In questi giorni più di una testata ha abbinato le due notizie, per rendere a colpo d’occhio l’idea di una milizia di popolo in azione, una reazione dal basso che affianca l’esercito regolare ucraino per combattere l’invasione russa: l’idea fra il geniale e il goliardico di puntare nelle direzioni sbagliate i cartelli stradali in modo da confondere il nemico che avanza (forse più goliardico che geniale, in tempi di gps e di avanzate monitorate col satellite) e soprattutto la produzione artigianale di bottiglie incendiarie da scagliare sui blindati e in genere sulle colonne nemiche.

E particolare attenzione è stata riservata alla provvisoria riconversione produttiva di un birrificio di Leopoli, il “Pravda”, che ha raccolto l’invito del ministero della difesa di Kiev e ha annunciato che per qualche giorno avrebbe sospeso l’attività ordinaria e si sarebbe dedicato al cosiddetto “imbottigliamento speciale”. Ma a parte le maestranze delle fabbriche di alcolici sono anche cittadini comuni a dedicarsi al confezionamento di bottiglie Molotov (vedi le ragazze di Dnipro trovate dal Guardian mentre preparano gli ordigni con i vuoti della birra e li accatastano nelle cassette) come hanno sottolineato alcune agenzie di stampa, spesso specificando che insieme alla benzina nei recipienti la Resistenza inserisce del polistirolo.

È un dettaglio che spiega bene – oltre l’immagine protestataria e più coreografica che letale che la Molotov conserva agli occhi di alcuni, in particolare in Italia – quanto quest’arma possa essere devastante. Come molti sanno – e chi non lo sa può documentarsi su Wikipedia – per confezionarla basta riempire di benzina o comunque di un liquido altamente infiammabile una bottiglia e poi inserire nel collo uno straccio inzuppato di carburante o magari di olio combustibile, per garantire che la fiamma sia più viva e rapida. Acceso lo stoppaccio, la bottiglia viene subito scagliata su un bersaglio che all’infrangersi del vetro viene avvolto dalle fiamme. E qui il dettaglio del polistirolo si fa importante, perché questa sostanza a contatto con la benzina si gelifica, il che significa che una volta raggiunto il bersaglio aderisce alla superficie e continua ad ardere. Sostanzialmente una versione casereccia del napalm. Basta immaginare l’effetto di una bottiglia scagliata dentro la torretta di un carro armato o nel chiuso di un blindato per immaginare quanto gli effetti possano essere devastanti.

D’altra parte la bottiglia incendiaria – sottovalutata da molti ma non dal codice penale, che ne punisce la fabbricazione e la detenzione con pene da uno a cinque anni – nasce sotto il segno di un equivoco. Più di uno si lascia fuorviare dal nome sovietico e pensa che sia un gadget dell’Armata Rossa, ma è vero il contrario: il suo debutto il grande stile fu nella guerra di Spagna, dove erano i franchisti a usarla contro i carri armati russi. Pochi anni più tardi riapparve nella guerra di Finlandia, la guerra non dichiarata che un Indro Montanelli trentenne raccontò dal fronte agli italiani. Fu qui a guadagnarsi il nomignolo: il ministro degli esteri russo Vjačeslav Michajlovič Skrjabin - noto con il nome di battaglia bolscevico di Molotov da Molot, martello – spiegò che le bombe sganciate dagli aerei russi in realtà erano pacchi di vettovaglie per i finlandesi. E questi ultimi sarcasticamente ricambiarono il pensiero battezzando cocktail Molotov o bottiglie Molotov gli ordigni incendiari che scagliavano sugli invasori. Anche in Finlandia, fra l’altro, le fabbriche di alcolici si riconvertirono di slancio all’imbottigliamento di benzina.

Va detto che i russi fecero tesoro dell’esperienza e usarono a loro volta le bottiglie incendiarie contro i panzer tedeschi dell’operazione Barbarossa, in particolare quando si addentravano in quell’incubo militare che sono le città occupate. Non è un caso se il “contingente di pace” inviato da Putin nei primi giorni ha evitato di addentrarsi nei centri urbani, preferendo cingere d’assedio Kiev piuttosto che occuparla.​​​​​​​​​​​​​​

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