e il guerrigliero richiedeva grande impegno e il generale, ricco di fascino, non ha di certo faticato per avere un esercito di spasimanti ovunque andasse».

Garibaldi il corsaro è il primo romanzo di un trilogia. Le prossime puntate?

«Il secondo romanzo, “Garibaldi la spada dei Mille”, sarà in libreria a settembre. Dopo essersi accostato ai principi libertari annunciati da Mazzini nella Giovine Italia, e aver sperimentato la durezza della via randagia in Sudamerica, Garibaldi torna in Italia e si ritroverà impegnato in tante battaglie, subirà cadute, fuggirà da eserciti schierat ial suo inseguimento, perderà la sposa Anita, sperimenterà un nuovo esilio e darà vita all'impresa dei Mille. Ma la sua parabola, ricca di colpi di scena, continuerà anche dopo il suo mesto ritorno a Caprera. Ma questo sarà argomento del terzo capitolo della vita di Peppino Garibaldi». 

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